15
Ott
2009

Banca per il Mezzogiorno, non è peccato

Prima di sparare, come ha fatto con ironia Carlo Stagnaro qualche ora fa sull’ennesimo “carrozzone” annunciato, suggerisco di riflettere. Per conto mio mi espongo volentieri al pubblico ludibrio. La Banca per il Mezzogiorno varata oggi dal governo credo proprio che debba essere considerata una grande novità positiva. Non siamo più ad annunci, il progetto è concreto, quindi si può ragionare in termini diversi alla colorita iniziativa di anni fa, una scatola vuota affidata a Carlo di Borbone. Ora la faccenda – finalmente – è del tutto diversa.

Diceva Donato Menichella: “il problema dell’Italia è che non ha mai avuto un ceto finanziario interessato a fare banca per fare banca, invece che altro”. Si riferiva alla crisi del sistema che portò alla legge bancaria del 1936, alla nascita dell’IRI e delle BIN pubbliche. Ora i tempi sono molto cambiati. Ma la sfida lanciata con la proposta Banca per il Mezzogiorno ha in sé questo di innovativo: rilancia la sfida di Menichella. Torna a voler fare dello sviluppo del Sud una grande questione nazionale. Come ai tempi di De Gasperi. E tenendo ben presente la storia recente. Quella cioè, che vide il salvataggio dei banchi meridionali costare più di un punto e mezzo di Pil alla Banca d’Italia, cioè a noi tutti.

È vero, sul progetto da anni aleggia una certa diffidenza. Del tutto giustificata. Proprio in ragione del fatto che, dopo i decenni del dopoguerra in cui svolsero una funzione straordinariamente efficace per il rilancio del Sud, le banche meridionali caddero in una crescente spirale di concessione del credito secondo criteri diversi dal ritorno del capitale e dal merito effettivo dei progetti da finanziare. La politica – nazionale e locale – ebbe una pesante responsabilità nello snaturare la storia lunga e gloriosa degli istituti creditizi del Sud. Una storia che, nel caso del Banco d di Napoli, ben prima del 1539 data ufficiale di nascita affondava le sue radici all’inizio del Quattrocento.

Il dato di fatto è che attualmente nessuna grande banca privata italiana ha più la “sua testa” nel Sud. E’ un’anomalia in tutta Europa. E’ un merito del “nordista” Tremonti, secondo me, volervi porre riparo. Per sanare tale anomalia ma evitare i rischi del passato, lo schema di Banca per il Mezzogiorno contiene tre garanzie che il Parlamento deve assolutamente preservare e, se possibile, rafforzare ulteriormente.

La prima è che la politica si autolimita sin dall’inizio. Lo Stato sarà da subito minoritario, nel capitale del comitato promotore. Ed entro cinque anni dovrà uscire integralmente dal capitale della banca redistribuendo il capitale pubblico ai soci privati, tranne mantenere un’azione sola, del tutto simbolica.

La seconda è che l’appello a “fare” la banca è rivolto alle oltre 100 banche territoriali di credito cooperativo già presenti nel Sud con oltre 600 sportelli, e alle imprese e alle categorie produttive che operano nel Mezzogiorno. Sta qui la sfida di Menichella: che i privati meridionali dimostrino ora la loro capacità e voglia di “fare banca per fare banca”, non per fare altro. Non si tratta di riallocare in più impieghi al Sud la raccolta bancaria del Nord. Il Sud deve fare più impieghi al Sud della raccolta locale. Si può fare.

La terza è che l’aliquota fiscale agevolata, del 5% invece del 12,5% per cento che grava sui titoli finanziari, viene riservata a emissioni di obbligazioni finalizzate esplicitamente a ripatrimonializzare le banche socie che della Banca del Mezzogiorno come holding di secondo livello saranno lo strumento operativo sul territorio. E a consentire quindi più impieghi alle imprese, tanto in capitale di debito che in capitale di rischio, e più risorse per le infrastrutture.

Sono stato personalmente il primo, sul Mattino e sul Messaggero, a indicare per il Sud un modello analogo al Credit Agricole francese, costruito in decenni partendo dal basso, dall’esperienza e dalla prudenza dalle casse rurali transalpine, fino a diventare un grande gruppo europeo. Ed è proprio a quel modello, che ha fatto esplicito riferimento ieri Tremonti. Per le BCC chiamate a ripatrimonializzarsi e a fare su più vasta scala ciò che già facevano separatamente al Sud, è una straordinaria occasione storica. Segna la possibilità di un eccezionale scatto in avanti, mettendo a sistema raccolta e costi operativi, senza rinunciare in nulla alla propria identità ed ancoraggio territoriale.

