7
Dic
2010

Alla Scala va in scena la protesta

Studenti, teatranti e cinematografari: tutti insieme questa sera alle ore 17 davanti alla Scala per protestare contro i tagli alla scuola e alla cultura. L’imperativo è unico: opporsi alla cannibalizzazione della cultura! A leggere gli articoli che compaiono oggi sulla stampa, emerge tutto l’armamentario di concetti altisonanti e fumosi (fumosi in quanto altisonanti) che una persona sensibile alle sorti della cultura nel nostro Paese non può esimersi dal pronunciare. Su tutti, naturalmente, il fatto che “La cultura deve essere un bene comune e accessibile a tutti”.

Per il 9 dicembre, invece, grande raduno sindacale a Roma. Come si afferma nei comunicati stampa, “per la prima volta insieme”, Agis, Anica, Cento Autori, Federculture, Slc – Cgil, Fistel – Cisl, Uilcom – Uil. Un evento epocale. Un po’ come se si stesse annunciando, “per la prima volta insieme, i premi Oscar Robert De Niro, Al Pacino e Martin Scorsese”. Il tempo stringe, la tenuta del Governo è appesa a un filo, l’approvazione della Finanziaria è ormai alle porte e molte speranze sono rivolte al cosiddetto “decreto milleproroghe”. Le rivendicazioni sono riassumibili in poche parole: “vogliamo più soldi”. Le variazioni sul tema poi sono infinite, tutte ovviamente volte a nobilitare tale protesta con infiocchettamenti verbali degni dei migliori eredi di Dante.

Voci dissonanti non se ne sentono, anzi: in queste settimane diversi sono stati gli endorsement a sostegno delle proteste. Fra questi anche quello di Claudio Magris, con un suo editoriale (“Il teatro della vita – e della politica”) comparso sul Corriere della Sera del 23 novembre 2010. Il pregio del corsivo di Magris è quello di offrire una profondità storica al dibattito di oggi. Se il teatro ha avuto un ruolo “fondante” nella genesi nella civiltà occidentale, allora possiamo valutare con un occhio rivolto al passato anche il rapporto tra Stato e cultura, tra denaro pubblico e comparto dello spettacolo. Oggi i governi intervengono a sostegno degli spettacoli dal vivo e del cinema. Si tratta di scelte discrezionali, che scaturiscono dal ritenere tali attività meritevoli di sostegno. Ma naturalmente non è stato sempre così.

Come ha scritto Friedrich Hayek, “bisogna ricordare come già ben prima che il governo si interessasse a certi campi, molti beni collettivi, oggi ampiamente riconosciuti come tali, erano forniti dallo sforzo di individui dotati di spirito pubblico, o gruppi privati i quali provvedevano a fornire i mezzi necessari per il perseguimento di scopi pubblici che essi consideravano importanti. La pubblica istruzione, gli ospedali, le biblioteche e i musei, i teatri, i parchi, non furono creati per primo dai governi”.

Lo stesso teatro delle origini era legittimato dall’ampio seguito che riusciva ad attirare. Già nel Seicento, i teatri lirici privati prosperavano a Venezia. Pure il cinema si impone grazie a innovatori e imprenditori, e si afferma in virtù del talento di grandi figure come Buster Keaton, Charlie Chaplin o David Ward Griffith.

L’evolvere della tecnica e delle preferenze individuali hanno decretato il successo o la “decadenza” di determinate attività culturali: dopo i fasti dei secoli scorsi, la lirica è un settore che non gode più delle attenzioni delle masse; lo stesso non si può dire del cinema o della  televisione. Esiste d’altra parte un cinema non “assistito” che non ha bisogno di sussidi pubblici, il quale offre allo spettatore opere di valore. Negli anni cambiano le forme, ma non cessa la produzione culturale.

Nessuno sa quello che potrà accadere in futuro, sta di fatto che gridare alla “morte della cultura” non ha alcun senso. D’altronde, come vorrebbero le persone che protestano a gran voce in questi giorni, si può anche optare per una cultura dipendente dallo Stato e dalle scelte dei politici, che sia sostenuta anche da chi non ne usufruisce direttamente (attraverso la fiscalità generale). In questo caso, però, paternalismo e parassitismo non possono essere considerati quali esiti imprevisti.

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11 Responses

  1. marcinkus

    “La cultura deve essere un bene comune e accessibile a tutti”.
    Perchè? (domanda retorica).
    E’ un mantra privo di significato, che ripetuto all’infinito è diventato luogo comune che nessuno è disposto (politicamente e non) a sfidare e sradicare.

  2. Caber

    @marcinkus

    sarebbe comunque aperta a tutti…
    non esiste più l’operaio ottocentesco impossibilitato a pagare il biglietto per l’opera se non digiunando per un mese…

  3. Giuseppe

    @marcinkus
    Dai miei scarsissimi studi giuridici ( ho un Master in Financial Engineering ) ricordo che i diritti dell’uomo non rappresentano un numero chiuso, quindi oltre al diritto all’istruzione la totalità degli studiosi considera il “diritto alla cultura”.
    Riprendendo dei miei vecchi appunti sul tema vedo che nell’art.21 della Cost. si dice:”Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”. L’interpretazione dominante afferma che per ottenere tale risultato sia necessario godere di un diritto alla coltura. Vi sono anche delle sentenze inglesi e americane (sugli appunti non riesco a decifrare il numero, vedrò di trovarle..) che ribadiscono tale concetto.
    Potrei citare anche gli art 22 e 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani .
    Comunque in effetti è uno spreco di risorse garantire la cultura a chi poi sembra non averne usufruito…

  4. Graziano Patti

    @Giuseppe ”Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” Ciò significa che io le devo pagare la pubblicazione e/o la diffusione del suo pensiero? Diritto alla cultura significa che il prossimo mi deve pagare l’acquisto di libri, la frequentazione di teatri e sale da concerto, l’abbonamento Sky? Io sono un appassionato di musica, le mando l’iban così lei mi finanzia l’acquisto di CD e DVD? Anch’io ho diritto alla cultura, che diamine!

