6
Apr
2010

Borsa Italiana-LSE, un matrimonio che non s’aveva da fare?

Da sabato santo, il Corriere della sera è impegnato in una battaglia per l’ “italianità” di Borsa Italiana, che fa parte del London Stock Exchange. La battaglia ha di per sé contorni paradossali: in buona sostanza, gli “italiani” accusano gli “inglesi” di nazionalismo, per aver scelto un CEO francese (Xavier Rolet).
Il casus belli è l’uscita di scena di Massimo Capuano, presidente ed amministratore delegato di Borsa Italiana (poi Deputy CEO dell’LSE) che ne ha guidato prima la trasformazione dal “ministero” che era in un’impresa capitalistica, e poi ha condotto in porto il deal con Londra. Il fuoco di fila è stato aperto da Stefano Micossi, importante economista e direttore generale di Assonime, l’associazione che riunisce le società quotate. Per Micossi, “la sostanza di quello che è accaduto è che il management di Borsa Italiana si è venduto la Borsa italiana con l’ acquiescenza, a quel tempo, degli azionisti bancari che non hanno capito cosa stesse accadendo”. Micossi era stato, anni fa, fra i sostenitori dell’integrazione di Borsa Italiana nel circuito Euronext salvo esprimere parere positivo anche sulla fusione con Londra.
Oggi il Corriere torna sul tema, con un’intervista al decano degli agenti di cambio Attilio Venturi.
L’intervista è notevole perché dice tutto e il contrario di tutto. Venturi smentisce quello che invece è, in tutta evidenza, il problema vero sollevato dal Corriere: il successore di Capuano, Jerusalmi, non siederà, a differenza di Capuano, nel consiglio del London Stock Exchange. “Non c’è bisogno di particolari poltrone, basta che ci lascino contare di più per il peso che pensiamo di meritare”. Fra i directors dell’LSE, per la cronaca, ci sono già quattro italiani: Sergio Ermotti (Deputy CEO di UniCredit), Andrea Munari (direttore generale di Banca IMI), Paolo Scaroni (amministratore delegato dell’ENI), e Angelo Tantazzi, che è Deputy Chairman della “borsa unica” dopo essere stato Presidente di Borsa italiana.
Eppure, secondo Venturi, “gli azionisti italiani, vale a dire le banche, socie della vecchia Piazza Affari, non hanno saputo far valere sufficientemente le ragioni del sistema Italia nelle nozze con Londra”. Quindi, intervengano “il Tesoro, Consob e Bankitalia”.
Per fare che cosa? Su questo, Venturi è misterioso, come lo erano stati gli interventi precedenti. L’accusa di autoreferenzialità nella scelta del management agli inglesi è curiosa: l’amministratore delegato dell’LSE è un francese, Xavier Rolet, con esperienza in istituzioni finanziarie britanniche ma anche svizzere, tedesche e americane. Certo, può dispiacere che per quel ruolo non sia stato scelto l’italiano Capuano, ma delle due l’una: o era il candidato migliore, o è stato effettivamente un signore che “si è venduto la borsa”.
Nello specifico, che cosa significa che gli inglesi sono avari col “sistema italia”? In che senso LSE sarebbe d’ostacolo verso le imprese italiane?
Tanto vale chiederselo in modo secco: l’accordo con Londra è stato un errore? Fermi tutti, risponde Venturi: “è stata invece una scelta corretta e inevitabile”. Devo essermi perso un passaggio. La Borsa italiana non era stata “svenduta” agli inglesi? Sempre Venturi: “non è stata una svendita monetaria: con l’alleanza italo-inglese gli azionisti italiani hanno fatto un sacco di soldi”. Stiamo parlando degli stessi azionisti che (Micossi) “non hanno capito cosa stesse accadendo”?

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