17
Feb
2011

Per crescere di più, aiutare ad aiutarsi chi fa di più: 2) le “medie” che esportano, il Sud un disastro

Ieri tre notizie sul fronte dell’economia. La prima, annunciata in una conferenza stampa congiunta del governo con banche e associazioni d’impresa, è la protrazione della moratoria bancaria per le aziende. La seconda la conferma da parte del ministro dell’Economia che, al di là dei primi deludenti provvedimenti messi allo studio nel Consiglio dei ministri della settimana scorsa, si mette mano alle misure che formeranno il piano nazionale di riforme che ad aprile dovrà essere presentato dall’Italia in sede europea, per costituire banco di giudizio della nostra affidabilità insieme alla tenuta dei conti pubblici. La terza è che Giulio Tremonti ha detto a fianco di Silvio Berlusocni che anche a suo giudizio per la crescita occorre fare di più, dopo che nei due anni alle nostre spalle l’Europa e i mercati mondiali hanno dovuto riconoscere l’abilità sua e del governo nel tenere sotto controllo il deficit aggiuntivo molto più rigorosamente di quanto avvenisse da parte del più dei Paesi avanzati. E’ una risposta a chi ha immaginato o scritto che il ministro dell’Economia anteponesse considerazioni politiche alla priorità dello sviluppo. Vedere per credere. Ma perché non ammettere che sappiamo benissimo tutti, che per crescere di più bisognerebbe aiutare ad aiutarsi chi già fa meglio e di più? La risposta è: nel dirlo, si commette un delitto rispetto alla logica egualitaria, quella che ripete sempre che gli interventi devono pensare innanzitutto al Sud. So che è tosto affermarlo, ma i fatti sono i fatti. Il gap meridionale chiede una rivoluzione civile e amministrativa di lungo percorso e incerti risultati – è fallita in 150 anni – la crescita aggiuntiva a breve si ottiene puntando su altro.Due parole ancora su Tremonti. Ieri non ha perso l’occasione per “abbellire” la bassa crescita italiana.  Ha messo in guardia da una lettura comparata della crescita italiana che non tenga conto del fatto che, in alcuni casi, altri Paesi hanno ottenuti risultati migliori ma grazie alle bolle mobiliari o immobiliari di cui hanno finito poi per pagare il conto loro, estendendolo anche all’intera Europa. Ha ragione, il superministro dell’Economia? Secondo me solo in parte. Al netto delle basse tasse che hannio spinto le econoie e che restano un bene per me, e non un bene per il ministro – una differenza nopn da poco, in termini di idea generale di che cosa lo Stato debba o non dbba fare, per la crescita , rispetto al mercato e alle imprese – è sicuramente questo il caso della Spagna o dell’Irlanda. Ed è anche vero che nel 2010 e 2011 la Francia cresce più dell’Italia ma con un deficit pubblico superiore del 50% al nostro, superiore al 75 del Pil rispetto al 5%. Ma non è questo il caso della Germania, il leader dell’euroarea che è ai record di crescita come di occupazione dai tempi della riunificazione, grazie a due scelte concomitanti. Grande rigore nella finanza pubblica, perché ha posto in Costituzione limiti tanto al deficit pubblico che alla pressione fiscale, e questo le ha consentito di riallocare il welfare con meno spesa pubblica laddove esso serviva di più al contempo abbassando le tasse. E’ vero altresì come ha detto Tremonti che la Germania resta il grande Paese dell’euroarea con il maggior problema di attivi bancari poco affidabili, da parte delle grandi banche regionali pubbliche che si erano spinte molto in avanti nella finanza ad alta leva. Ed è giusto per questo che nel grande patto europeo di cui si discute in queste settimane, e che si chiuderà entro aprile, non pesino solo il deficit e il debito pubblico ma altresì il debito totale di famiglie e imprese, e la solidità patrimoniale dei rispettivi sistemi bancari, visto che i salvataggi dell’eurodebito sono stati sin qui innanzitutto ancora una volta salvataggi delle banche tedesche e francesi, piene di titoli pubblici greci, irlandesi e spagnoli (i nostri più grandi creditori pubblici sono i francesi, secondo le stime della BRI di qualche mese fa). ma è anche vero che nessuno di questi argomenti sfiora il punto vero di fondo, secodno me, della bassa crescita italiana. Che presiste alla crisi, e non si deve al fatto che virtuosamente avremmo evitato bolle. Per dirne una, abbiamo il sistema bancario meno instabile tra grandi paersi europei, ma ne abbiamo pagato un ben caro prezzo, in termini di spread aggiuntivi a parità di unità di capitale intermediate a imprese e famiglie. E non si è trattato – e non sin tratta – di spread a copertura di una più bassa soglia di rischio di controparte, bensì di premi all’inefficienza del sistema bancario (restiamo per esempio l’unico grande sistema dl credito che esce dalla crisi senza grandi ristrutturazioni industruiali e di addetti e occupati, e che cosa pensi dell’industria dell’asset management l’ho scritto pochi giorni fa a proposito del caso Eurizon-Pioneer: su cui la grande stampa continua a dormire, evidentemente d’accordo con tremonti sull fatto che viene prima l’esigenza di avere un grande compratore nazionale di titoli del debito pubblico, che un’industria del risparmio gestito efficiente per il risparmiatore. Per me vale l’esatto opposto).

