Ecco come l’Irlada può salvare la civiltà
Lo spiega Declan Ganley al Wall Street Journal.
Lo spiega Declan Ganley al Wall Street Journal.
Per giudicare l’efficacia di un provvedimento, bisogna anzitutto aver chiaro quale sia il suo obiettivo. Se la gas release della settimana scorsa serviva dunque ad aiutare le piccole e medie imprese italiane, strette tra il crollo dei volumi, la riduzione dei margini, e un costo dell’energia comunque più alto di quello dei competitor, i dati diffusi ieri dall’Eni non lasciano spazio a dubbi: l’asta è andata semideserta, i prezzi hanno scontentato venditore e compratori (il che potrebbe essere un argomento per l’equità della scelta, però), e gran parte dei lotti sono andati a grossi utilizzatori o intermediari. Della delusione di tutti dà conto Stefano Agnoli sul Corriere. Dagospia, invece, offre una lettura, diciamo, complottista: forse non del tutto ingiustificata. Ma credo sia necessario aggiungere qualche tassello.
Ho appena terminato di studiare una bellissima ricerca realizzata da Mathias Dolls e Andreas Peichl dell’Università di Colonia, e Clemens Fuest dell’Università di Oxford. I politici italiani di entrambi gli schieramenti dovrebbero leggerla. I contribuenti italiani di tutte le fedi politiche, dovrebbero leggerla. I sindacalisti e gli industriali, dovrebbero abbeverarsene. Non capita spesso, infatti, di incappare in uno studio che esamini in maniera comparata tanto efficacemente la funzionalità di così numerosi ordinamenti di welfare, al fine di misurarne gli effetti di “assorbimento” di una crisi economica. Gli autori erano mossi dall’intento di paragonare i due macromodelli a confronto, quello americano e quello europeo. Ma in realtà, poiché le misurazioni sono realizzate non per media europea ma distinguendo ciascuno dei 19 Paesi europei rilevati, le conclusioni più interessanti riguardano proprio il nostro Paese. Perché tra i Paesi ad altissima tassazione e contribuzione, l’Italia si classifica come il più inefficiente sistema di welfare pubblico ai fini del mitigamento degli effetti della crisi. L’America fa come noi o meglio di noi, ma con una pressione fiscale di oltre il 12% di Pil in meno. Ciò che di solito sinistra, sindacato e anche destra qui in Italia considerano la garanzia di un sistema più efficace nel “non lasciare nessuno solo di fronte alla crisi”, rispetto all’America – e cioè più spesa pubblica in nome della quale si giustifica l’enorme percentuale di prelievo pubblico in più – si rivela in realtà a un’attenta disamina per ciò che è: una bu-fa-la assoluta. Read More
Il Chief Executive Officer di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, parlando alla Handelsblatt Banking Conference di Francoforte, si mostra un filino pentito:
Il settore [finanziario] ha permesso che la crescita e la complessità dei nuovi strumenti superasse la loro utilità economica e sociale, come anche la capacità operativa di gestirli. Come risultato, il rischio operativo è aumentato drammaticamente e questo ha avuto un effetto diretto sulla stabilità complessiva del sistema finanziario.
Blankfein si è detto favorevole alla creazione di casse di compensazione per i derivati attualmente trattati over the counter, e che hanno raggiunto un sufficiente grado di standardizzazione.
Nell’orgia di commemorazioni seguita alla scomparsa di Mike, si sono sprecati i commenti sul Bongiorno partigiano e sul Bongiorno berlusconiano, sul Bongiorno epifania del mediocre e sul Bongiorno specchio del paese, sul Bongiorno professionista puntiglioso e sul Bongiorno “signora-Longari-mi-cade-sull-uccello”.
Ma Mike è stato, molto più di questo e forse oltre le sue stesse aspettative, un emblema del mercato. Alle opportune riflessioni di Alberto Mingardi, aggiungerei questo video, che mi pare esemplificare un’etica del lavoro ed un senso del dovere che ci mancheranno più delle proverbiali papere. Allegria!
Splendido articolo di Ed Crooks e James Blitz sul Financial Times, che fa il punto sulle prospettive per l’energia atomica. La prospettiva è “laica” e, giustamente, evita di entrare nei due tormentoni che sempre inquinano la discussione sull’atomo: cioè la rissa religiosa nucleare sì / nucleare no, e il dibattito infinito sul costo del chilowattora. Voglio sottolineare quest’ultimo punto: trovo del tutto irrilevante, politicamente, accappigliarsi sul reale costo di produzione dell’energia nucleare, a meno che ciò non sia la premessa per la richiesta di sostegni tariffari sul modello delle rinnovabili. L’aspetto paradossale è che l’insistenza sui costi di produzione non viene da chi il nucleare vuole farlo, ma da chi lo osteggia: non che i primi siano dei santarelli mercatisti, ché se un sussidio gli svolazza di fianco lo acchiappano loro pure. Solo che, semplicemente, non è di questo che si sta discutendo – né a livello globale, né in Italia. Un’ulteriore precisazione riguarda il fatto che una parte dei problemi sollevati dal Ft non si applicano al nostro paese, perché hanno una dimensione geopolitica ritagliata sul comportamento di quelle nazioni riottose che, per ragioni le più diverse, non sono disposte ad accettare tutti gli standard o i compromessi internazionali. Quindi, oggi non si parla di Italia, ma del mondo.
Come avrete notato, “Chicago” è stato poco raggiungibile per tutta la giornata di ieri 8 settembre – e probabilmente resterà tale per buona parte di quella di oggi. Alcuni problemi (fra i quali il più bello da citare è il troppo traffico: grazie) hanno reso necessario intervenire radicalmente sul blog, ponendo in essere un processo di aggiornamento che richiederà un po’ di tempo. A scanso di equivoci, le trasmissioni non sono interrotte. Torneremo più facilmente leggibili presto e bene.
Su Mike Bongiorno, si è discusso per anni. Irriso o elogiato, amato o odiato, è stato un pezzo, e non marginale, di storia italiana. Su queste pagine, viene spontanea una considerazione un po’ eccentrica. Mike è stato l’emblema della concorrenza in ambito televisivo, nel nostro Paese. E’ lui la prima delle stelle della RAI a lasciare la televisione di Stato, imbarcandosi sul Biscione e dimostrando così che un’altra televisione era possibile. Più di recente, è sempre Milke a mollare la televisione del Cavaliere (dopo uno sfilacciarsi di rapporti che dimostra come persino le amicizie più solide e redditizie possono improvvisamente valer poco) per andare a Sky, per un progetto mai completato dopo le ospitate dal suo “allievo” Fiorello. Ancora una volta, Mister Bongiorno, questa figura emblematica di una televisione non pedagogica ma “al servizio” dei suoi fruitori proprio perché “convince il pubblico con un esempio vivente e trionfante del valore della mediocrità” (Umberto Eco), prese un rischio calcolato. Giù dal Biscione, verso la nuova frontiera della concorrenza catodica. Perché paga meglio e si guadagna di più? Certo. Ma col cachet di Mike crescevano anche i tasti disponibili sul telecomando. Ciao Mike. La terra ti sia lieve.
Questo post non intende svolgere un argomento o sostenere un’idea. Questo post intende porre una semplice domanda ai lettori di Chicago-blog, ai loro conoscenti e ai conoscenti dei loro conoscenti: a che cazzo serve, nell’anno del Signore 2009, la marca da bollo?