27
Ago
2012

Grande Brera: nessuna rinascita con soldi pubblici garantiti – di Luca Nannipieri

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Luca Nannipieri.

La svolta alla Pinacoteca di Brera è mancata anche stavolta. Nonostante il Ministro Ornaghi abbia dichiarato che “Brera è ferma da quarantanni”, il Decreto Sviluppo del Ministro Passera, che farà nascere una fondazione di diritto privato, non apre in realtà alcun nuovo scenario. Nel testo infatti vi è un difetto notevolissimo: ancora è previsto che lo Stato, tramite il Ministero dei Beni culturali, debba versare stabilmente ogni anno 2 milioni di euro a Brera e una cifra simile anche gli enti locali. Così si blocca il cambiamento. Se si vuole che le fondazioni museali e culturali abbiano vera autonomia ed efficienza economica, che producano lavoro, ricerca scientifica e progetti innovativi, non è pensabile ad una quota fissa garantita annualmente dalle nostre tasche. Neanche se dentro le sale c’è il Cristo morto di Mantegna o Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello.

L’innovazione alla Grande Brera avverrà quando si rompe definitivamente il privilegio di ricevere una quota fissa di soldi pubblici garantiti.

La svolta vi sarà quando un museo, un’associazione, una fondazione, un sito archeologico, divenuti soggetti autonomi, riceveranno dallo Stato una cifra annuale o triennale che varia in relazione a quanto riescono a reperire autonomamente. Ovvero riscuoti dal pubblico in base a quanto trovi da solo o incassi. Non in base al prestigio della collezione, non in base al colore politico del consiglio di amministrazione, ma in base ad un freddo e impeccabile criterio matematico: ricevi quanto trovi. Tale criterio, che avvantaggia sicuramente i grandi protagonisti come Brera e gli Uffizi a discapito dei piccoli musei, ha come immediata ricaduta una sanissima lotta per dimostrare la necessità della propria sopravvivenza come istituzione culturale. Ed è un criterio imparziale.

Infatti per quale motivo la Grande Brera deve essere sostenuta da noi con 2 milioni di euro annui, mentre il Museo Egizio di Torino ne riceve 600.000? Chi decide, e per conto di chi, qual è la cifra giusta che tal museo o fondazione deve ricevere? Con quali criteri oggettivi, Brera incassa 2 milioni e la Scala ne prende 6,5 ogni anno dal Comune di Milano? Un Rigoletto alla Scala vale di più della Predica di San Marco di Gentile e Giovanni Bellini? Per quali motivi il museo statale di San Matteo di Pisa, che ha capolavori impareggiabili di Simone Martini e Beato Angelico, non riceverà quanto Brera? Avere un numero maggiore di dipendenti da stipendiare è una giustificazione per avere più soldi?

I criteri diventano discrezionali e perciò contestabili. Se invece, dopo aver dato autonomia, venisse regolata la contribuzione statale in misura di quanto viene trovato, simili discrezionalità verrebbero meno e vi sarebbe quell’innovazione che oggi arranca.

Parlando di Brera, la storica Cristina Acidini ha detto che “ci sono musei di Stato che sono punte di orgoglio nazionale e vanno mantenuti in questa loro natura”. Nonostante la straordinarietà del suo patrimonio artistico, Brera non è affatto finora un orgoglio nazionale; e volere che permanga come un dipendente statale fisso, come vogliono i Settis e i Montanari, e come il Decreto Sviluppo ratifica, è volere non la sua rovina, ma sicuramente la sua attuale mesta e impiegatizia sopravvivenza.

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12 Responses

  1. claudio p

    Un’alternativa potrebbe essere quella di calcolare approssimativamente quanto l’erario devolve al patrimonio artistico, e abolirlo a favore di un nuovo 5 per mille, o 5 per cento che sia. In altre parole il contribuente viene lasciato libero di scegliere a che fondazione, museo, sito archeologico, ecc.. devolvere la sua quota di tasse (fermo restando il fondamentale contributo dei privati con o senza fini lucro).
    L’idea è quella di evitare che la buona riuscita della raccolta tra i privati debba gioco-forza tradursi in un salasso per i contribuenti.

