22
Set
2009

Risanamento: non lo dico mai, ma questa volta sì, viva la Procura

La Procura di Milano oggi è stata limpidamente coerente, glie ne va dato atto. Chiedendo il fallimento del gruppo Risanamento per cessata continuità aziendale già dall’anno scorso, e contestando dunque come falso e illegale il bilancio al 31 dicembre 2008 regolarmente approvato, i pm milanesi a mio giudizio non potevano in alcun modo considerare una ristrutturazione del gruppo volta a ripristinarlo rapidissimamente in bonis il piano sottoscritto da Banca Intesa, Banco Popolare, Unicredit e BPM. Per Risanamento, si parla di un’esposizione debitoria intorno ad almeno 3 miliardi e mezzo di euro, ben superiore ai 2,8 inizialmente dichiarati. All’attivo, immobili per un valore stimato in 4,1, ma che non hanno trovato compratori neanche per poco più di 2. A fronte di ciò, i 760 milioni di euro dichiarati dal piano bancario vedono solo 150 mio di apporto di capitale immediato, in una manovra per altro estesa sino al 2014. Dunque appare più che corretto il no al piano oggi ribadito dai pm milanesi, e vedremo quale sarà stamane la decisione del giudice fallimentare.  Mentre le società operative sono state avviate alla liquidazione dallo stesso Zunino ancora in sella, prima della sua stessa estromissione, affidandole a professionisti “amici”, emerge il chiaro sospetto che le banche siano solo intente a rinviare la registrazione delle perdite  proquota su propri libri contabili, e a ricercare un compratore amico e a buon prezzo per l’area di Santa Giulia. Corrado Passera ha ribadito ai pm che il piano delle banche è serissimo. E’ proprio l’ad di Intesa il più esposto, e non a caso nel travagliato confronto preaccordo altre banche mi risulta abbiano messo a verbale che la misura era colma.  Mi auguro solo che il giudice fallimentare abbia la schiena dritta. Sarebbe la prima volta che davvero si sancisce il ruolo di primo piano esecitato dalle grandi banche nel sostenere i cosiddetti “furbetti”, mentre sino ad ora sembrava quasi che fossero dei nani malefici prodotti improvvisamente da chissà quali sortilegi. Non commendevole la figuretta rimediata dalla Consob, che si era precipitata a esentare le banche dall’obbligo di Opa, accogliendo la loro richiesta di tale condizione come pregiudiziale per depositare il piano in Tribunale.

21
Set
2009

Nucleare: il tempo della credibilità

C’è un tempo per la propaganda, e c’è un tempo per la credibilità. Sul nucleare, le promesse un po’ fru-fru sulla “prima pietra in cinque anni” sembrano ormai lontani un secolo. Va dato atto al governo di essere riuscito a predisporre una “traccia” di quelle che saranno le tappe per il ritorno all’atomo, sebbene i problemi aperti siano ancora molti e non secondari. Alcune scelte le trovo molto giuste – come la determinazione a garantire la linearità del percorso amministrativo. Altre, molto discutibili – come i vari tracheggiamenti sull’Agenzia di sicurezza, per non dire dei siluri scajoliani all’Autorità per l’energia. Comunque, lo sfondo dell’azione governativa è impostato: si tratta ora di guardare avanti, cercando di correggere i passi falsi e indurre il paese a prendere le misure necessarie e sufficienti (non di più) alla realizzazione di nuova capacità nucleare, dopo un blackout durato trent’anni. Un interessante contributo alla comprensione di cosa la maggioranza abbia in mente viene dalla lettura della ricca intervista concessa da Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all’energia, a Quotidiano Energia (subscription required).

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21
Set
2009

Torna il credit crunch. O no?

Da qualche settimana sta verificandosi un fenomeno che desta qualche preoccupazione sull’evoluzione della congiuntura: gli aggregati monetari stanno contraendosi. Ciò ha indotto alcuni osservatori (ultimo in ordine di tempo Albert Edwards, lo strategist – e noto perma-bear azionario – di Société Générale) a parlare esplicitamente di ritorno del credit crunch.

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20
Set
2009

Unfit

I giornalisti italiani si dividono in quelli che ritengono l’Economist il settimanale più autorevole ed interessante del mondo – quando parla male di Berlusconi – e in quelli che lo ritengono un fogliaccio filodiretto da una ganga di soliti noti – perché parla male di Berlusconi. Agli uni e agli altri farebbe bene leggere questo  editoriale del settimanale britannico, che mette in fila spietatamente gli errori di un personaggio che sembra sempre più “unfit” a guidare un grande Paese occidentale. Nel caso specifico, non si tratta di Silvio Berlusconi.

20
Set
2009

Su quale Paese sia più giusto, se a minor dispersione o con ascensore veloce

Al workshop Ambrosetti di Venezia dei giovani di Confcommercio il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, a proposito di quale sia il modello di Paese più giusto, a un certo punto ha pianamente riconosciuto che le tante polemiche alimentate in Italia sull’eccessiva dispersione dei redditi siano in realtà infondate. In termini di coefficiente di Gini, l’indice che misura la forbice di distribuzione del reddito disponibile tra percettori, l’Italia sta assolutamente nella mediana dei Paesi europei, incomparabilmente meglio dei Paesi anglosassoni. Ma la domanda è un’altra. Qual è davvero il Paese più “giusto”? Quello con pochi ricchi e pochi poveri, come molti intuitivamente ritengono? La risposta è no, e qui trovate solidi numeri a dimostrarlo. Read More

20
Set
2009

Quattro lezioni del “socialista” Kristol

Di Irving Kristol hanno già parlato Oscar Giannino e Pasquale Annichino, e a quanto da loro scritto vorrei limitarmi ad aggiungere poche cose. Sono del partito che ritiene che la cosa migliore di Kristol fosse la moglie, Gertrude Himmelfarb, grandissima storica. Penso anche (come LucaF nei suoi diversi commenti) che l’influenza di Kristol sul movimento conservatore americano sia stata, dal punto di vista delle idee, almeno in parte deleteria: basti ricordare il suo celeberrimo articolo a favore di un “conservative welfare state” (che incorniciava idealmente il “big government conservatism”, su cui non si raccomanderà mai sufficientemente questo bel libro di Michael Tanner). Tuttavia, le cose non sono così semplici. Read More

20
Set
2009

Keynes totalitario: ricordate sempre

Nell’autunno del 1936, la Teoria Generale di Keynes fu tradotta e pubblicata in Germania, dove Hitler era al potere da oltre tre anni. Ai discepoli e nostalgici del grande ispiratore delle manovre economiche pubbliche non piace ricordarlo, e infatti praticamente tutti i libri su Keynes si guardano bene dal ricordarlo. Ma questa, testualmente, è la frase che scrisse nella sua presentazione al lettore tedesco della sua Teoria Generale:

The theory of aggregate production, which is the point of the following book, nevertheless can be much easier adapted to the conditions of a totalitarian state [eines totalen Staates] than the theory of production and distribution of a given production put forth under conditions of free competition and a large degree of laissez-faire. This is one of the reasons that justifies the fact that I call my theory a general theory. Since it is based on fewer hypotheses than the orthodox theory, it can accommodate itself all the easier to a wider field of varying conditions.

Non credo ci sia bisogno di alcun commento. Keynes se lo diceva da solo, che lo Stato totalitario era la miglior cornice per mettere in pratica il suo modello.