  5. Luciano Pontiroli

    Il punto è: cosa significa diritto alla cultura? certo non si tratta di una pretesa azionabile in giudizio, nessuno potrebbe chiedere la condanna di un altro soggetto, neppure dello Stato, a sostenere economicamente le sue attese in materia di cultura – altrimenti chiunque si proclami “fruitore di cultura” potrebbe pretendere che il malcapitato gli fornisca vita natural durante l’abbonamento a tutte le riviste culturali di sua gradimento, più un esemplare di ogni CD musicale che sia pubblicato nel vasto mondo, più un esemplare di ogni volume edito, più la partecipazione a spettacoli di ogni genere …
    Più semplicemente, proclamare un diritto alla cultura significa legittimare l’intervento pubblico, a spese dei contribuenti, nella produzione e diffusione di cultura. Naturalmente, se l’amministrazione pubblica è appena un po’ sveglia, significa finanziare i “produttori di cultura” amici e non quelli nemici, diffondere spettacoli dei primi a prezzo simbolico o gratuito nelle scuole, in modo da propagandare “verità, civiltà, giustizia, solidarietà”,ecc.

  6. Giuseppe

    @Luciano Pontiroli
    Per quanto riguarda la scelta su cosa finanziare o meno c’è l’Art 33 che afferma “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.” Ritengo che quindi si debba finanziare qualsiasi espressione culturale.
    L’art. 9 della Costituzione italiana afferma “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.”
    L’art 151 del Trattato di Amsterdam afferma”La Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune.”
    Da quel che so l’obiettivo è quello di evitare un omologazione del pensiero in base all’appartenenza di ceto. Punto centrale è la valorizzazione della persona (art.2 Cost.) di cui lo Stato si deve prendere carico.
    Usando un po’ di buon senso si dovrebbe capire che lo Stato garantisce la fruizione di una “quantità” di Cultura minima per rendere l’individuo un essere pensante. E’ per questo che esistono le Biblioteche pubbliche (se non si possiede il denaro per acquistare i libri, riviste…), per questo esistono le tariffe agevolate a carettere didattico, per questo in molti Stati Europei non si paga 1€ per entrare nei musei…
    Certo, se poi invece di finanziare la vera cultura si fa altro, posso essere d’accordo con voi.

    @Graziano Patti
    Mi invii pure il suo iban, provvederò a regarLe qualche libro per Natale.

  7. P. Tisbo

    Il punto è che queste rivendicazioni non c’entrano niente con il diritto alla cultura. Il diritto alla cultura come è definito nei commenti a questo articolo si formula come “ogni uomo ha il diritto di ampliare la propria cultura” e questo è molto diverso dalle rivendicazioni dei manifestanti che invece dicono “ogni produttore di cultura ha il diritto di ricevere un incentivo economico al proprio lavoro a prescindere da quanto quest’ultimo abbia successo dal punto di vista commerciale”.
    Questa è la fin troppo evidente perversione del concetto di stato sociale che tanto si vede di questi giorni sulle bocche di persone comuni e politici populisti; invece di equiparare il punto di partenza si vuole equiparare il punto di arrivo. Dire “ogni uomo ha il diritto di studiare per raggiungere una laurea” è ben diverso dal dire “ogni uomo ha diritto ad una laurea” e alla stessa maniera dire che la cultura sia un diritto di tutti e che deve essere libera non vuol dire che ognuno possa pretendere finanziamenti a fondo perduto per opere di cui, dati di vendita alla mano, evidentemente nessuno sentiva il bisogno. Per avere un esempio basta pensare al fatto che nello stesso anno (1987) in Italia uscirono sia “Un ragazzo di Calabria” di Luigi Comencini, opera squisita sullo sport e la miseria e “La croce dalle sette pietre” probabilmente il film piu brutto mai girato. Indovinate quale di questi ha avuto maggior supporto dallo stato e quale dai botteghini?

    Tutto questo senza scendere nel dettaglio di come poi vengano oggi impiegati questi fondi per evitare di approfondire troppo il ridicolo.

  8. Secondo un recente rapporto OCSE-PISA sarebbero le private la vera palla al piede (in termini di performance di apprendimento) del sistema scolastico italiano. Pensate un pò che bella novità se il finanziamento pubblico di una scuola dipendesse anche dalle sue performance storiche e tendenziali. Tanti e non impossibili sarebbero gli interventi migliorativi dell’efficacia del sistema, ma l’unico argomento che interessa veramente la politica pare essere quello di quanto si può risparmiare. Con buona pace del futuro di questo paese. E noi che ci ostiniamo a lasciargli amministrare non solo la scuola, la sicurezza e la sanità ma anche i servizi, i trasporti, le televisioni… Certo l’ottimismo non ci manca…

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