16
Ott
2016

I tre difetti di fondo della manovra. Bene sulle imprese, molti coriandoli il resto

Il governo ha varato la legge di bilancio 2017-triennale con il metodo a cui ci ha abituati. Una manovra di 26,5 miliardi dovrebbe essere presentata innanzitutto con tre chiare tabelline, riepilogative delle modifiche in taglio o in aggiunta delle entrate, della spesa pubblica, e delle coperture dei saldi ottenuti dalla somma algebrica delle prime due. Invece no, niente tabelle. Abbiamo solo le slides con cui il governo comunica le risorse attribuite ai capitoli che considera più significativi. La comunicazione politica con questo governo prevale su tutto. Ma il rigore dei numeri dovrebbe essere anteposto. Non solo questa regola dovrebbe valere sempre: vale ancor più per tre ragioni che sono la debolezza strutturale di questa manovra. La prima è che l’Ufficio Parlamentare del Bilancio –organismo terzo indipendente introdotto nel nostro ordinamento proprio per vagliare e certificare i numeri de governo – ha negato il suo timbro alle ipotesi macro sottostanti alla manovra, considerandole troppo ottimiste. E lo son o davvero, visto che il consensus internazionale è allineato alle stime UPB e non del governo.  La seconda, come vedremo, è l’aleatorietà del più delle coperture indicate dal governo alle nuove spese decise, in una manovra che oltretutto alza il deficit previsto di mezzo punto di PIL, dall’1,8% al 2,3%. La terza ragione la sanno tutti:  ogni numero di questa manovra è appeso in realtà all’esito del referendum del 4 dicembre, che avverrà a metà del cammino parlamentare della legge di bilancio e inevitabilmente la vedrà mutata sostanzialmente per effetto del terremoto politico conseguente a una vittoria del no.

Alla luce di queste tre ragioni, l’intero quadro previsionale di un deficit 2017 al 2,3% del PIL e dell’ inizio della discesa del debito (per l’ennesima volta slittato in avanti) resta appeso a una scommessa di ottimismo. L’ennesima, quando alle nostr spalle sappiamo bene che la storia dimostra che sempre le stime di crescita sono state sopravvalutate,  quelle del deficit e debito sottovalutate.

Il quadro delle coperture alle nuove spese illustrate ieri è ballerino. Bene infatti i 3,3 miliardi dovuti a risparmi mediante forniture gestite da aste telematiche CONSIP, e il miliardo e 600 milioni ottenuto riallocando spese previste sin qui in altri fondi (in primis quello di palazzo Chigi): questi 4,9miliardi sono ciò che resta della spending review, ma  a patto di capirsi. NON  vanno infatti a diminuzione della spesa bensì a copertura di spesa nuova. Altri 6 miliardi di entrate aggiuntive sono invece una pura azzardata scommessa: 2 miliardi dalla nuova voluntary disclosure (vedremo con quali incentivi aggiuntivi, magari sul penale, rispetto alla vecchia: ci sarà da discutere) e addirittura 4 miliardi dalla sbandierata abolizione di Equitalia. Nessuno ha finora capito, mancando un testo preciso, con che cosa l’attuale ente di riscossione coattiva verrà davvero sostituito una volta che si ingloba l’attuale struttura in AgEntrate (non cosa da ridere, i contratti dei dipendenti sono stanzialmente diversi), né in che misura il beneficio complessivo di minori interessi legali, di mora e di aggio a carico del contribuente sia davvero tale da far emergere 4 miliardi di nuovi entrate aggiuntive, indicate per di più al netto delle spese organizzative che bisognerà sostenere per cambiare la macchina di Equitalia. I propagandisti di Renzi fanno scrivere che il contribuente avrà un anno di tempo per pagare l’arretrato senza sanzioni: con certezza invece NON è così.  Chi ha letto bozze precedenti della norma sussurrava di rottamazione dei ruoli tributari – questa è la sostanza – attraverso riduzione degli interessi di mora, ma tenendo interessi legali e aggio e aggiungendo il 3% della somma accertata, che è cosa ben diversa dal dire “gratis”, In più si è aggiunta una recente sentenza della CTP di Treviso che giustamente e finalmente stabilisce che l’aggio di Equitalia NON va fatto pagare al contribuente, ma all’ente impositore per cui Equitalia opera. Vedremo di preciso che cosa dirà il testo. Ma una cosa è sicura:  nuove entrate per 4 miliardi da questa decisione sono aleatorie e ipotetiche, è un bluff a poker metterle dall’inizio a copertura di spesa certa.

Quanto alle priorità di spesa, è una legge di bilancio che strizza l’ovvio alle urne e costruita su due grandi pilastri. Renzi li ha definiti usando due categorie, “meriti e bisogni”, che rispolverano lo slogan usato da Claudio Martelli alla conferenza nazionale programmatica del Psi a Rimini, nella primavera del 1982. Il metodo resta assai più quello dei bonus e delle misure discrezionali a questi e a quelli, invece che misure generali e universali: un altro dei difetti essenziali delle 4 manovre finanziarie di questo governo.

