La correttezza sbagliata
Alberto Di Martino reagisce al saggio di Sergio Belardinelli su cancel culture e politicamente corretto pubblicato su “Lisander”, il substack nato dalla collaborazione tra Tempi e IBL
Azzardo ad aggiungere una riflessione al pregiatissimo articolo di Sergio Belardinelli dell’11 dicembre su Lisander. Quando usiamo il termine “politicamente corretto”, è corretto per chi? O a fronte di cosa? E pur avendo chiaro il riferimento, in base a quale criterio si afferma che un’entità o un’azione è corretta?
«L’espressione political correctness – si legge sul Cambridge Dictionary – designa una linea di opinione e un atteggiamento sociale di estrema attenzione al rispetto formale, soprattutto nel rifuggire l’offesa verso determinate categorie di persone». Essa appare per la prima volta nel vocabolario marxista, subito dopo la Rivoluzione d’Ottobre, per indicare la stretta aderenza alla linea ideologica del partito. Un buon cittadino era colui che “correttamente” adottava i principi della parte politica. Successivamente, negli Stati Uniti degli anni Cinquanta e Sessanta, venne usato in termini dispregiativi nel dibattito tra comunisti e socialisti implicando un’accusa di eccessivo dogmatismo.