30
Dic
2019

AirBNB e Unione Europea: una regolamentazione per via giurisprudenziale

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Maria Vittoria La Rosa.

Secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea Airbnb è un operatore della società dell’informazione e non un agente immobiliare.

Con la decisione del 19 dicembre 2019, resa sulla causa Airbnb Ireland (C-390/18), la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea ha aggiunto un nuovo tassello al quadro regolamentare – ancora tutto in divenire e in gran parte di matrice giurisprudenziale – applicabile alla platform economy. La sentenza si concentra infatti sul tema della qualifica dell’attività svolta da Airbnb e sulla necessità per quest’ultima, alla luce delle diverse normative nazionali, di essere in possesso di specifici titoli abilitativi per operare. Si tratta di un tema di vitale importanza per molte piattaforme, che a causa della vaghezza del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento operano in una oggettiva incertezza in termini di requisiti per l’accesso al mercato.

Il caso trae origine da una denuncia sporta contro Airbnb Ireland dall’Association pour un hébergement et un tourisme professionnels (associazione francese per l’alloggio e il turismo

professionali, AHTOP), la quale sostiene che Airbnb svolga attività di intermediazione immobiliare senza essere in possesso della licenza prescritta ai sensi della legge francese. Dal canto suo, Airbnb si è difesa sostenendo di non essere un agente immobiliare, ma piuttosto un “operatore della società dell’informazione” ai sensi e per gli effetti dell’2, lettera a), della direttiva 2000/31/CE, in quanto tale non assoggettabile a requisiti autorizzativi ulteriori quando operante al di fuori dello Stato di stabilimento in regime di libera circolazione dei servizi.

La decisione della Corte di giustizia si innesta su un filone giurisprudenziale del quale fanno parte, tra le altre, le decisioni sui casi Uber France (C-320/16) e Uber Spain (C-434/15), rese con rifermento all’attività della piattaforma di ride hailing. Con riferimento alla natura dell’attività prestata dalle due piattaforme, tuttavia, la Corte è giunta a conclusioni diametralmente opposte.

Nel caso di Uber, i Giudici del Lussemburgo hanno ritenuto che la piattaforma sia sostanzialmente un operatore dei trasporti (e non un semplice “operatore della società dell’informazione” ai sensi della direttiva 2000/31 erogante servizi informatici). La ragione di ciò è stata rinvenuta nel fatto che la funzione di Uber di mettere in contatto autisti e passeggeri non sarebbe indipendente rispetto al servizio finale erogato (e cioè il servizio di trasporto), ma al contrario ne costituirebbe solo una componente accessoria. Di conseguenza, fornendo Uber prevalentemente un servizio di trasporto, agli Stati Membri è permesso di sottoporre l’attività dei conducenti operativi sulla piattaforma alle norme sull’autorizzazione dell’attività di conducente professionale. In altre parole: gli autisti di Uber devono essere autorizzati allo svolgimento di tale attività, altrimenti si può ritenere che Uber operi – sostanzialmente – in maniera illegale. 

Come si è detto, invece, nel caso di Airbnb si è pervenuti a conclusioni opposte. Nella decisione del 19 dicembre scorso, infatti, si legge che Airbnb non sarebbe un agente immobiliare perché la sua attività avrebbe “dignità” e funzioni autonome rispetto al servizio finale di messa a disposizione di alloggi per brevi periodi. Il servizio offerto da Airbnb, infatti, non tenderebbe esclusivamente alla prestazione di alloggi, ma costituirebbe piuttosto “uno strumento di presentazione e ricerca degli alloggi posti in locazione, che facilita la conclusione di futuri contratti di locazione” e per questa ragione non potrebbe essere considerato come “un semplice accessorio di un servizio globale al quale vada applicata una qualifica giuridica diversa, ossia una prestazione di alloggio”. In aggiunta, è stato osservato che (i) la mediazione realizzata da Airbnb non sarebbe assolutamente indispensabile ai fini della realizzazione di prestazioni di alloggio, dal momento che i locatari e i locatori già disporrebbero di numerosi altri canali da utilizzare a tale scopo (come le inserzioni online o fisiche o gli annunci delle agenzie immobiliari) e che (ii) non sarebbe provato in nessun modo un peso determinante della piattaforma nella determinazione del prezzo della locazione (al contrario di quanto, ad avviso della stessa Corte, accadrebbe nel caso di Uver). Per questa ragione, Airbnb non sarebbe qualificabile come agente immobiliare, ma piuttosto come “operatore della società dell’informazione”, con la conseguenza che deve ad essa essere consentito di operare in Francia pur essendo la società sprovvista della licenza richiesta dalla legge agli operatori del settore.

Le ricadute pratiche sul business di una società come Airbnb di una decisione come quella in esame sono evidenti. Allo stesso modo, in generale, è chiaro il peso – in alcuni casi determinante – che requisiti per l’accesso al mercato quali la necessità di ottenere autorizzazioni o licenze possono avere sulla vita stessa di piattaforme per l’erogazione di beni e servizi: nel caso di autorizzazioni o licenze particolarmente complicate da ottenere, infatti, la piattaforma può trovarsi dinanzi ad un ostacolo non superabile, tale da tagliarla di fatto fuori dal mercato e negarle il diritto di esistere.

Nel contesto della platform economy, il tema della necessità o meno di ottenere autorizzazioni a seconda dell’attività svolta è destinato ad essere oggetto di una produzione giurisprudenziale crescente: nell’attesa di una presa di posizione chiara del legislatore (auspicabilmente europeo e auspicabilmente nel contesto di un “aggiornamento” della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico) che adegui le “regole del gioco” ad un contesto economico oramai radicalmente diverso a quello di inizio millennio.

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