8
Nov
2016

Uno Stato pazzo: persino contro i tornado la PA è divisa in lotte di potere

Immediate le polemiche politiche, sulla devastazione provocata dal tornado che domenica ha colpito il litorale romano, provocando due morti a Cesano e Ladispoli oltre a ingenti danni anche nella Capitale. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha messo nel mirino l’inadeguata manutenzione del territorio e del verde da parte del Campidoglio, e il vicesindaco Daniele Frongia gli ha risposto per le rime, respingendo la responsabilità di cattive prassi decennali in capo alla giunta che guida il Campidoglio solo da pochi mesi.

In effetti, questa volta è difficile dar torto al Campidoglio. Un conto sono i necessari investimenti da garantire per l’efficienza degli scarichi reflui stradali, caditoie e ricognizione degli alberi a rischio, perché travolti dal vento creano più danni a persone e cose di quanto costi la prevenzione. Altro conto è una riflessione più generale su come affrontiamo gli eventi eccezionali atmosferici nel nostro paese. E’ questo un terzo rischio, a fianco di quello sismico e di quello idrogeologico, da comprendere a pieno titolo nel quadro di quel necessario progetto pluriennale della messa in sicurezza nazionale che il governo chiama Casa-Italia, e che deve mobilitare diverse decine di miliardi in una grande alleanza pubblico-privata per tutti i maggiori interventi necessari. Perché altrimenti, come ieri ha autorevolmente confermato nella sua audizione parlamentare sulla legge di bilancio 12017 anche la Banca d’Italia, il patrimonio italiano da mettere in sicurezza è tanto ingente che lo Stato da solo non può farcela, nelle attuali condizioni di finanza pubblica molto indebitata. Il numero delle abitazioni residenziali presenti nella sola zona sismica 1, la più pericolosa, ammonta a circa il 5,6% del totale delle abitazioni italiane: si tratta di poco meno di 1,9 milioni di abitazioni, oltre la metà delle quali antecedenti ai primi criteri antisismici del 1971. E il 43% di quegli edifici sta in Campania, il 13% in Calabria..

Poniamoci allora tre domande. Quanto sono eccezionali in Italia, fenomeni come il tornado che ha colpito il litorale romano? Quanto pesano, nel loro determinarsi, le mutazioni climatiche in atto? E soprattutto: quanto e come spendiamo per i servizi di previsione meteo e per l’allerta da diffondere alle popolazioni in tempo utile?  Su questa terza domanda attenti: c’è un’amara sorpresa.

E’ ovvio che l’Italia non è la Tornado Alley degli Usa, il grande corridoio in cui l’aria caldo umida del Golfo del Messico si scontra coi fronti freddi settentrionali creando fino a oltre mille tornado annuo dal Texas risalendo al Nebraska, e colpendo con maggior violenza soprattutto l’Oklahoma. Tuttavia, l’Italia è il paese dell’Europa mediterranea a maggior rischio di fenomeni di questo tipo.  L8 Dicembre 1851 una enorme tromba d’aria causò cinquecento vittime nell’area di Marsala. Sessanta il 23 luglio 1910 in Brianza, ventitre il 24 luglio 1930 a Volpago del Montello, unico tornado della storia d’Italia classificato come F5 sulla Scala Fujita, cioè con venti stimati fino a 500km/h. Ancora vittime nel giugno 1957 nell’Oltrepò Pavese, nel 1965 tra Parma e Piacenza, nel 1968 presso Catania. Trentasei morti in Laguna Veneta nel settembre 1970, oltre 100 feriti di nuovo in Brianza nel luglio 2001, ancora a Mestre nel 2007, e case scoperchiate e molti danni sulla Riviera del Brenta nel luglio 2015. Oltre alla Pianura Padana, alla Laguna veneta e alla Sicilia, anche il litorale romano è un’area a rischio. Da Civitavecchia fino a Terracina, sono stati numerosi gli episodi devastanti nel passato: talvolta hanno raggiunto anche Roma, come nel 1961 con 4 vittime.

Ovviamente, l’andamento climatico è il primo fattore nel determinare le supercelle locali che generano venti a fortissima intensità da cui originano i tornado. Chi ne volesse approfondire le serie storiche e i trend evolutivi nel nostro paese, ogni anno ha a disposizione la relazione dell’ISPRA, L’Istituto Superiore per la Ricerca e Protezione dell’Ambiente, in cui si sintetizzano tutti gli andamenti della climatologia italiana nell’anno precedente. Nel 2015 in Italia il valore della temperatura media è stato il più elevato dell’intera serie dal 1961. L’anomalia media annuale è stata di +1.58°C e va attribuita a tutte e quattro le stagioni, con la punta più marcata in estate a +2.53°C. Dall’analisi della serie storica dell’ultimo mezzo secolo, all’inizio degli anni ’80 prende avvio il periodo con rateo di riscaldamento più elevato. Il 2015 è stato l’anno più caldo dell’ultimo mezzo secolo anche per il record della temperatura media annuale superficiale dei mari italiani: con un’anomalia media di +1.28°C. Negli ultimi 20 anni l’anomalia media è stata sempre positiva. L’aumento medio e massimo delle temperature accresce la probabilità di eventi atmosferici con venti eccezionali, quando fronti caldo-umidi si scontrano con strati più superficiali molto più freddi. Di conseguenza, ciò aiuta a spiegare i più numerosi eventi che hanno colpito l’Italia dal 2000 a oggi.