Certo, alle grandi banche private del Nord non può piacere troppo il coinvolgimento di Poste Italiane, dei suoi 4mila sportelli nel Sud e della sua pingue raccolta di depositi. È un primo passo verso la piena licenza bancaria per Poste, anche se le funzioni operative saranno demandate alle BCC e alla Banca per il Mezzogiorno come holding. Ma la logica di rendere disponibile una parte della grande raccolta postale, per far crescere l’economia e non solo in funzione di risparmio, è giusta e positiva.

Ora la politica deve guardarsi dal commettere errori. Le Regioni, per dirne una, devono pensare a un ruolo nel comitato promotore di puro osservatore, non certo operativo. È il piano di sviluppo del Sud affidato ieri al coordinamento del ministro Scajola, il tavolo al quale le Regioni devono far pesare le proprie richieste per l’utilizzo dei fondi FAS a fini di poche chiare priorità, e di rifinaziamento dei fondi tecnologici automatici per l’impresa, attualmente già esauriti fino al 2011. È quel piano, a dover dettare le maggiori scelte di fondo infrastrutturali e di sistema, per contenere le diseconomie che finora hanno gravato come costi aggiuntivi sulla bassa produttività meridionale, che è la vera sfida da vincere in tutti i settori.

I grandi banchi meridionali del passato, finché hanno funzionato correttamente, come tutte le banche sane hanno prosperato costruendo e diffondendo fiducia. È questa la prima sfida da vincere, nel Sud come nell’Italia tutta. Senza nuova fiducia e maggiori profitti, non c’è più reddito per il lavoro né più margine per le aziende. Ma solo una prospettiva di stagnazione alla quale non è affatto necessario rassegnarsi.

11 Responses

  1. La Banca del Mezzogiorno è il modello Crédit Agricole a rovescio: invece che dal basso, parliamo di una struttura creata e governata dall’alto, che opererà in un territorio con una pessima storia bancaria. Le conseguenze saranno ben differenti.

  2. Alessio

    “Il Credito cooperativo condivide con la parallela esperienza delle Banche popolari gli intenti sociali e la forma giuridica della società cooperativa.” alla base di questa frase presa da Wikipedia mi chiedo : Perchè solo le BCC…e non le Banche Popolari e/o le Casse di Risparmio?

    Distinti Saluti
    Alessio

  3. Rino P.

    Caro Oscar… mi sa che ti sei preso l’infezione pure tu …. (vedi l’incipit dell’articolo piu’ letto su IBL).

  4. oscar giannino

    Mi sa che c’è veramente da riflettere. tra chi si fa risate in nome di non ho capito che e chi pensa che mi sia infettato, oppure il prof Arrigo che spara a prescindere pure lui invece di badare all’analisi delle intenzioni concrete, è evidentemente il prezzo da pagare all’estensione del numero di lettori, e al prevalere di “duri e puri!” sui realisti. peccato però, se diventa l’ennesima piazza in cui ciascuno spara ad alzo zero.

  5. Caro Oscar, per “sparare ad alzo zero” bisogna prima metterci la faccia, nome e COGNOME (come fai Tu e come faccio io).- I vari Franco, Ciccio, Totò e Peppino (rigorosamente senza cognome) coprono la loro identità con il burqa telematico…

  6. Capisco la delusione per la piazza che spara ad alzo zero, e del resto le piazze questo fanno. E del resto l’incipit era chiaro, e cioè esporsi al pubblico ludibrio. E del resto l’argomento è complesso , per cui non posso far altro in questa sede che segnalare solo due punti critici : il punto primo da lei esposto coniugato con il finale dell’articolo. La politica si autolimita generalmente solo sulla carta, trattandosi di banca , cioè di tanti soldi, ahimé non si limiterà affatto. Historia magistra….Ed infine, per l’appunto, un Ministro dello Stato Centrale coordinarà le autorità Regionali che ad un tavolo saranno la politica che dovrà spartirsi la torta…Spero di sbagliarmi, dico davvero, ma me la vedo brutta: funzionerà come funzionò in passato roba simile, all’italiana, o meglio, alla “statalismo all’italiana”. Inefficente, provinciale, a volte persino criminale…Un caro saluto

  7. Vincenzo Accurso

    Un dato positivo c’e’.Si ricomiuncia a parlare di Sud.Il secondo dato positivo mi pare sia dato dal fatto che si voglia agire proprio sul credito che fin’ora ha rappresentato nel sud una vera nota dolente.
    Ma proprio qua e’ il punto ” L’appello a “fare” la banca è rivolto alle oltre 100 banche territoriali di credito cooperativo già presenti nel Sud con oltre 600 sportelli, e alle imprese e alle categorie produttive che operano nel Mezzogiorno” che sono gli stessi soggeti che finora hanno fallito proprio in quello chera il loro obbiettivo principale:creare sviluppo.Puo’ la Banca del mezzogiorno da sola essere un momento di svolta?Me lo auguro ma l’esperienza ci insegna ad essere guardinghi.Infine e’ assurdo pensare che le regioni
    si limiteranno ad un puro ruolo di osservatore.Chi vivra’ vedra’

    .

