23
Set
2009

Una domanda (atomica) per Claudio Scajola

Fin dal suo insediamento, il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, ha preso l’impegno di riportare l’Italia nel club nucleare. Condividiamo questo sforzo e gliene siamo grati. Scajola ha spesso detto – lo ha ribadito ancora oggi nell’intervista con Fausto Carioti per Libero – che

abbiamo previsto un mix equilibrato e realistico: 25 per cento di elettricità dalle rinnovabili, 25 per cento dal nucleare e il restante 50 per cento dalle fonti fossili.

Non intendo oggi contestare il principio della determinazione politica della quota di mercato delle varie fonti. Mi limito a sottolineare che trovo questo modo di procedere incompatibile col buon funzionamento di un mercato liberalizzato (per la stessa ragione per cui è ferocemente distorsivo il piano 20-20-20 dell’Unione europea). Inoltre, come dimostra il bel libro di Alberto Clò, Il rebus energetico, questo genere di piani è generalmente buono solo per prender muffa. Voglio invece prendere sul serio l’obiettivo scajoliano, e fingere che, in qualche modo, nel 2020 avremo davvero quella ripartizione nella generazione elettrica. La mia domanda è:

Signor ministro, che ce ne facciamo della capacità termoelettrica in eccesso, e come saranno risarcite, se lo saranno, quelle compagnie che hanno investito sulla base di un’aspettativa completamente diversa riguardo il futuro della regolazione nel settore elettrico?

Mi spiego.

Anzitutto, non è chiaro se la ripartizione 25-25-50 si riferisca, nelle intenzioni del ministro, alla capacità installata oppure all’elettricità prodotta. Prenderò in considerazione entrambe le ipotesi.

Secondo i dati Terna, nel 2008 il parco elettrico italiano comprendeva circa 70 GW termoelettrici, 21,5 idroelettrici, poco meno di 4 rinnovabili, e ovviamente zero nucleari. Queste fonti hanno prodotto, rispettivamente, 249 TWh, 46 TWh, 5 TWh, e ovviamente zero terawattora nucleari. Ne segue che, mediamente, il parco termoelettrico ha lavorato per circa 3500 ore, quello idroelettrico per 2160 ore, quello rinnovabile per 1273 ore, quello nucleare per zero ore. Come dovranno cambiare questi dati, per consentire (a) il soddisfacimento del fabbisogno, che realisticamente sarà più alto di quello attuale, e contemporaneamente (b) gli obiettivi di Scajola?

Per rispondere, bisogna fare alcune ipotesi. Anzitutto, riguardo i consumi prendo per buone le previsioni della Commissione europea, secondo cui nel 2020 il nostro paese richiederà 437 TWh. Questa previsione rappresenta quasi certamente una sovrastima del reale consumo, perché risale a prima della crisi: tuttavia, questo mi pone in una posizione favorevole a Scajola. Suppongo inoltre che la realizzazione di nuova capacità (nucleare e rinnovabili) sostituirà le importazioni, che si ridurranno a zero. Faccio infine alcune ipotesi sulle ore di funzionamento e sulla capacità installata:

  • Termoelettrico: suppongo che le ore di funzionamento medie resteranno immutate, cioè 3500;
  • Idroelettrico: suppongo che sia la potenza installata, sia le ore di funzionamento, e quindi la quantità di energia generata, rimarrà invariata da qui al 2020;
  • Rinnovabili: suppongo che ci sarà una forte innovazione tecnologica, quindi le ore di funzionamento medie del parco rinnovabile non-idro cresceranno da meno di 1300 a 2000;
  • Nucleare: suppongo che le ore medie di funzionamento dei nuovi impianti nucleari saranno circa 7000 all’anno; inoltre suppongo che, da qui al 2020, sarà possibile installare tutta la capacità necessaria a raggiungere l’obiettivo scajoliano, comunque definito.

A questo punto, è facile procedere ai conti della serva – del tutto privi, naturalmente, di qualunque affidabilità riguardo ai valori assoluti, ma ritengo ragionevoli in relazione agli ordini di grandezza.

