10
Feb
2014

Risposta a Cuneo e Arrigo: l’informazione economica mistificata alligna perché in Italia troppi grandi privati sono collusi

La riflessione di Gianfilippo Cuneo e quella del professor Ugo Arrigo sull’uso improprio delle parole da parte dei media mi induce per una volta a rispondere come giornalista, in base alla mia esperienza ormai di qualche decennio, e in una pluralità di testate.  I due articoli fanno seguito e filotto con quello di Carlo Stagnaro sull'”elogio del dato”,a proposito dell’incredibile bufala rappresentata dalla totale inattendibilità statistica dei 60 miliardi di euro a cui assomerebbe in controvalore la corruzione italiana, un dato che puntualmente da anni rimbalza sui media italiani senza che ci sia verso di evitare di ripeterlo (questa volta facendolo rimbalzare anche in documento Ue).

E’ assolutamente e drammaticamente vero, che la mistificazione di moltissime parole-chiave dell’economia,e la diffusa inaccuratezza per dati e fonti, finiscano per compromettere la possibilità di ogni confronto pubblico serio. E che, di conseguenza, ad avvantaggiarsene siano solo decisioni pubbliche – politiche, ma non solo politiche, anche largamente “private” – opache e inefficienti.  Eppure no, scusate, ma di tutto ciò la colpa non è del giornalista medio. Nella mia esperienza, vi sono moltissimi giornalisti, in tutte le testate che conosca e per le quali abbia lavorato, perfettamente in grado – ci crediate o meno – di distingere tra una privatizzazione vera di un asset, cioè la perdita del suo controllo e gestione, e invece una quotazione in Borsa, che fa appello a capitali privati ma eternando controllo e gestione pubblica.  Lo stesso vale per praticamente tutte le parole elencate da Cuneo, da “salvare” a “banchiere” e via continuando.

Non facciamo gli ingenui. NON è il giornalista a decidere titolo, taglio e tono dei pezzi, cioè tutto ciò che costituisce premessa e contorno necessario per aderire e rilanciare la mistificazione delle parole, rispetto alle cose e ai fatti veri.

I media – quelli tradizionali, non parlo dei social network – sono quanto di più vicino alla monarchia assoluta resti nel consorzio civile moderno. E’ un giornalista particolare cioè  il direttore a decidere e a dire, e più spesso a far capire senza dirlo esplicitamente ai suoi giornalisti, che bisogna darsi da fare per dare evidenza alla “privatizzazione” di Poste anche se non lo è, dando ampio ed entusiastico spazio all’ipotizzato regalo di azioni ai lavoratori sindacalizzati, invece che all’irrisolta fittissima trama di conflitti dì’interesse e sussidi diretti, indiretti e incrociati di cui Poste come conglomerato continuerà domani ad avvalersi anche se quotata. E’ il direttore, a decidere e a dire che l’ingresso di Poste in Alitalia non è un aiuto di Stato e che Etihad “salva” Alitalia, anche se in realtà pone ai soci privati, pessimi suoi gestori, il problema degli eccessi di costo e di debito in modo molto più fermo e duro di quanto abbia fatto lo Stato, mobilitando le sue Poste pubbliche.  E’ il direttore a freddare con lo sguardo – in questo caso neanche deve dir nulla – un eventuale capo servizio finanza che proponesse di occuparsi di quel che sta accadendo in Mittel, finanziaria di partecipazioni custode da anni di molti interna corporis del sistema-Bazoli, e in cui inusitatamente un intero cda di dimette per far saltare un amministratore delegato poco ligio dalla difesa del passato. E’ il direttore a sorridere in faccia al redattore, che avesse eventualmente proposto di approfondire se davvero  il modello di rivalutazione e trading delle quote di Bankitalia non rappresentasse – come invece è – un unicum discutibilissimo e senza precedenti in tutto il mondo, e che tipo di considerazioni avessero indotto via Nazionale e l’ABI a concertarlo proprio in quel modo, in contraltare dell’innalzamento pazzesco dell’IRES e degli anticipi d’imposta a carico degli intermediari finanziari, per rimpinguare le esauste casse statali.

L’informazione economico-finanziaria che ho imparato a conoscere nei decenni non è sprovvista di nozioni basilari e di dedizione ai fatti (anche se da noi la tradizione dei media-generalisti è purtroppo più forte che altrove, e questo scaccia per definizione da pagine e palinsesti pezzi e approfondimenti “tecnici”, come di solito si dice accostandoli a qualcosa che respinge lettori e ascoltatori). E’, invece, e mi spiace dirlo, molto più carente che altrove perché sono le proprietà a dipendere – quasi tutte, quasi sempre – dal debito bancario, figlio non solo della crisi ma di una gestione dei media a fini di potere invece che per solido risultati di business, e dall’intreccio finanziar-politico (quello per cui alcune testate conoscono solo il mantra dei torbidi affari di Berlusconi,  e altre di quelli di De Benedetti).

