5
Ott
2011

Questa sì che è bella / 4. La “privatizzazione” delle concessioni

Come si fa a privatizzare una concessione? Anche di questo si è discusso alcuni giorni fa a un seminario del ministero dell’Economia.

Quarto e ultimo di una serie di post: qui il primo sulla “privatizzazione” della CO2, qui il secondo sul patrimonio immobiliare, e qui il terzo sulle società partecipate da Via XX Settembre.

Nel tentativo di effettuare un censimento degli attivi patrimoniali del Tesoro, da cedere o valorizzare per ridurre il debito pubblico, si è parlato anche di concessioni. Edoardo Reviglio ha stimato il valore delle concessioni esistenti in 50 miliardi di euro, con un rendimento effettivo dello 0,5 per cento a fronte di un rendimento obiettivo del 6,3 per cento. Buona parte delle concessioni sono in capo allo Stato, che ricava un importante flusso di cassa, oltre che dallo spettro delle frequenze, dalle infrastrutture (190 milioni di euro, di cui 130 dalle autostrade) e dalle risorse naturali (140 milioni dal demanio marittimo e 130 dallo sfruttamento minerario). In tutto lo Stato incassa in questo modo 1,8 miliardi di euro l’anno, mentre regioni ed enti locali ne ottengono un tesoretto annuale di 978 milioni. Il tema è stato ulteriormente approfondito da Stefano Scalera, che si è concentrato soprattutto sulla loro valorizzazione, stimando un possibile aumento di gettito di 2,5 miliardi di euro 1 ricavabile nel breve termine.

Le concessioni fanno parte, secondo Scalera, dei possibili ambiti di investimento del mitologico Fondo nazionale, di cui avevo parlato anche nell’articolo sul patrimonio immobiliare. Si tratterebbe di una Sgr pubblica incaricata di “investire in fondi locali impegnati nella realizzazione di infrastrutture che generano flussi di cassa” quali “strade a pedaggio, ospedali e scuole, porti e marine”.

A me pare che questa sia neolingua allo stato puro. Quello che Tremonti chiama “privatizzazione” è, in verità, investimento pubblico con, al massimo, la partecipazione di capitali privati. La cosa è doppiamente assurda perché, nonostante tutto, il modello di “build, operate and transfer” che è alla base, per esempio, delle nostre concessioni autostradali è stato piuttosto efficace, seppure non esente da critiche (Ibl ha pubblicato un rapporto l’anno scorso e vi dedica un capitolo dell’Indice delle liberalizzazioni, mentre per una prospettiva diversa suggerisco Giorgio Ragazzi e Alberto Biancardi). Per di più, il governo ha avuto una politica schizofrenica verso l’investimento privato in infrastrutture, invocandolo sempre a parole e rintuzzandolo sempre nei fatti (esemplare il modo in cui la matassa è stata ingarbugliata nella manovra di giugno). In quel settore, i privati già ci sono e, semmai, soffrono un problema di eccessiva presenza, ed eccessiva interferenza, pubblica. Se il governo vuole far qualcosa, deve togliersi dai piedi e rinunciare a fare il gioco delle tre carte, cioè a continuare a essere il concessionario di se stesso. Le concessioni dell’Anas, se vogliamo dare nome e cognome al problema, vanno subito messe sul mercato: altro che schierare l’ennesimo carrozzone parapubblico! Non parliamo dei porti, dove la riforma e l’agognata autonomia sono sempre più lontane, i gestori privati ostracizzati, e le prospettive del settore sempre più cupe, come ha spiegato su Chicago-blog Luigi Ceffalo.

Diversa è la faccenda delle spiagge. Al di là dei continui interventi che hanno messo il nostro paese in mora presso l’Unione europea, è vero che c’è un problema di morosità da parte dei gestori e che, anche a causa della sostanziale non-contendibilità delle concessioni, le spiagge rendono allo Stato meno di quanto potrebbero. Ma anche qui la soluzione è bandire gare come Dio comanda (e come ci chiede la Commissione europea), non schierare l’ennesimo intermediario pubblico.

Quanto alle risorse minerarie, le imprese attive in Italia pagano royalties relativamente basse, ma sarebbe difficile attirare investimenti in modo diverso, in un paese povero di risorse, con costi marginali di estrazione piuttosto alti, e con enormi rischi politici e regolatori ogniqualvolta qualcuno chiede di fare un innocuo buco per terra (ricordate il caso di Noto?).

Questo mi porta al punto conclusivo. Se è vero che le concessioni rendono meno di quanto potrebbero, la causa è una e una soltanto: un quadro giuridico di riferimento irrazionale, caotico e continuamente rimaneggiato, dove lo Stato e le sue appendici giocano tutti i ruoli in commedia. Se vogliamo estrarre più valore dalle concessioni, dobbiamo pretendere una riforma del settore infrastrutturale che lo doti di regole certe e stabili, di un regolatore indipendente (come ha chiesto recentemente Antonio Catricalà), e la completa e totale uscita del governo dal mercato.

