12
Apr
2016

Pianificazione urbanistica e criminalità: come lo statalismo ha allevato una serpe in seno —di Gemma Mantovani

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gemma Mantovani.

È comparsa qualche giorno fa la notizia della demolizione della casa natale di un vip. Ma non si tratta di una lussuosa villa in California o di un castello nell’Oxfordshire. Si tratta di un palazzo grigio, orribile, di cemento armato, uno dei tantissimi tutti attaccati l’uno all’altro. Siamo nel quartiere nel quale è cresciuto quello che è diventato un mito del calcio francese, Zinedine Zidane, una banlieue di Marsiglia, la Cité de la Castellane, un quartiere che vive una vera e propria emergenza criminalità. Fra quelle strade e in quelle case disoccupazione, traffico di droga e crimine la fanno da padroni. Un vero e proprio fortino, inaccessibile anche agli uomini delle forze dell’ordine. Per questo, si continua nell’articolo, il comune ha deciso di avviare un’opera di riqualificazione della zona, che passa attraverso l’abbattimento di alcuni di questi palazzi. E si comincerà proprio dall’edificio G, quello in cui è cresciuto e ha trascorso la sua infanzia l’attuale tecnico del Real Madrid. La demolizione è prevista a metà aprile, nel 2017, sarà poi il turno della torre K, composta da 97 alloggi, ormai in mano a trafficanti e spacciatori.

La notizia porta ad alcune riflessioni. La Francia, come anche l’Inghilterra del dopoguerra, e soprattutto l’Italia, ha patito e patisce gli effetti di una politica urbanistica saldamente in mano al settore pubblico e culturalmente in linea con una matrice sovietica-socialista. Una pletora di leggi e regole attraverso le quali lo Stato ha voluto imporre le sue ragioni contro lo sviluppo libero delle città. Quelle stesse ragioni che hanno prodotto i mostruosi esempi di molte periferie nostrane oltre che francesi, parto delle menti di architetti à la page imbevuti delle teorie progressiste del socialismo reale che andavano a braccetto con la politica dei “quartieri popolari”  intesi, innanzitutto, come bacini di voti strumentali all’ottenimento del potere. Una politica camuffata dalla retorica dell’edificazione come “progetto sociale” attraverso il quale realizzare il controllo della distribuzione degli uomini, della localizzazione delle attività, del sistema di relazioni. La città da polmone di libertà, luogo di intrecci e di scambi, diventa la sommatoria di tante celle di detenzione. E così il quartiere di Zidane, esattamente figlio di quelle scelte politiche che fino ad oggi sono sempre state strenuamente difese, uguale a quei quartieri dormitorio che abbiamo recentemente imparato a conoscere nei servizi televisivi dedicati agli assedi dei covi dei terroristi islamici in Francia ed in Belgio. Oggi ci colpisce la chiara dichiarazione della sconfitta di quel metodo che passa attraverso la demolizione stessa di quei quartieri. La tragica emergenza della criminalità e del terrorismo ha svelato la totale inadeguatezza di quel sistema di pianificazione che possiamo dire esser diventato davvero criminogeno. Non si dica che ha fallito la cattiva programmazione, in tutti questi anni si sarebbe potuto correggere il tiro e si è anche provato, invano, a farlo, ma è la programmazione dispotica che è cattivo strumento in sè: la demolizione del modello di città luogo degli uomini liberi, dove sono nate l’impresa, l’industria, la cultura, in sostanza, la civiltà, ha cullato nelle sue macerie i figli di quel terrorismo che proprio quella civiltà vogliono distruggere.

Speriamo che anche in questo campo l’idea liberale di diritto porti a nuovi esperimenti per superare gli evidenti errori del passato e riportare, così, le città da luoghi di potere oppressivo dello Stato a luoghi di libertà degli individui.

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