La mistificazione delle parole e l’accondiscendenza alle tesi “velinare” non riguarda solo lo Stato, che spaccia per virtù suoi comportamenti che sono invece vizi in nuova veste. In quel caso, cadremmo sì in un problema culturale che pure esiste, di sentimento comune diffusamente statalista prevalente anche tra i giornalisti, come del resto in tanta parte della società italiana. Anche se, nell’avanzare della crisi, ormai proprietà e direttori devono stare attenti a non contraddire grandi gruppi pubblici sol perché, ormai, sono rimasti gli unici grandi inserzionisti… Ma il punto è che analoga accondiscendenza riguarda banche e grandi gruppi privati. O, per fare un altro esempio, bisogna considerarlo un caso, che se Poltrona Frau  viene ceduta ad americani – e a me va benissimo, viva il mercato e largo alla contendibilità proprietaria in nome della maggior efficienza – i media parlano di “made in Italy che conquista gli Usa”, mentre invece per ogni  altra azienda o marchio storico acquisito da stranieri ecco che scatta il titolone sulla “resa dell’Italia in svendita”? Temo che a far la differenza nei toni di presentazione sia nome e peso del venditore nel sistema proprietario e debitorio dei media, non il merito comparato delle operazioni.

Sono stato direttore di un giornale economico-finanziario, per qualche tempo. Conoscendomi, e scegliendo giornalisti per la redazione disposti a rischiare anche problemi, a patto che fossero discendenti da numeri e fatti alla mano, chiesi anticipatamente alla proprietà vera autonomia. Ripeto: innanzi a fatti, carte e numeri che si traducessero anche in interrogativi e critiche pesanti. Assolutamente sì, fu la risposta. Quando a un certo punto uno dei miei redattori, competente sul serio in bilanci e criteri patrimoniali bancari, ebbe un dubbio rilevante sul venir meno in una trimestrale di un certo accantonamento a riserva, tempestammo come è doveroso e necessario la banca, per avere risposte.  Non ne giunsero. Nel frattempo, feci controllare e asseverare le nostre stime da tecnici bancari di primaria autorevolezza, che ci davano ragione. Per due giorni a quel punto ci apriì il giornale, esponendo le nostre osservazioni. Gli altri media: silenzio. Al terzo mi venne detto che la banca – una grande banca – aveva comunicato intenzione di rivalersi solo su me personalmente e sul giornalista, per l’andamento in Borsa negativo del titolo. Sulla proprietà no, perché ovviamente la proprietà era cliente della banca e questa, benignamente, non mischiava la “mancanza di rispetto” di un paio di velleitari giornalistelli con i rapporti di serena e proficua collaborazione intercorrenti con la proprietà. Pochi mesi dopo, guarda caso, mi beccai un licenziamento disciplinare. Tanto fondato che in Tribunale la proprietà rinunciò alle sue pretese ragioni, per pagare tutto il giusto risarcimento.

Carissimi Cuneo, Arrigo e Stagnaro: le vostre osservazioni sono da rivolgere a direttori e proprietari dei media. Le carriere, nell’informazione economica, si fanno quasi sempre – tranne rarissime eccezioni – compiacendo le storture del nostro capitalismo asfittico, quello dei “piani alti” che dallo Stato ottengono un Total Tax Rate di 20-30 punti più basso, e dalle banche un costo e una disponibilità del denaro che sono integralmente negati, alle centinaiaia di migliaia di piccole imprese, aliene ed estranee agli untuosi intrecci banco-industriali.

Un’Italia di mercato come noi la sognamo non avrebbe privati e banche collusi allo Stato e ai suoi vizi, replicati. Per questo dobbiamo batterci. In quell’Italia, ci sarebbero più FAZ e meno gazzette ufficiali contraffatte. E il dibattito pubblico sarebbe meno adulterato.

 

 

11 Responses

  1. Piero

    concordo & dissento : concordo ovviamente sulle collusioni italiche e sulla informazione serva del potere.. nn concordo con la tesi che la corruzione è sicuramente più bassa xrchè potrebbe essere che hai ragione ma potrebbe anche essere che hai torto (di sicuro c’è che siamo uno dei paesi IN MASSA più corrotti d’occidente).. e nn concordo con l’allusione implicita che altrove in occidente i mass media non siano in mano a potentati che se girano la gente come vogliono.. quello che cambia è che altrove si sono più potentati che TALVOLTA si sbugiardano a vicenda xrchè con opposti interessi di parte mentre da noi è tutto più concentrato.. spesso gli scheletri negli armadi-incrociati generano compiacenze di per sè innaturali.. in ordine di visibilità ci sono : Partito-Governo-Azienda-Media Silvio (che in passato qui avete spesso difeso : bella coerenza da liberisti che avete), QuasiPartito-Azienda-Media DeBenedetti ed il QuasiPartito-Azienda-Media Fiat… ed ovviamente il Partito-dei Partiti-Rai (che quando Silvio è al Governo si somma al 60% a quello di proprietà diretta).. da un pò c’è pure Azienda-Media Sky detto lo Squalo che è tutto dire (alleanze a geometrie variabili, in Usa appoggia la destra e quà la Sinistra xrchè a destra c’è la loro c/c, in Uk appoggiava il finto-laburista Blair ed ora appoggia i Tory)).. poi il resto in Italia conta poco..