Ma veniamo al punto essenziale. Malgrado oltre mille eventi eccezionali di diversa intensità annua, nella Tornado Alley americana le vittime sono in decrescita dall’inizio degli anni Settanta. In ragione del fatto che i modellli previsivi son diventati più accurati, i tempi di allerta sono diventati compatibili con sistemi di immediata comunicazione ai cittadini per l’evacuazione, sul possibile percorso della tromba d’aria o d’acqua. Come siamo messi, in Italia?

E’ una storia paradossale, a raccontarla. Male, perché da molti anni è in corso una tenace guerra tra burocrazie. Dal 1910 addirittura il sistema meteo pubblico nazionale fa capo all’Aeronautica Militare. A metà anni Novanta il ministro Franco Bassanini dispose una riorganizzazione entro il 2000, accorpando il servizio, le sue maggiori stazioni di rilevamento nazionale e la sessantina circa diffuse sul territorio, entro la Protezione Civile.  Non avvenne. Nel febbraio 2014 il governo Monti riprese in mano la faccenda, sempre con l’obiettivo di ricondurre il servizio sotto la Presidenza del Consiglio. Ma niente ancora. Fino all’ultimo tentativo, che nel marzo di quest’anno ha visto ripreso l’iter della riforma da parte del governo Renzi.

Il motivo del contrasto è presto detto. Il nuovo Servizio Meteo Nazionale Distribuito confligge con il Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Aeronautica, e con i servizi meteo che le singole Regioni dagli anni ’80 hanno incorporato su scala locale nelle proprie Agenzie ARPA. Altre competenze sono poi spalmate tra ENAC, ENAV, e il CREA per il settore agricolo.  L’Italia è attualmente l’unico paese europeo insieme alla Grecia a restare con un servizio meteo pubblico gestito dai militari. In tutti gli altri paesi europei esiste un unico servizio meteo nazionale e civile. Negli USA ne fanno parte integrante le più avanzate Università pubbliche e private, per i sempre più elaborati modelli computazionali necessari alla previsione fluidodinamica. E sono integrati con un sistema di allarmi e sicurezza espressa in gradi che attiva automaticamente televisioni e radio, segnaletica stradale e ormai da anni anche telefonia cellulare.

E’ questo irrisolto  conflitto istituzionale che porta l’Italia a spendere solo lo 0,005% del suo PIL per il servizio meteo pubblico, cioè meno di 100 milioni in cui bisogna anche contemplare la quota di poco meno di 40 milioni che versiamo alle organizzazioni internazionali meteo in cui ci rappresenta l’Aeronautica,. Sono numerosi gli alti ufficiali dell’Arma Azzurra saltati d’incarico negli ultimi anni, per aver sostenuto la svolta “civile”, contrastata dagli Stati maggiori. E fu pubblico anche il contrasto più recente, tra il ministro della Difesa Pinotti, favorevole ai militari, e l’allora sottosegretario alla presidenza Delrio, propugnatore della riforma civile.

Conclusione: il decreto in bozza giunto al Consiglio dei Ministri è stato per l’ennesima volta rinviato a data da destinarsi. Ed è anche per questo che non saltano fuori i 150-200 milioni per dotarsi di una rete potenziata di radar particolari necessari al monitoraggio delle coste e dei territori a rischio, in grado di identificare in tempo reale le supercelle e le traiettorie eventuali, in modo da consentire tempi di allarme adeguati per le popolazioni. Per avere un’idea basti pensare che Meteo France ha 4000 dipendenti, in Germania ce ne sono quasi 3000. In Italia non sono mille neanche sommando tutti i militari e i civili che lavorano nelle ARPA regionali.

Vedremo ora se il governo Renzi riprende in mano questa riforma. Avrebbe assolutamente senso ricomprenderla in Casa-Italia. Tornando anche a istituire cattedre di meteorologia nelle Università italiane, che mancano oggi dell’insegnamento dopo l’uscita dalla scena accademica di pionieri come il professor Stefano Tibaldi di Bologna. Come si vede, la manutenzione degli 80 mila alberi a Roma è un problema serio. Ma c’è innanzitutto un grande problema nazionale irrisolto, caro ministro Galletti.

 

 

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