28
Apr
2015

Scuola, il rischio concreto della riforma abortita

Non c’è da stupirsi, della levata di scudi dell’intero mondo della scuola contro la riforma all’esame del parlamento. I sindacati sanno quel che gli studi elettorali confermano, cioè che il bacino elettorale del milione di dipendenti del sistema formativo pubblico è sempre stato a prevalenza di sinistra e del Pd. Dunque, sotto elezioni regionali, ecco lo sciopero unitario generale della scuola, il prossimo 5 maggio. O il governo e il Pd cedono in parlamento prima di allora su punti essenziali della riforma, oppure ci sarà uno scotto da pagare alle urne. L’eventualità più probabile è che quel poco di buono che era rimasto in una riforma tre volte riscritta sparisca, e il tutto si risolva in un’ancor più estesa sanatoria di precari.

Aggiungiamo però che il governo doveva aspettarselo. Aveva acceso molte speranze, appena entrato in carica. Aveva adottato una consultazione pubblica senza canale preferenziale con i sindacati, però su un testo poi sconfessato. Riformulatolo, aveva annunciato decreti legge. Per poi ripiegare due mesi fa su un disegno di legge ancora variato, ma promettendo un decreto legge assumi-precari visto che l’esame parlamentare altrimenti non sarebbe coerente con i tempi necessari a formare le classi per settembre, con i 100mila nuovi assunti. Il sindacato ha osservato indispettito questo zigzagare, e sa anche che il ministro Giannini si è trovata lei per prima più volte spiazzata. Non è un caso che oggi, a protesta esplosa e a incidente avvenuto alla Festa dell’Unità, siano per primi esponenti del Pd ad accusarla di essere stata poco sensibile al confronto sindacale. Se la Giannini sperava di procurarsi uno scudo entrando nel Pd, direi che ha proprio fatto male i conti.

Il rischio ora diventa quello di vedere travolte anche alcune delle pur attenuate novità che la riforma ancora conteneva. E’ ovvio che i sindacati chiedano la messa in ruolo di tutti i precari, e la decadenza del neo registro regionale in cui finirebbero quelli di seconda fascia, non stabilizzati. E che diventerà più difficile salvaguardare guardando al solo merito, per esempio tutelando chi aveva seguito e superato il percorso abilitante per prove del TFA. Ma il segnale meno incoraggiante è il forte attacco in corso sulla questione dell’autonomia, del dirigente scolastico, della valutazione. Cioè appunto sul residuo di novità più significative rimaste nel testo della riforma.

E’ la valutazione del merito, la questione di fondo. Già il governo ha dovuto fare, nelle diverse bozze, molte marce indietro. Le dichiarazioni iniziali prevedevano che solo il 30% massimo degli aumenti retributivi ai docenti sarebbe stato determinato dall’anzianità, e il 70% dal merito. Premiando in tre fasce di diversa progressione l’80% dei docenti ed escludendone il 20%. A valutare il merito, secondo un certo peso tra crediti didattici, formativi e professionali, sarebbe stato un nucleo di valutazione per ogni istituto, presieduto dal dirigente scolastico. Se gli insegnanti per due volte di fila non fossero riusciti a rientrare almeno nella terza fascia, avrebbero rischiato un’ispezione. Se la mancata promozione persistesse, poteva arrivare fino a quella che in gergo scolastico si chiama dispensa, cioè la sospensione dal servizio per incapacità, fino al licenziamento per inidoneità.

Nel testo finale quella rivoluzione è già scomparsa. Gli scatti retributivi di anzianità restano, per gli insegnanti. Ma il governo ha scovato per il 2016 anche 200 milioni di premi al merito per i docenti, attribuiti secondo le valutazioni su ogni insegnante che in ogni istituto farà innanzitutto il dirigente scolastico e i suoi collaboratori. E in più il governo ha anche aggiunto una carta-insegnante di 500 euro l’anno, per sostenere i consumi culturali che ogni docente deve sostenere per l’aggiornamento, dai libri al teatro.

Ora i sindacati hanno messo nel mirino il ruolo del dirigente, e già il Pd ha accettato che non avrà un ruolo prevalente né nel giudicare il merito dei docenti, né nella scelta dell’integrazione all’organico pescando dall’albo regionale dei docenti a disposizione, né nella vita economica, organizzativa e lavorativa della scuola che doveva configurare la nuova ed estesa autonomia di ogni istituto. Tutto dovrà avvenire nel concerto assoluto del corpo docente di ogni istituto, no ad ogni attribuzione al dirigenti di poteri sovraordinati. E, smontati gli scatti di merito ripristinando quelli di anzianità, e lasciato al merito la sola funzione di un premio aggiuntivo, si tratta ora di attribuirlo a tutti estendendone i criteri il più possibile a progetti comuni a cui partecipino tutti gli insegnanti di ogni istituto.

