29
Apr
2010

“Paga e taci, somaro lombardo!”

Una recente inchiesta giornalistica sull’economia di Brescia e sulla sua “reinvenzione” dopo la crisi della centralità siderurgica realizzata da Dario Di Vico per il Corriere della Sera (“L’alba hi-tech di Brescia dopo l’acciaio”) ha messo in evidenza come uno dei fattori di forza di questa provincia lombarda sia la massiccia presenza di supermercati, centri commerciali, mega-store e via dicendo. Non si tratta soltanto di realtà che creano posti di lavoro, ma soprattutto di strutture che contribuiscono a mantenere più bassi i prezzi e, di conseguenza, a proteggere il potere d’acquisto.

Qualche anno fa il pioniere della grande distribuzione italiana, il lombardo Bernardo Caprotti, diede alle stampe un libretto tanto agile quanto incisivo (Falce e carrello) sul modo in cui le Coop e i loro protettori politici hanno a più riprese sbarrato la strada a chi voleva intraprendere: soprattutto nelle regioni dell’Italia centrale. Niente nuovi centri commerciali, insomma, e tutto questo per fare un favore a chi è già sul mercato.
Ora leggiamo che uno dei primi atti della giunta piemontese guidata dal leghista Roberto Cota consiste proprio nel bloccare l’apertura di alcuni supermercati. L’assessore competente, William Casoni (Pdl), ha giustificato la cosa affermando che si deve evitare “un’eccessiva concorrenza” e soprattutto che si devono proteggere quei piccoli negozi che perderebbero clienti, se questi ultimi altrove potessero comprare altrove e più a buon mercato.
Certo siamo davvero messi male se uno dei primi provvedimenti della nuova giunta regionale piemontese mette le mani nelle tasche di alcuni (i consumatori) per dare qualche soldo ad altri (i negozianti), e se – per di più in una fase di crisi – viene sbarrata la strada a chi vuole intraprendere.
Al Sud abbiamo le false pensioni d’invalidità e al Nord le protezioni corporative, al Sud i finanziamenti a pioggia e al Nord gli “stimoli” per le imprese. Le distanze tra le due Italie si vanno riducendo, ma forse era meglio prima. L’importante è che a pagare sia sempre il solito “somaro” contribuente che una volta, a parole, qualcuno dichiarava di voler difendere.

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9 Responses

  1. Antonino

    Altra “piccola perla” di uno schieramento politico che a paroloni si dichiara liberale ma che a fatti e´piuttosto reazionario… Povera Italia

  2. Liutprando

    A dir la verità, nel bresciano il successo dipende da una caratteristica di razza. Intraprendenti, poco socievoli se non tra di loro, pratici, pragmatici, ingegnosi e gran lavoratori, hanno fatto, più di altri, per sé e per loro concittadini. Brescia e le valli sono così. I centri commerciali sono un aspetto del fare e non del ricevere.
    Gli industriali fanno l’orto dietro casa, allevano galline e vanno a caccia.

    Mi deve spiegare perché si ritiene virtuoso regalare denaro pubblico alla FIAT per difendere gli operai, ma si ritiene becero aiutare la micro impresa a chiudere senza traumi. Il piccolo bottegaio fa così schifo?

  3. Luka

    La lega è sempre stata ostile ai grandi centri commerciali. Non si può in effetti veder tutto positivo: i centro commerciali diventano i nuovi luoghi di aggregazioni, svuotano i centri e i negozi. Un po’ di ordine va fatto.

    L’articolo mi sembra travisato. Ciò che traspare davvero è che la fortuna di Brescia sta nelle piccole imprese. Ma niente di nuovo sotto il sole, è un discorso che riguarda tutto il nord-est e la Lombardia pedemontana

  4. Vorrei portare all’attenzione come a volte la politica dei grandi centrei commerciali porti ad un impoverimento sul territorio perché la ricchezza prodotta derivante dagli incassi nella maggior parte dei casi si concentra nelle mani di pochi gruppi che investiranno altrove, dispensando sul territorio solo bassi stipenti e contratti a termine.
    Al contrario un commercio diffuso fa si che le ricchezze prodotte siano spese direttamente sul territorio attivando un circolo virtuoso