Purtroppo il problema della bassa crescita italiana è una costante da diversi anni. Crescevamo meno dei Paesi avanzati prima della crisi, usciamo dalla grande recessione con lo stesso guaio. Fatto pari a 100 il Pil italiano nel 2001 e quello dei paesi avanzati Ocse, quello italiano nel 2007 era solo arrivato a 103,5. Quello OCSE a 113,5. A metà 2009, il punto più grave della crisi mondiale, il nostro Pil era sceso a 97, quello medio OCSE a 111. Se cresciamo dell’1% nel 2011 come nel 2010, a fine di quest’anno il nostro PIL sarà tornato poco sopra il 100 del 2001. Quello OCSE sarà a quota 116.

Sappiamo ormai molto bene, grazie a studi come quelli dell’Ufficio Studi e Ricerche di Mediobanca guidatro da Fulvio Coltorti e della Fondazione Edison del professor Fortis, quali sono le imprese che sostengono meglio l’economia italiana. Se consideriamo il valore aggiunto, il metro per salire nella graduatoria di competitività dei prodotti per un Paese che dipende al 70% della sua crescita a breve dall’export manifatturiero, sono le meno di 10mila imprese medie del quarto capitalismo italiano, quelle che hanno fatto e fanno meglio. Il loro valore aggiunto, da 100 nel 2001 era a 127 nel 2007, è sceso a 112 a metà 2009 e ora è risalito a 117. Molto meglio dei grandi gruppi privati italiani, che da quota 100 erano solo a 106 nel 2007, e che ancor oggi restano a quota 90. Idem dicasi per le esportazioni. Le medie imprese internazionalizzate hanno innalzato il loro export da 100 nel 2001 a quasi 160 nel 2008, sono scese a 135 nel 2009 e ora sono tornare a quota 145. I grandi gruppi sono passati da 100 nel 2001 a 132 nel 2008, per poi scendere a 111 nel 2009 e risalire ora a quota 120.

So bene che errate convinzioni egualitarie vorrebbero che incentivi e politica andassero a chi se la cava peggio, invece che a chi va meglio. Ma è dando una mano proprio ai settori e alle tipologie d’imprese che creano il più dell’export e della crescita aggiuntiva, che noi ci possiamo mettere in condizioni di aggiungere crescita a breve al nostro Paese, occupati e reddito. Ricordando bene un’alta particolarità: siamo il Paese avanzato in cui le piccole imprese non sono solo enormemente più diffuse, ma che già oggi e anche nella crisi hanno mostrato una vitalità nell’export e nell’internazionalizzazione senza pari. Il 21% del nostro export viene dalla piccola, il doppio esatto di quanto capiti in Francia e quattro volte ciò che avviene in Germania. Le piccole hanno bisogno di più capitale e di migliori manager e formazione per crescere, oltre che di meno tasse visto che il sistema per come è congegnato fa gravare su di loro un prelievo sul reddito lordo anche di 30 punti superiore a quello dei grandi gruppi.