Se l’obiettivo 25-25-50 si riferisce all’energia prodotta, la produzione termoelettrica dovrà scendere da 249 TWh a 219, con un eccesso di circa il 12 per cento. Se ipotizziamo di mantenere le stesse ore medie di funzionamento del 2008, in termini di capacità questo significa che dovremo “buttare via” circa 8500 MW termoelettrici. Quanto al nucleare, utilizzarlo per soddisfare un quarto dei consumi significa assegnargli una produzione di quasi 110 TWh, per i quali sarà necessario installare tra i 15 e i 16 GW di potenza, pari a una decina di centrali da 1,6 GW (sotto la mia ipotesi di 7000 ore).

Se invece l’obiettivo di Scajola va letto in termini di capacità, il percorso è un po’ più laborioso, ma il risultato ancora più clamoroso. Infatti, la capacità termoelettrica dovrebbe scendere ancor più vistosamente da 71 GW a circa 55 GW, un calo del 22 per cento. Parallelamente, sarà necessario installare 27,5 GW nucleari, cioè circa 17 centrali da 1,6 GW.

La mia conclusione provvisoria è che, comunque si interpreti l’obiettivo, (a) al 2020 è estremamente improbabile che sia raggiunto; (b) se verrà raggiunto, renderà obsoleta una quota molto importante dell’attuale parco termoelettrico, parte della quale non sarà ancora stata ammortizzata e quindi determinerà una perdita secca nei bilanci delle aziende (perché realisticamente ciò significherebbe una riduzione delle ore di funzionamento). Inoltre, lo stesso tipo di ragionamento andrebbe svolto riguardo agli approvvigionamenti di gas: un calo della produzione termoelettrica equivale a una riduzione della domanda di gas, a dispetto dell’enfasi (anche politica) che è stata posta negli ultimi anni sull’esigenza di realizzare nuove infrastrutture di adduzione. Quindi, una domanda del tutto analoga a quella che ho posto, andrebbe declinata riguardo al metano.

Torno alla mia domanda iniziale, allora, e la integro:

1. Signor ministro, che ce ne facciamo della capacità termoelettrica in eccesso, e come saranno risarcite, se lo saranno, quelle compagnie che hanno investito sulla base di un’aspettativa completamente diversa riguardo il futuro della regolazione nel settore elettrico?

2. Signor ministro, poiché una penetrazione tanto capillare della fonte nucleare ridurrebbe la domanda di gas, come pensa di rispondere alle proteste di quelle aziende che hanno investito nella realizzazione di nuove infrastrutture (terminali di rigassificazione e pipeline) sulla base di un’aspettativa di maggiore domanda, trainata anche dal settore termoelettrico e accreditata da tutti i governi che si sono finora succeduti?

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5 Responses

  1. Massimo

    Vorrei commentare:

    1) già adesso le centrali nucleari di II generazione, grazie ad una meticolosa programmazione delle operazione di menutenzione producono per quasi 8.000 ore/ anno.

    2) Esistono un certo numero di centrali termoelettriche obsolete che andanno messe fuori servizio nei prossimi anni perchè antieconomiche o troppo inquinanti

    3) Se un giorno le infrastrutture gasiere dell’Italia dovessero essere sovradimensionate, nulla impedirebbe di esportare il gas in eccesso (c.d. “gas hub”) in altri paesi europei.

  2. Carlo Stagnaro

    1) Vero: la mia ipotesi di 7000 ore infatti è prudenziale, anche per fare una stima sull’eccesso di capacità termoelettrica che fosse la più conservativa possibile.

    2) Vero: non credo però che le proporzioni siano comunque quelle da me supposte. Inoltre, altra capacità sta entrando in funzione (vedi Civitavecchia). Anche in questo caso credo di essermi tenuto “on the safety side”.

    3) Vero: sarà interessante vedere chi farà i tubi e con che soldi. Al momento non mi risulta alcun progetto in tal senso, il che mi lascia supporre che Snam Rete Gas ed eventuali altri attori potenzialmente interessati non ritengano credibile la prospettiva nucleare.

  3. Mario B

    La potenza elettrica dal nucleare importata, frutto di investimenti oltralpe, (se esisterà) da che parte va considerata?

  4. Piero

    ripsosta alla 2° domanda : ma secondo te Silvio (capo di Claudio) che si stacca dal Nabucco x farsi il South Stream permetterà che il Gas (a proprosito : ai minimi dal 2002 potrebbe toccare i 2$) vada in perdita ?

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