Il pilastro essenziale del “merito” è quello degli incentivi alle imprese, ed è la parte più innovativa e convincente dell’intera manovra. Il pacchetto di misure per il sostegno all’innovazione Industria4.0 che si deve a Carlo Calenda e a cui vanno risorse di 1,4 miliardi nel 2017 e 13 miliardi nel triennio, con il superammortamento e l’iperammortamento agli investimenti tecnologici e a quelli nei settori della manifattura avanzata; la discesa dell’IRES dal 27,5% al 24% che da sola vale poco meno di 4 miliardi; l’IRI per artigiani e commercianti, che consentirà un aliquota del 24% invece di quella progressiva IRPEF per tassare il reddito della microimpresa personale; il rifinanziamento della legge Sabatini e l’aumento della decontribuzione al salario di produttività; l’abbattimento dell’IRPEF agricola; l’estensione dei bonus edilizi, dagli immobili privati anche agli alberghi; il regime fiscale agevolato al 25% per le partite IVA free lance; il rifinanziamento di 1 miliardo al Fondo di Garanzia per il credito alle piccole e medie imprese, e via proseguendo. Il fine è di registrare nel 2017 un salto in avanti per recuperare il più possibile di quell’oltre 25% di investimenti persi nazionalmente dal 2008 a oggi. E di rimettere al centro dell’agenda nazionale la produttività, che rispetto ai nostri competitors è stagnante da 20 anni. Doveva essere questa la priorità sin dall’inizio, rispetto ai bonus sin qui elargiti che hanno impegnato 2 punti di PIL di risorse pubbliche, con risultati di crescita e consumi inferiori alle attese.

Quanto ai bisogni, la parte maggioritaria degli stanziamenti è costituita dai 7 miliardi triennali di cui 2 per il 2017 per i prepensionamenti APE e per l’aumento della quattordicesima, e dai 2 miliardi aggiuntivi al Fondo Sanitario Nazionale. E’ apprezzabile che una parte delle risorse addizionali alla sanità sia volta ai malati oncologici e ai trattamenti molto cari per patologie gravi. Quanto ai prepensionamenti, la scelta del governo per i requisiti contributivi minimi – 35 anni versati per l’APE volontaria e 30 per i disoccupati e gli “usurati” – è considerata troppo elevata dal sindacato, e bisognerà vedere se e come verrà modificata soprattutto al Senato, dove la maggioranza ha margini più esigui. Ma diciamolo chiaro: già nella formulazione attuale lo Stato, cioè la fiscalità generale versata da tutti i contribuenti, dovrà sborsare una parte dell’anticipo dell’assegno a chi si prepensiona volontariamente, visto che la penalità massima del 4,5% annuo non copre integralmente i costi dell’anticipo bancario, e della controassicurazione che le banche dovranno stipulare. Ed è una scelta per me inaccettabile, destinare risorse al prepensionamento volontario di chi un lavoro ce l’ha, rispetto alla vera priorità che è quella dei giovani che non ce l’hanno e avranno pensioni che, nella migliore delle ipotesi, saranno molto più basse. Aggiungo che purtroppo l’aumento di mezzo miliardo del Fondo per la lotta alle povertà è invece rinviato al 2018: anche questa dovrebbe essere una priorità, rispetto ai prepensionamenti.

E’ più utile invece che, nel capitolo dei “bisogni”, si rafforzi con 600 milioni l’impegno a favore delle famiglie. L’esperienza di questi anni ha dimostrato che servirebbe una revisione generale e universale delle detrazioni d’imposta sui redditi, incrociata con i criteri ISEE. La strada è invece ancora una volta – ma meglio di niente – quella dei bonus: la conferma del bonus bebè e del bonus baby sitter, l’introduzione di un nuovo bonus “mamma domani” al settimo mese di gravidanza. Mentre è senza dubbio positiva la scelta di un voucher di mille euro per sostenere il costo dell’asilo nido. Come è per Renzi politicamente coraggioso, anche in primis rispetto al suo partito, il pacchetto di misure volto al sostegno delle scuole paritarie private, a cominciare da quelle particolarmente impegnate nel sostegno ai disabili.

Restano, tra le maggiori, due grandi poste. La prima, fondamentale, è quella delle “spese per circostanze eccezionali”, sottoposte alla valutazione della Commissione Ue: i 4,5 miliardi per la ricostruzione post terremoto, e i 3 miliardi per le spese dovute all’immigrazione. La seconda è quella destinata ai dipendenti statali. Del miliardo e 900 milioni al settore, se si escludono le somme per il comparto delle forze dell’ordine e militari e per le nuove assunzioni, per il rinnovo generale dei contratti dei lavoratori pubblici ne resta poco più della metà. Anche su questo bisognerà misurare quanto il Senato darà ascolto alle richieste sindacali di alzare la posta.

 

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1 Response

  1. Piero montessori

    Ormai la classe politica tutta tutela i tutelati a scapito degli altri. Politici,sindacalisti,pensionati baby junior e prepensionati tutti a prendere più di quanto abbiano mai dato ! Un esercito di beneficiati che vive a schiena di schiavi condannati a lavorare per tutta la vita è che rubano il futuro dei futuri poveri e disperati che altri non sono che i loro figli e nipoti. I quali non avranno ne il lavoro ne la pensione.

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