C’è poi il problema del Sud, che realizza solo il 7% dell’export italiano. Che non ha saputo mettere a frutto oltre 400 miliardi pubblici spesi in 4 decenni. E che non si fida del federalismo in corso di esame. E’ il capitolo sul quale occorrono non più risorse, ma più discontinuità di procedure – per decidere siti e far lavorare i cantieri delle infrastrutture – e soprattutto di responsabilità delle classi dirigenti locali. Non sarebbe male, se il piano nazionale delle riforme che l’Italia presenterà in aprile all’Europa nascesse proprio dalla volontà di rilancio e riscatto, di un’unità che in un secolo e mezzo ha fallito molte delle sue promesse. Se fosse così, dovrebbe puntare soprattutto su chi ha mostrato di saper fare di più. L’egualitarismo non serve, della crescita anzi è nemico.

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8 Responses

  1. Carlo

    Caro Giannino,
    intervengo sulla necessità che lei sostiene di “aiutare ad aiutarsi chi già fa meglio e di più”.
    Se questo significa evitare elemosine assistenzialistiche al Sud, sono d’accordo con lei, se invece ritiene che dovremmo continuare ad ignorare che una parte del paese (il Sud) vive e sempre di più vivrà in una situazione economico-sociale a dir poco anomala (e, mi passi il termine, “innatuarale”), beh, questa mi sembra una sciocchezza.
    Concordo sul fatto che il gap meridionale richieda interventi incisivi. Ma gli obiettivi dovrebbero essere:
    1) la lotta vera alla criminalità e all’illegalità in generale;
    2) il miglioramento delle infrastrutture.
    Per quanto riguarda la “logica egualitaria” di cui parla, i dati storici e la situazione attuale dicono che non c’è mai stata. E in 150 il divario (che non c’era) si è creato ed è aumentato.
    Se la maggioranza degli italiani che contano continueranno a pensarla come lei, finirà che prima o poi quelli del Sud si facciano due conti e comincino a pensare: cui prodest l’unità d’Italia?
    E poi non facciamoci troppe domande sulla crisi della rappresentanza verticale…
    La seguo moltissimo ed apprezzo il suo acume, le sue idee liberiste e liberali e la sua ecletticità è sempre sorprendente. Quando parla del Sud, però, mi sembra che lei liquidi le questioni in modo troppo superficiale.
    Con stima,
    Carlo

  2. pier

    semplice curiosità, il pezzo sul Messaggero, “Riforme e crescita, l’obbligo di osare” mi è sembrato leggeremente diverso. Problemi di spazio o altro?

  3. mason antonio

    Oscar Giannino ho ascoltato per radio 24 che lei sostiene la legge sulle quote rosa. Meglio io che prenda le distanze da lei . Giannino lei si tenga questa societa’ in declino irresistibile io cerchero’ di emigrare e remare contro questa minoranza bianca,ormai rimbecillita,che verra’ spazzata dai giovani popoli asiatici.Forza Cina bastona, facendoli lavorare alla cinese ,12 ore al giorno, questi smidollati bianchi occidentali.Mentre gli europei discutono intorno a queste idiozie : quote rosa si, quote rosa no, la Cina ha acquistato con i soldi e la tecnologia l’ intera Afica . Giannino lei continui a discutere ,il non senso, tanto caro al popolino.Giannino lei mi ha deluso.

  4. Alessandro Terracina

    Il ministro Tremonti con al suo fianco il presidente del consiglio più bravo degli ultimi 150 anni, ha sparato un sacco di inesattezze!!! Ragazzi vi invito a leggere il sito noisefromamerika per avere un’idea di quanto sono incompetenti i nostri ministri in economia!!! E smettiamola con questa falsità che Tremonti ha salvato l’Italia, non ne posso più!!! Abbiamo dei giornalisti (che non sanno niente di economia) che quando vanno alle conferenze stampa del ministro Tremonti si bevono tutto quello che dice senza controbattere!!! é una vergogna!!!

  5. Vincenzo Accurso

    “Non sarebbe male, se il piano nazionale delle riforme che l’Italia presenterà in aprile all’Europa nascesse proprio dalla volontà di rilancio e riscatto, di un’unità che in un secolo e mezzo ha fallito molte delle sue promesse. Se fosse così, dovrebbe puntare soprattutto su chi ha mostrato di saper fare di più. L’egualitarismo non serve, della crescita anzi è nemico” In linea generale e’ difficile non essere d’accordo,ma mipiacerebbe capire in termini reali che cosa significa,e’ possibile realizzare una simulazione?.