  2. il sasso gettato nello stagno da Gianfilippo Cuneo, suscita benefici cerchi, sempre più ampi, di riflessione. Val la pena di tornare a osservare che il nocciolo del problema è ancora a monte, e risiede nei limiti della democrazia rappresentativa. Mentre l’auspicabile soluzione, già storicamente testate ormai – e avendo fallito – tutte le alternative possibili, sembra vertere ineluttabilmente sul principio di sussidiarietà:

    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/fiatpomigliano-darcomelfi-come-mettere-a-frutto-la-lezione-di-pier-luigi-zampetti-per-risolvere-il-conflitto-tra-capitale-e-lavoro/

  3. Paolo Bardicchia

    Caro Oscar, sottoscrivo quanto hai scritto ma mi sembra che l’articolo abbia un’impostazione esclusivamente “alta” di intrecci di grandi poteri.
    Il problema è anche spicciolo. Quando Saccomanni annunciava che uno scontrino su tre è irregolare, non ho letto un singolo commentatore che scrivesse: “In famiglia, tra caffè, acquisti, spese al supermercato e via dicendo, riceviamo 50-60 scontrini a settimana. Caro Ministro, secondo le sue statistiche dovrei riceverne 15-20 irregolari e invece, se va bene ne riceverò uno al mese. Non starà mica sparando dati a caso a scopo intimidatorio?”
    Qui non si bara solo sui grandi eventi, i grandi numeri, le grandi operazioni, ma anche sulle cose spicciole e quotidiane.
    La situazione mi ricorda un aneddoto sulla decadenza dell’Impero cinese.
    Un gruppo di dignitari porta in dono all’Imperatore un cervo e gli dice: “Maestà, vi doniamo questo cavallo.” L’Imperatore non dice nulla ma chiama i suoi mandarini, si consulta con loro, e tutti gli confermano che si tratta di un cavallo. L’imperatore fa un ultimo tentativo con il Gran Mandarino ed anche egli dice che si tratta di un cavallo. A questo punto l’Imperatore, confuso ed umiliato, ringrazia per il dono del cavallo.
    Noi italiani siamo come quell’imperatore a cui continuano a dire che siamo di fronte ad un cavallo laddove è un cervo, che la colpa dei mali italiani sono le entrate e non le uscite, che la crisi è finita, che i conti pubblici sono in ordine, che solo lo Stato può far ripartire l’economia. E, come l’Impero cinese, finiremo travolti.

  4. Mario Trombetti

    Purtroppo (non è una bella verità) è maledettamente vero. Ribadisce quanto già illustrato da Giannino e da un altro grande giornalista in una cena dibattito all’Adam Smith Society qualche anno fa. La stampa risponde ad una proprietà talvolta asservita ad una monarchica proprietà industriale, talvolta alla finanza.
    Il quesito è: bene, anzi male, come uscirne fuori? Concorrenza nei media potrebbe essere una soluzione, ma più teorica che realizzabile allo stato dei fatti. Tuttavia se tanti giornalisti competenti ed intellettualmente onesti sono davvero esistenti, questi blog possono essere il seme di una informazione indipendente che deve crescere e diventare sempre più intercettata.
    E’ palese che il titolone sul giornale locale o nazionale, per non parlare dei media televisivi, fa più rumore ma è tanto illusorio sperare che talune iniziative, oggi frazionate a contendersi un lettore sul web, possano unire le proprie forze e diventare più facilmente raggiungibili da una domanda di informazione sicuramente non soddisfatta da un’offerta per l’appunto rara, frazionata e nascosta? Mi rendo conto che il passo successivo sono i capitali per una testata realmente indipendente ma un’offerta più facilmente raggiungibile avrebbe anche maggior capacità di raccogliere le risorse necessarie.