  2. luciano pontiroli

    Forse la questione è più profonda.
    Non credo che persone come Settis, Montanari, Ornaghi vogliano “la mesta e impiegatizia sopravvivenza” di Brera: eccettuato – forse – l’attuale Ministro, essi perseguono l’idea – che sta alla base dell’art. 9 Cost. – per cui solo l’amministrazione pubblica garantisce la diffusione della cultura mediante la gestione del patrimonio storico-artistico ed ambientale.
    Tale idea è rispettabile, ma la sua attuazione concreta sembra essere deludente: rimando al Briefing Paper di di Maurizio Carmignani, Filippo Cavazzoni e Nina Però sui misfatti della gestione pubblica, riservandomi un’ulteriore presa di posizione sulle premesse ideologiche del Codice dei beni culturali.

  3. francine

    La questione non e’ tanto il costo per i contribuenti quanto non incentivare un’utilizzazione piu’ imprenditoriale del Museo.Esistono anche le Fondazioni private che fanno egregiamente il loro lavoro e che lo Stato potrebbe alternare alla gestione dei Musei sempre salvaguardando la salute dei Beni Pubblici.La cultura oltre che essere tutelata puo’ e deve anche essere fonte di reddito perche’ tale reddito possa essere reinvestito nell’arte e nella cultura.Purtroppo ,anche qui, lo Stato con la scusa di garantire il funzionamento,direi minimo,del Museo incentiva una gestione del tirare a campare.D’altra parte sento gia’ le voci adirate ed offese di quelli che griderebbero allo scandalo,alla svendita ai privati dei beni pubblici ,alla mercificazione della cultura etc..Non c’e’ niente da fare siamo uno stato comunista e non vedo niente di buono all’orizzonte

  4. Con il patrimonio artistico che abbiamo (unico al mondo ), lo stato potrebbe tranquillamente trovare fonte di reddito non di spesa !!

  5. Francesco_P

    Il potere politico può invadere il campo della cultura proprio grazie al finanziamento pubblico. A nessun “politico” (nel senso della deviazione assunta in Italia dal termine) importa della valorizzazione dei beni culturali e delle ricadute che essi possono avere su settori come il turismo. A nessun “politico” interessa la cultura in se. Per loro l’arte e la cultura sono solo delle occasioni per promuovere la propria immagine, garantire posti agli amici in qualità di sovraintendenti e clientele attraverso le assunzioni.

    Finché la “politica” rimane quella deteriore che conosciamo, a nessun “politico” verrà in mente di lasciar gestire il patrimonio immenso e spesso sconosciuto del nostro Paese a chi ha interesse a conservarlo e valorizzalo al meglio.

    L’unico vero contributo che lo Stato può dare è rappresentato da significative agevolazioni fiscali per chi investe seriamente sul patrimonio artistico e culturale. Meglio se il cospicuo incentivo fiscale è soggetto a verifiche periodiche che attestino l’effettiva conservazione dei beni, così da rendere difficili le “furbate”(occorre evitare l’abbandono dei beni da parte di chi vuole solo beneficiare delle agevolazioni).

    Per chi mi accuserà di vedere le cose in modo troppo semplice, rispondo in anticipo che per poter far funzionare e, soprattutto, controllare occorre proprio la semplicità. La giungla normativa serve solo a nascondere meglio i comportamenti scorretti.

  6. mario

    Parole.. solo parole.. questo è il governo più deludente di tutta la storia repubblicana!!!

  7. Roberto Portinari

    Tutte considerazioni giuste ma vorrei dirne qualcuna relativamente alla questione artistica. Sono stato a Brera pochi giorni fa, dopo decenni che non ci andavo, pur essendo di Milano. Sono stato in compenso in molti musei e gallerie del mondo, ma anche italiani, e quindi mi viene d’obbligo fare dei raffronti. Ebbene, capisco perchè Brera, pur avendo un grande potenziale, soprattutto nel numero di opere nel suo scantinato, diventa un museo insignificante agli occhi del turista. Per essere sintetici: guardiani/e stravaccati sulle sedie, senza alcun interesse per ciò che accadeva, se non malauguratamente risvegliati dal cicalino che allertava l’eccessiva vicinanza ad un opera da parte del visitatore; quadri di rilevanza planetaria (Mantegna, Raffaello, Hayez, Lega, Segantini, etc.), vere icone anche al di fuori dell’arte in sè, relegati in mezzo a tanti altri senza alcuna netta e accurata evidenza. Ricordo la National Gallery o il Louvre, dove per quadri di

