24
Gen
2016

#PropertyIsFreedom: Roma brucia nell’indifferenza

A pochi metri da Tor Sapienza, alla periferia est di Roma, c’è un vecchio capannone industriale abbandonato: una volta pastificio, ora è il tetto di decine di famiglie che lo occupano da anni. Due settimane fa, nella notte, i rifiuti accumulati nei sotterranei del capannone hanno preso fuoco, generando un rogo impressionante, che ha impegnato i vigili del fuoco per tutta la notte nel tentativo di domarlo e che ha messo a rischio la vita e la salute di centinaia di persone, tra occupanti e residenti della zona. Per gli abitanti del quartiere non è una novità: nei vari edifici occupati e insediamenti abusivi si verificano roghi tossici quasi tutti i giorni e le denunce per richiedere lo sgombero e la bonifica dell’area, da marzo 2015 in avanti, sono state centinaia. Tutte, purtroppo, cadute nel vuoto.

Si sa: in campagna elettorale, il tema delle “periferie” è vincente. Gestire situazioni del genere, purtroppo, è invece molto più complesso di qualunque buon proposito. La soluzione, spesso, è quindi chiudere un occhio e sperare che questi episodi non finiscano in tragedia. A furia di calpestare la legalità e i diritti di proprietà in periferia, però, arriva il giorno in cui la malattia contagia il centro della città.

A pochi passi da piazza Indipendenza, in via del Curtatone, uno stabile privato – ex sede di Federconsorzi e oggi appartenente a un fondo immobiliare – è da anni il simbolo delle occupazioni romane. Due anni fa erano in corso dei lavori di ristrutturazione, che l’avrebbero portato a ospitare alcune sedi di aziende estere, ma fu occupato prima che potessero terminare. Oggi circa 500 persone vivono al suo interno. Lo scorso dicembre, durante un sopralluogo, i vigili del fuoco hanno rilevato un “elevato rischio di incendio/esplosione”, causato da “decine di bombole di gas gpl destinate ad alimentare utenze di fortuna” e da “numerosissime stufe elettriche”. Ma a nulla è servito l’appello alle istituzioni: lo stabile non è stato sgomberato e l’occupazione prosegue, come una bomba a orologeria, in attesa della tragedia.

Peraltro, a nulla è servito il recente Piano casa, che prevede che chiunque occupi abusivamente un immobile senza titolo non possa chiedere né di avere la residenza né l’allacciamento alle utenze. Carta straccia, nella pratica. In via del Curtatone, gli operai di Acea hanno provato a entrare più di una volta per staccare le utenze. Risultato: sono stati presi a sassate e cacciati. Il conto – circa 500.000 euro all’anno – lo paga la proprietà. Come del resto accade nell’hotel di via Prenestina e in decine di altri edifici occupati, non solo privati. La Regione Lazio, tanto per dire, ha speso 16 milioni di euro in locazioni passive, nel 2014, a fronte dei vari palazzi di sua proprietà occupati da anni. Quello di via Maria Adelaide, tanto per dire, è valutato da solo circa il doppio di tutti i canoni di affitto pagati: 32 milioni di euro. E a rimetterci, come sempre, è il contribuente.

I miracoli non esistono e quello delle occupazioni abusive è un problema enormemente complesso, perché complesso è l’equilibrio tra il rispetto della legalità e quello per la vita e la dignità delle persone. È evidente che quest’ultimo, tra i due, abbia la priorità. Quello che talvolta non viene compreso è come, invece, ignorare il primo comporti un circolo vizioso in cui il secondo viene messo ulteriormente a repentaglio, come la situazione di Roma racconta con chiarezza. La tutela dei diritti di proprietà non solo può coincidere con l’attenzione dei poteri pubblici ai temi dell’immigrazione e delle periferie, ma spesso è parte della soluzione. Chiudere un occhio, giustificando le occupazioni e pagando le utenze agli occupanti, non fa altro che acuire il problema. Sarà il caso che ce ne accorgiamo, prima che sia troppo tardi.

Twitter: @glmannheimer

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