7
Feb
2014

Il modello svedese? Un falso storico, ecco perché.

Lo scrittore e giornalista Johan Norberg dice di essersi interessato alle teorie sullo sviluppo economico dopo aver studiato la storia di un Paese che, meno di 150 anni fa, era più povero del Congo, con un’aspettativa di vita media della metà e un tasso di mortalità infantile tre volte più alto della media dei paesi in via di sviluppo. Quel Paese era il suo Paese: la Svezia.

Ah, la Svezia! Fiore all’occhiello del socialismo europeo, modello di equità e redistribuzione, miracolo di interventismo economico e tassazione elevata (ma giusta, “perché lì in cambio c’hanno i servizi, mica come da noi!”). Ma siamo sicuri che la storia economica della Svezia sia una sorta di trionfale marcia politica della socialdemocrazia scandinava? A giudicare da un paper dello stesso Norberg, non sembrerebbe proprio. 

Nel 1763 Anders Chydenius, un giovane sacerdote di Österbotten, in Finlandia (allora parte della Svezia), scrisse il suo contributo per un concorso letterario. La domanda a cui rispondere verteva su un tema molto sentito allora, e cioè: “Perché così tante persone lasciano la Svezia?”. La maggior parte dei partecipanti al concorso rispose che era a causa della pigrizia e dell’avidità della gente, che invece di assumersi la responsabilità di lavori duri si fa tentare dalle promesse di una vita più facile all’estero. Chydenius, invece, rispose che il sistema di regolamentazioni, tasse, privilegi, licenze e divieti commerciali che dominava la società svedese proteggeva una esigua e pigra aristocrazia, favorendo la corruzione e impedendo alle persone volenterose di costruirsi la propria fortuna. Sulla base di queste considerazioni Chydenius scrisse un saggio (“The National Gain”) in cui spiegava perché il libero mercato si autoregola, perché il profitto e il meccanismo dei prezzi sono sufficienti a tenere sotto controllo l’economia e perché ci stimolano ad aiutare gli altri, producendo i tipi di beni e servizi di cui c’è più bisogno. The National Gain conteneva idee rivoluzionarie per quell’epoca: basti pensare che fu pubblicato undici anni prima che Adam Smith scrivesse “La ricchezza delle nazioni. Grazie alle sue idee, Chydenius divenne molto popolare e i sacerdoti della sua regione lo fecero eleggere in Parlamento, dove riuscì a sancire il diritto degli agricoltori a commerciare liberamente, a ridurre i sussidi, ad abbassare la pressione fiscale, a promuovere la libertà religiosa e a far redigere uno statuto della libertà di stampa, abolendo la censura (un fatto, anch’esso, più unico che raro a quell’epoca).

Nei decenni successivi la produzione agricola divenne più efficiente e molte persone lasciarono le campagne, spostandosi verso le città e dando inizio all’emersione di una classe media di agricoltori arricchiti e mercanti che iniziarono a scontrarsi con i vincoli imposti dalle corporazioni locali, che controllavano le professioni e prendevano ogni decisione riguardante chi avesse diritto a lavorare, cosa fosse necessario produrre, di quale qualità e a che prezzo. Norme e regolamenti bloccavano l’espansione delle industrie, e molte importazioni e alcune esportazioni erano semplicemente proibite. I membri di questi gruppi avevano idee e capitali, ma non erano autorizzati a investire liberamente. Tra questi spiccava Lars Johan Hierta, un imprenditore di successo che nel 1830 fondò il quotidiano Aftonbladet, che presto divenne la voce della classe media, attaccando senza remore governo, corporazioni e privilegi. Quando agricoltori e commercianti iniziarono a usare gli argomenti di Aftonbladet per spingere a riforme liberali in Parlamento, il governo utilizzò una vecchia legge dell’ultima guerra per costringerlo a chiudere. Come spesso accade, tuttavia, la repressione diede l’effetto contrario a quello sperato: la chiusura di Aftonbladet spinse il popolo a ribellarsi, e il governo fu costretto a ristabilire la libertà di stampa.

Le idee liberali erano sempre più diffuse in Parlamento, e non più solo tra agricoltori e mercanti. Alcuni nobili iniziarono a proclamarsi “liberali moderati”, favorevoli alle liberalizzazioni per ammodernare il Paese attraverso le riforme (e non con le rivoluzioni) e non ostili al Re in quanto tale. Nel 1848 il loro membro più influente, il giovane Johan August Gripenstedt, fu nominato ministro senza portafoglio, e nel 1856 ministro delle finanze. Non è esagerato dire che le politiche di Gripenstedt diedero il via ad una vera e propria rivoluzione liberale non violenta tra il 1840 e il 1865. Tanto per fare qualche esempio, il sistema corporativo fu abolito, i regolamenti che avevano fermato lo sviluppo delle industrie del legno e del ferro furono revocati, fu permessa l’attività bancaria e deregolamentati i tassi d’interesse, immigrazione ed emigrazione furono rese libere (e più di un milione di svedesi partì presto per l’America). I detrattori di Gripenstedt dicevano che la gente avrebbe cominciato a constatare presto gli effetti distruttivi delle sue politiche liberali. Prevedevano che i concorrenti stranieri avrebbero rovinato l’industria svedese e che, senza il controllo del governo sull’economia, ci sarebbero stati enormi problemi di qualità e coordinamento della produzione e dei commerci.