Se finirà così, e oggi appare molto probabile, sarà un’altra vittoria della storica indisponibilità a farsi selettivamente giudicare del pubblico impiego secondo criteri di impegno e produttività. Se la valutazione di merito è seria, deve avvenire secondo criteri noti ex ante, che contemplino le performance ottenute nelle classi, le verifiche sull’insegnamento frontale, i giudizi di studenti e famiglie. Deve prevedere fasce di crediti e punteggio diverse. E deve essere parte integrante della retribuzione. Si potevano seguire alcuni dei modelli praticati con successo da molti altri paesi. Ma, per questo risultato, occorreva essere espliciti e chiari, scegliendone uno. Il sindacato avrebbe resistito, ma non avrebbe potuto dire di non esser stato coinvolto. Anche perché il governo sapeva benissimo che questa vicenda si inserisce nel quadro di contratti del pubblico impiego fermi da anni. A maggior ragione il governo doveva procedere nella chiarezza, se dalla scuola intendeva estendere a tappeto in tutta la PA una logica premiale del merito, e una cultura e prassi seria della valutazione delle performance individuai. Cominciando nella scuola oggi, ma in tutto il mondo pubblico subito dopo.

Vedremo l’esito finale. La tendenza a non farsi misurare e valutare individualmente è il vero problema della pubblica amministrazione italiana. Il solo accennarvi suscita ondate di protesta dei docenti come degli impiegati pubblici, molti dei quali per altro si sottopongono anche a sforzi innegabili. Per piegare resistenze tanto forti un governo riformatore deve saperlo, che l’ostacolo al farsi valutare si supererà solo quando i primi a essere ancor più inflessibilmente giudicati saranno proprio i dirigenti: chi più ha responsabilità, per primo dovrebbe sapere che se non raggiunge gli obiettivi assegnati può andare anche a casa, senza scaricabarile su chi è sottoposto alle sue direttive. Non è una scuola o una pubblica amministrazione gerarchica, quella che mette il merito al centro di tutto. Sono una scuola e una PA efficienti, quelle che consentono a chi s’impegna di guadagnare anche molto di più, e di diventare dirigente a 35 anni invece che a 60. Temiamo che resterà un sogno.

You may also like

Mille giorni di Renzi: il voto sulle banche è..
Sul commercio mondiale l’Italia sta facendo autogol
Uno Stato pazzo: persino contro i tornado la PA è divisa in lotte di potere
2 mesi di Buona Scuola: 85mila cattedre scoperte. E non è colpa solo del governo..

5 Responses

  1. gianni

    Posto che le scuole non sono aziende, quindi non possono essere gestite con criteri puramente aziendali, va bene giudicare gli insiegnanti, va meno bene dare potere quasi assoluto al dirigente scolastico sensa prevederecontrappesi.
    In altre parole, anche i dirigenti scolastici dovrebbero essere valutati e, se necessario, rimossi. Un ottimo insegnante che adotta metodi didattici innovativi ed efficaci, secondo lei, come sarebbe giudicato dal dirigente scolastico “standard” che la maggior parte delle scuole si ritrova? Ossia mediocri se non ottusi insegnanti passati alla carriera amministrativa. Già oggi molti insegnanti si vedono ostacolare dal preside sacrosante bocciature di emeriti somari o di bulli irrecuperabili, solo perché sono figli di “qualcuno”. Ma la presenza di tali indivudui è dannosa anche agli altri studenti, che purtroppo vedono in loro modelli “fighi” da seguire. Se poi il figo somaro viene pure promosso… Poi però la colpa è del docente che non forma, i cui studenti hanno risultati mediamente scarsi ai test Invalsi e PISA. La riforma come quella di Renzi è troppo squilibrata CONTRO gli insiegnanti. Per contro, non si vede nulla per rendere, se non gradevole, almeno meno indecoroso il luogo di lavoro degli insegnanti: a lei piacerebbe stare 6 e più ore al giorno in un ambiente malsano, con le pareti scrostate, i bagni coi rubinetti rotti, finestre chiuse con nastro da pacchi? Come si fa a lavorare in queste condizioni? Ed a studiare? Quando tutti i Paesi investono in cultura mentre l’Italia disinveste? Già ora gli stipendi degli insegnanti italiani sono i più bassi della UE (ma anceh dell’OCSE), hanno il contratto non rinnovato da sei anni. Una mia conoscente, con tanto di dottorato di ricerca in microbiologia al MIT (ma famiglia in Italia, quindi aveva poca scelta: o pendolare Italia – USA o un lavoro qualsiasi in Italia) è riuscita a fare l’insegnante di matematica e scienze nella scuola media, ovviamente senza che le fosse riconosciuto alcun punteggio per il prestigioso titolo accademico. Con quasi 15 anni di esperienza, prende meno di 1400 euro netti al mese. E lei, Giannino, se ne viene fuori con stipendi base fermi e aumenti strettamente legati a meriti decisi “all’italiana”?
    Che la scuola vada riformata non ci sono dubbi, che vadano cacciate le mele marce anche, ma ricordi che il pesce puzza dalla testa. Incominciamo a far concorsi seri, per gli insegnanti ma anche per i dirigenti, imponiamo obiettivi minimi anche per i dirigenti, a livello di istituto: allora si potrà cominciare a parlare di efficienza.

