9
Giu
2009

Postvoto: Brunetta, Formigoni, Scajola

Per chi fosse eventualmente interessato a un mio commento sul turno elettorale, lo trovate qui, in forma di dieci domande che il risultato pone a tutti i maggiori attori della politica italiana. Non mi sorprende che Berlusconi si sia subito defilato dall’ipotesi di sostenere il referendum elettorale – io sono nel comitato promotore –  poiché, alla luce dell’esito delle urne, non irritare la Lega in vista dei tanti ballottaggi ancora aperti ai suoi occhi supera di gran lunga la convenienza di una prova di forza in senso bipolar-bipartitico. Al contrario, a me tale spinta sembra ancor più essenziale, di fronte alle tendenze centrifughe manifestatesi nelle urne, con voti in uscita e astenuti a milioni tanto dal Pd che dalla Pdl.

Ma qui occupiamoci invece delle prime reazioni che al voto si manifestano nella politica economica. Telegraficamente, ne segnalo tre. Il più lesto a reagire è stato, come al solito, l’ipercinetico ministro Brunetta. Alla giornata dell’innovazione, che si tiene stamane in Confindustria, ha secondo me giustamente dichiarato che la cosa migliore per il governo sarebbe quella di mettere subito mano a un programma straordinario in cento giorni, mirato a innalzare la produttività non solo attraverso interventi che sono di competenza del ministro stesso – come la digitalizzazione della PA – ma che astutamente Brunetta ha indicato invadendo competenze altrui, candidandosi a stimolo della compagine. La liberalizzazione e privatizzazione delle public utilities locali è solo un esempio, ne ha fatti altri. Dubito che gli daranno retta: fatto sta che Brunetta cerca di tirarsi fuori dalla morta gora del “non è tempo di riforme”. Secondo me, ha ragione.

Apparentemente, il risultato alle europee  rafforza la candidatura alla presidenza dell’assemblea di Strasburgo avanzata dalla Pdl, per l’onorevole Mauro. In realtà i tedeschi della Cdu-Csu, che hanno tenuto onorevolmente la posizione contenendo le perdite ma tradizionalmente in Europa pesano più della sezione italiana del PPE, pare abbiano già chiuso da tempo un patto di ferro a favore del candidato della Polonia, Paese che considerano una sorta di cortile interno della propria delocalizzazione. Se la preferenza per Jerzy Busek dovesse risultare confermata e Berlusconi non volesse avventurarsi in una rischiosa prova di forza, allora aumenterebbero le possibilità per un portafoglio italiano nella prossima Commissione europea ben più sostanzioso dell’attuale, i Trasporti affidati ad Antonio Tajani quando la rischiosa vicenda Cai-Alitalia batteva alle porte. La Lega vorrebbe intensissimamente che fosse Roberto Formigoni, il candidato  italiano a un importante incarico nella Commissione. Ma tale scelta aprirebbe fin dal prossimo autunno una partita molto delicata, tra Pdl e Lega per guida ed equilibri in Lombardia, la Baviera italiana per peso economico e civile.

Da altri autorevoli ambienti, possiamo anticipare sin d’ora che a Silvio verranno suggerimenti diversi. Perché non mandare alla Commissione eventualmente Claudio Scajola, aprendo spazio per una modifica nella cabina di regìa della politica economica governativa? Al di là della buona volontà – per esempio sul nucleare – sinora Scajola ha dovuto far buon viso a tutte le severe limitazioni intervenute a stanziamenti, programmi e politiche che insistevano precedentemente sulle Attività produttive.  A mio giudizio l’esatto contrario di un danno, per la sfiducia che nutro in genere verso le “politiche industriali”, compresa quella “Industria 2015” varata da Bersani nella precedente legislatura, oggi fortemente ridimensionata. Ma la maggioranza la pensa diversamente, sia in ambo gli schieramenti politici che tra le categorie economiche. Tremonti no. Occhio, che per Silvio viene una fase in cui la concretezza conta più delle polemiche, per tentare di farle dimenticare.

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