Raramente una previsione è stata sbagliata in modo così imbarazzante. Cento anni dopo la prima apparizione pubblica di Chydenius, la Svezia era uno dei paesi più ricchi del pianeta, ed era solo l’inizio. Il reddito pro capite aumentò di otto volte tra 1850 e 1950, con la spesa pubblica intorno al 6% del reddito nazionale e una pressione fiscale sul PIL che non superava il 19%. L’aspettativa di vita aumentò di 28 anni, la popolazione raddoppiò e la mortalità infantile passò dal 15 al 2%. In quel periodo Lars Magnus Ericsson inventò un centralino telefonico automatico e fondò L.M. Ericsson; Sven Wingquist inventò il cuscinetto a sfera e creò SKF; Alfred Nobel inventò la dinamite; Gustaf Dalén inventò un apparecchio lampeggiante per fari e fondò AGA; Axel Wenner-Gren aprì Electrolux per introdurre aspirapolvere e frigoriferi nelle case svedesi. E non è un caso che proprio allora fu inventata una delle parole più belle della lingua svedese, snilleindustrierna: letteralmente, “industria geniale”.

Nel 1950, la Svezia aveva una delle economie più aperte e deregolamentate di tutto il mondo, e le tasse erano più basse che negli Stati Uniti e in molti altri paesi occidentali. I socialdemocratici mantennero la maggior parte di queste politiche intatte fino al 1970, quando pensarono che le eccellenti fondamenta di quel sistema (ricchezza senza precedenti, forte etica del lavoro, forza lavoro istruita, esportazioni industriali su scala mondiale, burocrazia onesta) fossero così stabili che il governo avrebbe anche potuto tassarle e spendere i ricavi per costruire uno Stato sociale generoso con tutti dalla culla alla tomba. La spesa pubblica raddoppiò tra il 1960 e il 1980, passando dal 31 al 60% del PIL. Il tasso di crescita medio, pari al 4% nel 1950, si dimezzò nel 1970, con un ulteriore calo nel 1980 e la definitiva crisi nel 1990. La moneta dovette essere svalutata cinque volte per mantenere un’industria competitiva. Nel 1990, l’anno prima di una grave crisi economica che colpì la Svezia, l’impresa privata non aveva creato un singolo posto di lavoro in più del 1950, ma il settore pubblico era aumentato di oltre un milione di dipendenti. Benefici generosi per chi non lavorava erosero l’etica del lavoro, e un paese con una delle popolazioni più sane del mondo diventò uno dei paesi con più lavoratori in malattia.

Le più importanti aziende svedesi sono ancora quelle nate durante il periodo liberista della prima metà del ‘900. Solo una delle 50 più grandi aziende svedesi nel 2000 era stata fondata dopo il 1970. Nel frattempo, i servizi che sarebbero potuti diventare nuovi settori di crescita del settore privato, come l’istruzione e la sanità, sono stati monopolizzati e finanziati esclusivamente dal governo. Dal 1975 al 2000, mentre il reddito pro-capite è cresciuto del 72% negli USA e del 64% in Europa Occidentale, in Svezia si è arrestato a una crescita del 43%. Nel 1970 la Svezia era il quarto paese più ricco della classifica dell’OCSE per reddito pro-capite; nel 2000, era scesa al 14° posto.

Nel 1990 la Svezia ha avuto un altro importante periodo di riforme a seguito del periodo di stagnazione e a una grave crisi bancaria. Sia i socialdemocratici che i partiti di centrodestra hanno contribuito a ridurre le aliquote fiscali marginali; mercati finanziari, energia, telecomunicazioni e media sono stati deregolamentati; la banca centrale è stata resa indipendente; il sistema pensionistico è stato completamente riformato; è stato ammesso l’intervento dei privati in materia di salute, cura e assistenza degli anziani; è stato introdotto un sistema di voucher scolastici. Negli ultimi anni, i governi svedesi hanno ridotto le imposte con decisione, facendole passare dal 52 al 44% del PIL, e abolendo le tasse sulle donazioni, sulle eredità, sul patrimonio e sulle abitazioni. La Svezia ha aumentato ancora una volta le esportazioni, ha creato posti di lavoro nel settore privato e ha avuto un progresso economico maggiore di qualunque altro paese europeo. Ha gestito la crisi finanziaria molto meglio di molti altri paesi, e ridotto il debito pubblico a circa il 30% del PIL.