  2. magolino

    …premesso che tutto, ma tutto il “barraccone/impalcatura” statale, tutt’oggi ancora in essere, ha come “dogma base” la centralità, dogma voluto, imposto e praticato per meglio gestire il “diritto” del potere a partire dal XX/ennio dove il “carrierismo” politico/socio/economjco veniva premiato non già in forza del ” bel sapere” ma unicamente in forza dell’appartennza/partecipazione ai “sabati giovinali/mercuriali” etc. ed in forza all'”obbedisco”, al “lei non sà chi sono io” etc. etc. cosa si vuole/pretende di “aggiornare” adeguandoci al “dettame europeo” se prima non si cambia tutta l'”impalcatura”? La deleteria centralità è poi stata sempre “benedetta” da una sinistra incapace, ignava e che, per meglio sentirsi importante dell’esserci, ne ha mantenuto/mantiene in essere tale “impalcaura”( vi ricordate gli esami collettiv, di gruppoi???). Dove il solo suo scopo è stato quello di restare impunemente critica all’opposizione cercando così, senza impegni diretti e quindi senza responsabillità, di smantellare quel poco di” meritocrazia” che ancora reggeva/puntellava il vivere della nostra società. Oggi, obbligata ad essere direttamente coinvolta alla gestione del paese, ci troviamo in una situazione di ingovernabilità che ci conduce sempre più mella china del degrado socio/economico/politico che parrebbe, purtroppo, non aver fine. La sinistra, per la sua stessa “sensibilità sociale”, non è e non sarà mai capace di essere ” l’alfa” del branco. Potrà essere la “forza” di contorno necessaria al manetinimento della “rivoluzione permanente”; vedi oggii i centri sociali etc. così come , nel XX/ennio, erano le camice nere. Renzi? Una anomalia tutta italiana, che scimmiotta la vera rivoluzione socio/polico/economica che la Germania ha attuato. Certe persone come certe barzelette , sarebbero sopportabili, se non avessero la pretesa di essere spiritose.
    E così sia
    Ke Linse

  3. ant

    E se invece si decidesse una buona volta sul buono scuola e sull’anolizione del titolo di studio? magari avremmo studenti più preparati e meno piagnistei da parte dei docenti.

  4. Alessio Calcagno

    @ant, 29 aprile 2015

    Hai ragione. Lasciamo i genitori ed i figli sianno liberi di scegliere. Lo stipendio del dirigente scolastico e degli insegnati deve dipendere dai buoni scuola elargiti alle famiglie. Questi buoni scuola siano finanziati dalla tassazione generale, dove un elemento di distribuzione delle risorse tra ceti diversi e’ possibile.

  5. Matteo

    Ma con quali criteri si è stabilito che il 20% degli insegnanti per ogni singola scuola siano immeritevoli?
    Ci possono essere scuole nelle quali i presidi potrebbero desiderare di cacciare più di metà degli insegnanti e scuole d’eccellenza dove gli insegnanti sono tutti di livello eccezionale e sono tutti meritevoli. Inoltre questa quota di un quinto definisce anche quelli per i quali si avvia la procedura di licenziamento, ma questo non come un una tantum, a regime ogni due anni la quota del 20% di licenziabili si rinnova, e in linea teorica nel giro di 6 anni si caccia il 50% degli insegnanti. E’ come la regola cieca della decimazione dei lager che è poi la stessa regola per scendere in serie B con il numero di squadre già fissato a priori. Ma non c’è nulla del genere nel privato, non si licenzia nel privato con il metodo della decimazione, ma si licenzia chi non fa il suo dovere o è inadeguato a svolgere il suo lavoro. Questa storia del 20% fisso, e poi addirittura scuola per scuola, è proprio mal in arnese e rende tutta la faccenda di premiare il merito una cosa problematica visto che è stato definito in modo strano proprio cosa si intende per merito.

Leave a Reply