E’ vero che abbiamo bisogno di infrastrutture e che le infrastrutture possono essere realizzate solo dai privati, data la situazione delle finanze pubbliche (e che, al netto di questa, è comunque meglio che le facciano i privati). Pertanto bisogna sì privatizzare, ma nell’unico senso del termine: mettere a mercato le concessioni in mano a enti pubblici, non inventarsi un nuovo carrozzone per continuare, con mezzi diversi, a ripetere lo stesso errore di sempre.

You may also like

ITA-Lufthansa: un punto di partenza, non un punto di arrivo
Autostrade: lo Stato è il peggior azionista
Un insegnamento di Franco Tatò
Il caso Autostrade (tra tanti muscoli e poco cervello)

4 Responses

  1. Dario

    Sig. Stagnaro, vorrei farle presente che per quanto riguarda il basso rendimento delle CONCESSIONI DEMANIALI esso dipende da un errato sistema di calcolo, profondamente iniquo ed incostituzionale. Sono un concessionario e per esperienza diretta le posso dire che nel mio caso come in diversi altri tale sistema è espropiativo, cioè il canone richiesto è esorbitante, tale da non poter essere pagato. Nel 2007 dal governo prodi fu cambiato il regime di calcolo, che ha comportato per nel mo caso ad un aumento superiore al 300%, mi trovo in regola con i pagamenti ma ho prosciugato il mio conto in banca. In altri casi (circa l’80%) invece il sistema di calcolo concede ad un canone irrisorio spiaggie molto redditizie. Oltre ad essere stato spennato in questi anni nel 2015 la mia azienda andrà all’asta, l’ultimo atto di uno stato criminale, che mi espropria di una azienda costruita in tre generazioni su un pezzo di sabbia prima inutilizzato che ha generando allo stato un buon rendimento, tasse e lavoro per la famiglia di mio nonno, mio padre e la mia, per le moltissime persone che con noi hanno collaborato nel tempo ed oggi. La legge sulle concesioni và modificata come ha propone da anni il nostro sindacato e cioè facendo pagare di più tutti i concesionari il canone (ha mai sentito di una categoria che tramite il suo sindacato chiede allo Stato di pagare di più? questo le dovrebbe far capire da che parte stare e non scierarsi sulla scia degli odiatori, qui non si stà parlando di approfittatori o gente che vive di rendite garantite), vogliamo un canone equo in questo caso mediamente più alto, il basso rendimento non dipende da una non-contendibilità delle concessioni, qui non si tratta di monopoli.
    In sostanza noi vogliamo pagare l’equo e non sottopagare o strapagare!
    Oltre al canone concessorio si paga anche L’ICI.

    Sig. Carlo Stagnaro spero che Lei spenda qualche parola anche a sostegno della nostra libertà di intrapresa, perchè quello che noi vogliamo è mettere in campo la nostra voglia di fare, di lavorare, di migliorare.
    mi scuso se non sono stato breve

  2. Dario

    vorrei precisare inoltre che non è per “i continui interventi” che il nostro paese è in contenzioso con l’UE, ma per arever dovuto rcepire la direttiva BOLKESTEIN (riguardante la liberalizzazione dei servizi) che non tiene conto della particolarità del nostro prodotto turistico, inesistente negli altri paesi UE. Oggi ci troviamo nella assurdità per cui un olandese potrà partecipare ad un’asta su una spiaggia italiana, ma un italiano non potrà farlo su una spiaggia olandese la quale evidentemente non ha lo stesso valore commerciale! praticamente stiamo regalando una nostra particolarità, un prodotto del nostro stile di vita di noi Italiani.
    Si dice che il Turismo è un settore strategico e quello balneare in particolare rappresenta il 38,4% del turismo globale.
    C’è bisogno di voci autorevoli a sostegno di questo settore, spero che la sua voce si unisca a questa battaglia per portare il nostro settore nelle condizioni di chiarezza normativa per operare e consentirci di rinnovarci per raggiungere un’offerta di eccellenza all’avanguardia mondiale come vogliamo e possiamo fare.

  3. Piero

    sono d’accordo al 100% sul fatto che lo stato debba uscire dalle concessioni..
    ma per farlo in pratica sarebbe necessario spezzare la catena dei conflitti di interesse che rendono il pubblico ed il privato la stessa cosa.. e non alludo solo a Silvio che si auto-dà le frequenze Digitali in Beauty Contest (cioè gratis).. ma pure alle Autostrade che salvano Alitalia per avere concessioni di favore (lapsus freudiano del suo pressidente che poi le ha smentite poche ore dopo).. o delle ferrovie del Nuovo imprenditoriale che avanza in politica per predicare serietà.. o delle Regioni Rosse che si auto-danno le concessioni Distributive alle Coop.. per non parlare dell’Anas che che una specie di auto-conflitto-di-interessi..

    il vero problema è CULTURALE e di ETICA SOCIALE di massa… le leggi & le autority sono necessarie.. ma temo che vengano solo dopo.. sono una conseguenza..

Leave a Reply