Questa è un’altra storia, ma non del tutto. Nel centro di Stoccolma c’è una statua di Lars Johan Hierta, e un portavoce del partito socialdemocratico in Parlamento ha proclamato Anders Chydenius uno dei più grandi pionieri della storia del Parlamento svedese. Sulla parete dell’ufficio del ministro delle finanze Anders Borg sono appesi i ritratti di Gripenstedt e Chydenius, che lo stesso Borg ritiene essere “il padre dell’economia svedese”. Oggi la Svezia è diventata una fonte di ispirazione per le persone di tutto il mondo che credono nel ruolo di guida del governo per la via dello sviluppo e della redistribuzione della ricchezza. Ma non sono state le politiche socialiste a trasformare la Svezia in uno dei paesi più ricchi del mondo, e quelle persone dovrebbero studiarne la storia prima di dare giudizi affrettati. Il suo passato è la lezione più importante che questo Paese ha da offrire: come scriveva 250 anni fa Anders Chydenius nel saggio del concorso letterario con cui diede il via alla storia del liberalismo svedese, “ciò che il nostro tempo calpesta, i posteri lo faranno proprio, e quello che ora è chiamato audacia sarà onorato nel nome della verità”.

Twitter: @glmannheimer

 

 

You may also like

Consigli di lettura per il 2024 (seconda parte)
Adam Smith, un pensatore di destra o di sinistra?
A cento anni dalla riforma Gentile
Lo spettro dello storicismo nel libro di Menger

7 Responses

  1. Mike_M

    Post eccellente. Complimenti. Se dipendesse da me, lo invierei a tutti i politici italiani, affinché possano trarne utili indicazioni. Perché la speranza è l’ultima a morire, anche quando il default è dietro l’angolo.

  2. LucaS

    Mi unisco ai complimenti per l’ottimo articolo. Grazie davvero.

    X Mike-M

    E’ inutile! Almeno in Svezia i politici di destra come di sinistra pensano al bene dei propri cittadini. I politici italiani se ne fregano totalmente… Il fatto poi che su questo sito venga lodato un politico come Straquadanio che in Svezia come minimo, avrebbe fatto ridere, e nessuno si sarebbe sognato di votare mi lascia un po perplesso.

  3. A.Smerieri

    Da tempo cercavo di capire le origini del miracolo svedese. Anche io, a torto, lo consideravo l’unico caso nella storia di socialismo di mercato in grado di produrre Pil e sviluppo. Grazie di avermi chiarito che anche in questo caso lo sviluppo economico non nasce a sinistra

  4. Marco O.

    L’articolo è molto interessante, ma per quanto riguarda le altre nazioni scandinave (Finlandia, Danimarca, Norvegia)? Come mai in quel caso il modello socialista funziona? Altri approfondimenti sull’argomento sarebbero desiderabili.

  5. Giacomo Lev Mannheimer

    Grazie a tutti per i complimenti.

    Marco: me lo chiedo anch’io e mi ha fornito un ottimo spunto per i miei prossimi articoli. Sulla Svezia non posso certo definirmi ferrato ma ho avuto modo di studiarne la struttura e la storia negli ultimi mesi, anche grazie all’aiuto di un amico svedese che ha indubbiamente contribuito alla mia “ossessione”. Cercherò di fare lo stesso con gli altri paesi scandinavi: stay tuned!

  6. Articolo molto interessante.
    Personalmente non credo nell’esistenza della mano invisibile, però sono certo che l’aumento delle tasse (vedi Monti) peggiora la situazione economica generale.

  7. Nell’articolo si può leggere: “…immigrazione ed emigrazione furono rese libere (e più di un milione di svedesi partì presto per l’America).”
    Come nel caso dell’Italia, furono le ingenti rimesse estere degli emigranti a far decollare l’economia del Paese da cui si era emigrati. I capitali degli emigrati vennero investiti nel Paese natale in edilizia ed in altre forme.
    Aggiungo e concludo che partì un milione di cittadini su pochi milioni di abitanti, dando un impulso enorme all’economia in uno Stato di pochi milioni di anime.
    Non vi è alcuna relazione con le normative più o meno liberiste, come l’articolo vorrebbe far credere.
    Lo sviluppo industriale necessita di enormi capitali, meglio se detenuti da lontani azionisti che non hanno tempo di disturbare nei Consigli di Amministrazione e a volte perdono tutto il proprio capitale investito.
    Molte iniziative fallirono e tra quelle che sopravvissero ci sono i grandi marchi svedesi attuali.

Leave a Reply