  8. Roberto Portinari

    questa importanza vengono addirittura allestite salette apposite. E per finire, sempre per dare il senso della trascuratezza dei nostri musei: all’entrata dai loggioni superiori manca un posacenere per i fumatori, questo vuol dire che le persone, non sapendo dove gettare il mozzicone inevitabilmente lo buttano per terra o peggio, per non farsi vedere, sul cornicione delle balaustre. Il Louvre è un museo magnifico e che incassa fiumi di denaro, non ha alcuna dipendenza pubblica e sta costruendo a 200 km da Parigi (in zona depressa, guarda caso) il Louvre 2. Quanti magnifici Brera potremmo fare se utilizzassimo tutte le opere disponibili alla Pinacoteca? Unica condizione in Italia: affidarne la gestione ai privati, o quantomeno ad una co-gestione, dove il privato abbia mano libera nelle modalità di esposizione delle opere e delle scelte “commerciali”. Un paese come l’Italia potrebbe vivere di solo turismo artistico e paesaggistico (al diavolo le fabbriche d’auto improduttive), ma deve cambiare fortemente la sua mentalità statalista e provinciale.

  9. giani tieni

    Giannino quando ti decidi a scendere in campo siamo in tanti a volere questo altrimenti il nostro voto alle prossime elezioni arà un voto perso io non voterò nessuno ,non posso votare ,le cariatedi che per 30 anni ci hanno propinato questo modo vivendi

  10. Massimo

    @Roberto Portinari
    Come al solito i contributi statali dati a……caso sortiscono un solo effetto :incuria, clientelismo, partitismo. E’ giusto che lo stato contribuisca al divulgamento della cultura ma bisogna che ai contributi si associ anche la meritocrazia e i controlli periodici sugli investimenti. Sono importanti anche i risultati e la partecipazione dei turisti, studenti e la raccolta dei loro commenti. Utopia?

  11. tutti a sbracciarsi sul patrimonio artistico, andiamo a quello che non è “patrimonio” o non lo è ancora: quande croste sono depositate negli scantinati dei musei? quanti affari si sono fatti scopiazzando gli acquisti degli altri musei citati ad esempio fulgido: quelli tedeschi, americani intesi sia nord che sud, per ritrovarsi alla fine del bussines con opere di scarso se non scarsissimo valore, vale per tutti quel “artista ” che mette in formalina un ippopotamo, o quell’altro /a che butta per terra un centinaio di straccetti colorati che “vogliono dire…” che cosa se non stupidaggini. Io sono stato un giovane pittore sono stato acquistato da alcuni musei e gallerie, a prezzi stracciatissimi e raramente mi sono visto appeso a quelle pareti, mentre vedo artisti che nel nome della “novità” hanno il tributo dei giornali e dei critici perchè sono sempre presenti. Un museo non è solo un assieme storicizzato e ben metabolizzato da tutti i visitatori, chi non accetta di gustare un cubista o un metafisico o…..ma per l’arte contemporanea c’è che si sofferma per più di quei tre secondi che sono la media statistica? c’è chi riconosce un artista da un fannullone che pone una vagonata di brillanti su un teschio? ma ha tirato migliaia di spettatore , mi è stato risposto, certo perchè l’educazione non è più una categoria dello spirito, ma è diventata un allenamento a sopportare le cose inutili. La butterei in politica; se lo sperpero di; energie, denari, cultura, sapere è lo sport praticato dal politico di sedia- sport perchè si pensa al “dilettante” che prova diletto- possiamo pensare che il patrimonio artistico impostato come lo è adesso possa poportare quei benefici in sapere, cultura, e denaro che ci si aspetta?
    paride bianco

  12. morris

    Ma da puro ignorante; non si potrebbe affittare i nostri patrimoni ad aziende,che ne ricaveranno dei guadagni (speriamo)al 100%???

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