  5. Matteo

    Il problema, in realtà, è che quando uno è in posizione di vantaggio crede di poter chiudere la partita con un colpo ben assestato. Crede che essere nella ragione e considera il suo vantaggio come un dono del cielo si, ma un dono dovuto al migliore. E allora assesta il suo colpo. Facendo, ad esempio, uso delle parole che crede; proprie o improprie non conta, per via che la ragione è già stabilita a monte. Poi però accade che la vita non finisce, non finisce mai. E l’avversario, che prima era sotto a prender colpi, si rianima e ritorna di fronte; ma stavolta anche lui ha imparato il gioco. Non si può credere che se ne resti fesso fesso a farsi colpire allo stesso modo, e se può usa pure lui il gioco sporco lo usa.
    Allora si sente gente che si lamenta. Ma i proverbi dicono: chi la fa, l’aspetti; oppure: chi di spada ferisce di spada perisce.
    Così accade che “il mercato che noi sogniamo” non si realizza, ma forse perché è solo un sogno di velleitari Donchisciotte che vivono in una fantasia di persone leali, o forse perché abbiamo giocato sporco quando eravamo i più forti, o forse perché oramai le nostre idee si sono fatte troppo complicate, e, ad esempio, distinguono impresa da impresa, buone o cattive a seconda delle dimensioni. Pensieri troppo articolati per un mondo che ama gli slogan, e le parole semplici che oramai nascondono solo il pensiero.

  6. roberto

    Caro Giannino,
    che dire , il commento deve essere oggettivo , la sua analisi non fà una piega. Il pesce puzza dalla testa, se i responsabii dei vari dipartimenti , ribadisco responsabili, non hanno in mano i propri numeri per incapacità o per volontà, chiunque può dire qualsiasi cosa e usare le notizie come vuole.
    Fanno bene i giornalisti capaci nell’attività di pelo e contropelo, altrimenti a cosa servono; diventano tanti Pietro L’Aretino …” di tutti disse male forchè di Cristo, scusandosi col dir ..non lo conosco..”.
    Saluti
    RG

  7. Mike_M

    Caro Giannino, non c’è dubbio che, purtroppo, il conflitto di interessi condizioni gli editori e, a cascata, i giornalisti, manifestandosi attraverso l’uso improprio delle parole. Tuttavia, i veri giornalisti rispondono esclusivamente alla propria scienza e coscienza e non si compromettono mai. A costo di essere licenziati, come è capitato a Lei. Si chiama onestà intellettuale. Una merce ormai rarissima.

  8. marziano

    mi pare che giannino non colga nel segno e riduca di molto, come se fosse un problema di conoscenza e studio, quello che invece è un problema molto più alto e complesso. non è un problema di “ignoranza” ma semmai di sciatteria indotta e conformista al politically correct sia sul piano semantico sia gnoseologico. quello di cui ha scritto cuneo non è altro che qul fenomeno chiamato da giuliano ferrara, da oltre 10 anni, del c.d. giornalista collettivo: è un fenomeno che contraddistingue i mass media di oggi è risieda nella totale omologazione (al ribasso) nel riportare i fatti. tanto che spesso invece di riportare quelli se ne riporta la versione contrattata con gli altri colleghi se non quando la versione distorta e falsa.
    il problema è che oggi – nella dittatura del politicamente corretto – nessuno è più in grado di chiamare le cose con il loro nome. i mass media e i giornalisti meno di tutti. sono ormai la cinghia di trasmissione del pensiero omologato (o della mente servile, è uguale cosa). in ogni settore.
    ma il problema è che le cose sono quelle che sono e bisogna imparare a chiamarle con il loro nome: in un mondo senza più adulti educatori questo è impossibile. l’epifenomeno del giornalismo “economico” e della sua cattiva fede, sciatteria, o ignoranza né è solo una conseguenza.

  9. marco

    1n 40 anni di lavoro come dipendente o dirigenti ho cambiato 6 aziende per la dedizione a prediligere il bene dell’azienda alla carriera personale, così penso che da Finmeccanica, Mediaset, Enel o Fiat si può anche uscire se si è convinti di saper generare valore altrove
    così dai loro giornali i signori giornalisti, sarei scandalizzato se un lattaio mi mettesse un topo nel tetrapak (è successo) o un pastaio della polvere di marmo insieme alla farina per far buon peso……per i giornalai chiediamo troppo?
    Per i dirigenti che aggiustano i bilanci colle bollette? o gli elicotteri colle tangenti? TROPPO FACILE carissimi ci vuole “orecchio” per suonare
    O…..siamo tra quelli che si aspettano sempre che siano gli altri a cominciare?? così non si ferma il declino….si insapona il piano inclinato su cui scivoliamo

  10. Niky

    Grande Oscar. Sarà per questo che da 10 anni ho chiuso con i TG e da ormai 5 con i quotidiani. Mi sono rifugiato su alcuni siti come il vostro dove, se non altro si comprende qualcosa di ciò che sta succedendo in giro… purtroppo questo sistema non mantiene nessuno e questo è alla lunga lesivo della informazione indipendente… A quando un bel giornale on line a pagamento Giannino diretto? Non sarei sempre d’accordo con lei ma sarei il primo abbonato! 🙂

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