  8. Oscar Giannino

    Di sicuro, la storia italiana e quella meridionale sono ricche di “cattivi esempi” da tenere ben presenti, e occorre che l’opinione pubblica tenga gli occhi ben sgranati su ciascun aspetto della questione, perché ser diventa una materia “tecnica” alla fine le possibilità che finisca in pastrocchio aumentano, fuor dall’attenzione generale. Alle banche e agli imprenditori meridionali attuali si offre l’occazione di ripatrimonializarsi per accrescere la leva su cui fare impieghi, e questo problema, stante l’attuale situazione dl credito al Sud, esiste ed è bene affrontarlo con strumenti di mercato. Ha ragione secondo me anche ci sottolinea che le esternalità negative che contribuiscono ad abbassare la produttività multifattoriale al Sud – trasporti, logistica, malavita ecc – non sono problemi che possa risolvere una banca, nuova o vecchia che sia, e che dunque la banca è solo uno strumento nel quado di una più ampia strategia che lo Stato deve invece dispiegare per le “precondizioni” di mercato. Ma non c’è Stato da solo che possa offrire da solo tutto ciò che serve, senza una diversa fiducia e attitudine dal basso. Sotto questo punto di vista, desidero sottolineare un aspetto poco evidente: le imprese rispetto alle quali l’iniziativa è volta son soprattutto microimprese, quelle alle quali le grandi banche private spa non offrono impieghi perché non sono in grado di conoscerle se non attraverso la nuda evidenza contabile e patrimoniale, che spesso inevitabilmente le codnanna, escudendole da risorse finanziarie che potrebbero farle crescere e rafforzare. E’ per questo che servono le BCC, che invece conoscono vita e morte e miracoli di ciascuno, in ogni paesello dove hanno lo sportello. E’ altrettanto ovvio che non cresce l’output del Sud sono con le imprese-nane, ma la forza e radice di un tessuto d’imprenditorialità sana è di lì che comincia

  9. Egregio Dott. Giannino, premesso che conservo una avversione di fondo ad uno Stato che stimoli con intervento diretto e crei iniziative imprenditoriali, le esprimo il mio apprezzamento e ringraziamento per il puntuale, articolato e dettagliatamente argomentato lavoro che lei propone sia in questa pagina che in altre sedi (sono un assiduo “fan” della “versione di Oscar”). Semmai, se il suo lavoro fosse legato a una qualsivoglia “infezione”, per cortesia mi dica dove lei possa aver preso questo “virus”, potessi mi “infetterei” volentieri anch’io…. Con stima e viva cordialità – Ennio Nazarri

  10. bill

    Guardate amici, anche io mi sento cromosomicamente libertarian, e diffido istintivamente e aprioristicamente di qualsiasi iniziativa pubblica. Però mi chiedo: fino a che punto è utile sentirsi,predicare e soprattutto agire come un marziano quando la nostra terrestre realtà quotidiana è fatta, al 90%, dal duro contatto con quella cosa chiamata “stato”?
    Questo per dire che se invece di sognare la società perfetta, che non esiste, si optasse per cercare di migliorare intanto quello che volenti o nolenti esiste, Facendo sì che porti avanti (poche) iniziative utili e magari scompaia laddove crea solo guai (nel 90% delle iniziative che indebitamente prende) forse sarebbe meglio.
    Se poi ci guardiamo attorno, vediamo che viviamo in un posto dove funzionano solo le pmi, mentre le poche grandi aziende rimaste competono alla grandissima con il pubblico per quanto concerne scarsa produttività, inefficenze, imboscati, incapacità manageriale (e mi fermo qui..). Chi avrebbe dovuto, o potuto, portare avanti una qualsiasi iniziativa di questa portata finanziaria? Certo che ci sono dei rischi e che i precedenti non portano ad avere un’irrefrenabile ottimismo, ma lo stare fermi mentre il mondo corre comporta forse un rischio ancora più grande.

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