  6. “L’egualitarismo non serve, della crescita anzi e’ nemico’, scrive Giannino; mi permetto di aggiungere, deprime i migliori e premia i peggiori, come il sei politico a scuola.
    La vera ricchezza di un Paese e’ generata dall’export di beni e servizi.
    Per quanto riguarda i beni l’Italia, priva di risorse naturali, non puo’ che importare materie prime, trasformarle in prodotti finiti a piu’ alto valore aggiunto possibile ed esportarli, quanto ai servizi, disponendo del patrimonio culturale piu’ ricco al mondo e di bellezze naturali incomparabili dovrebbe puntare sull’export “culturale” .
    Certo, per esportare bisogna eccellere, conditio sine qua non, ed eccellere vuol dire proporre beni e servizi migliori di quelli dei concorrenti, dato che non possiamo in molti casi competere sul piano dei costi. Or dunque e’ necessario stimolare ed incentivare la ricerca scientifica, lo sviluppo dei prodotti e servizi esistenti e lo sviluppo di nuovi prodotti e nuovi servizi in quelle aziende che sono gia’ in pista e competono abitualmente nel mercato globale. Grazie a questi incentivi queste aziende potranno rafforzare il proprio posizionamento competitivo nel mercato, incrementare l’occupazione qualificata ed effettuare spin off anche in quelle aree depresse del Paese che sapranno offrire “condizioni ambientali” idonee.

    Dove prendere le risorse economiche per incentivare ed aiutare in tal senso le aziende “esportatrici abituali” ?
    Riducendo del 15% il costo della pubblica amministrazione mediante la soppressione di
    “quegli inutili e dannosi uffici intermedi e paralleli ove molti presbiteri, scribi e farisei siedono, si riuniscono e decretano piu’ per il proprio interesse che per quello del popolo. Guai a voi che col pretesto di dare lavoro al popolo mantenete quegli uffici, ripeto inutili e dannosi, al solo scopo di garantire a voi stessi ed ai vostri giannizzeri le cattedre che occupate ed aumentare le vostre ricchezze a danno delle genti; fuori i mercanti” da “SE GESU’ FOSSE TREMONTI…” reperibile e commentabile sul blog: http://www.segesufossetremonti.blogspot.com.

  7. roberto

    Gentile Dott. Giannino,
    io sono un suo fan sfegatato poiche ritengo il suo pensiero molto coerente con la realtà in cui viviamo.
    Le scrive un meridionale, un agente di commercio di 37 anni che ogni santo giorno percorre circa 400 km forse peggio di un camionista per portare a casa un utile, ovviamente senza benefit ne rimborsi e che purtroppo dichiara tutto e con un mutuo sulle spalle, pago le tasse in toto anche se alle volte mi capita di non poterle pagare per tempo visto il momento di totale crisi, è lo stato mi ammazza peggio di un usuraio incallito.
    Ma le scrivo anche perchè oggi mi è balzata agli occhi la situazione di affittopoli tra cui figurano anche persone della lega nord, sà vorrei chiedere a questa gente con quale spirito dirà nuovamente in tv agli elettori che i meridionali sono evasori, molti anche fannulloni, e che cercano sempre di approfittare del prossimo, che vivono alle spalle del nord che li mantiene.
    Sicuramente in parte è anche vero ma non totalemente come viene descritto perchè c’è tanta gente che si suda il proprio stipendio che lavora in maniera esagerata pur di avere un minimo da portare a casa.
    Io con 600 euro di canone di locazione non pago neanche le spese tra condominio e utuenze varie, figuriamoci il mutuo che avrò se Dio vuole ancora per 20 anni.
    Ora ritengo che gli ordini professionali come lei ha sempre ribadito debbano essere soppressi, l’Enasarco un altro carrozzone per ingrassare sempre i piu dritti, però mi conceda, in maggior parte non meridionali, ma principalmente chi non ne ha diritto.
    Quindi vorrei che questa gente mi ringraziasse almeno una volta nella vita poiche anche con parte dei miei versamenti e con la tassa di solidarieta che mi fanno pagare vivono una bella favola, mentre a gente come me rimane solo l’amarezza della dura legge della vita.
    Cordialità.

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