  5. Carlo Lottieri

    Vari commenti hanno rilevato che andare dal negoziante e pagare di più può essere vantaggioso: perché i soldi restano in zona, perché i centri commerciali sono tristi, perché i negozianti svolgono anche una funzione sociale. Ok.
    La questione cruciale è però un’altra: e cioè che in una società libera ognuno deve essere “padrone a casa sua”, e cioè deve essere libero di usare i propri soldi nella bottega sotto casa (se lo vuole) oppure passando il sabato pomeriggio nel supermercato. I sistemi polizieschi e autoritari se ne fregano della libertà individuale, ma sono sistemi che non rispettano la dignità della persona e, alla fine, finiscono anche per distruggere l’economia.
    Insomma, io non ho assolutamente nulla contro chi vuole andare dal negozietto che vende i pomodori a 5 euro al chilo. Ha un suo mercato e quindi è più che legittimato a esistere. Quel negoziante però vive di profitto: cioè compra a 1 per vendere a 2, oppure compra a 6 per vivere a 7. Il suo profitto è più che legittimo a una condizione: che l’accesso al mercato sia libero. Altrimenti quel negoziante non è un imprenditore (che rischia e si mette al servizio del cliente), ma è un parassita (che si avvantaggia di protezioni legali).
    Mi pare chiaro che non si debba “aiutare” nessuno: né la Fiat, né la piccola impresa, né la piccolissima. Per una ragione etica (non mettere le mani in tasca agli altri) e anche per una ragione economica. Perché quando sul libero mercato un’attività, grande o piccola che sia, chiude i battenti, a decidere tutto questo non è stato il fato e neppure una qualche strana cospirazione. Siamo stati noi, in quanto consumatori, che di tutta evidenza abbiamo deciso altrimenti.
    Ma ci sono politici che si riempiono la bocca del “popolo” solo quando fa loro comodo, salvo poi coltivare clientele di ogni genere e, in questo senso, rigettare ogni responso del consumatore sovrano.

  6. Antonio M

    Penso che quest´articolo http://mises.org/daily/4264 apparso oggi su mises.org cada a fagiolo…magari acquistato presso il fruttivendolo vicino casa oppure alla Ipercoop piu´lontana , dipende dalla scelta libera di ognuno!

  7. pietro

    per quello che vedo io quando hanno aperto un centro commercaile nelle vicinanze, hanno assunto un centinaio di persone, all’interno ci sono anche una ventina di negozietti, nei dintorni nel giro di una decina di anni hanno aperto una concessionaria auto, una ferramenta , un’ edicola e un distributore di benzina, quindi tutto questo impoverimento non lo vedo, se poi qualche vecchio negozio che vendeva merce di scarsa qualità a prezzi alti perchè aveva tre clienti al giorno ha chiuso la cosa non mi sembra un dramma, visto che l’alternativa è il “socialismo” leghista in cui è il politico di turno a decidere ciò che è buono per i cittadini

  8. pietro

    Da lombardo poi posso solo notare con sollievo che nel caso in questione i “somari” che ne pagano le conseguenze sono veneti e piemontesi, qui se un leghista prova a impedire l’apertura di un centro commerciale viene preso a pernacchie…..

  9. Giuseppe

    01 maggio 2010

    Gent.Mo Dott. Giannino,

    ho da poco ascoltato il suo intervento televisivo in merito alla disponibilità degli italiani al pagamento dell tasse.
    Si discuteva del diverso approccio che hanno i nordici sull’argomento.
    Desidero ringraziarLa per suo commento:
    “Gli italiani lavoratori autonomi pagherebbero con maggiore trasporto alla cosa pubblica se potessero avere certezza dell’ impiego che i politici fanno del danaro versato.”

    Grazie perchè non riesco a trovare una giustificazione più calzante.

    In merito al discorso che i salariati sono le sole vittime del sistema mi permetto far rilevare che sono anche i soli protetti dal sistema.
    Stipendio garantito in caso di lunga malattia (l’autonomo spesso fallisce in questi casi).

    Grazie per aver sopportato i miei commenti.

    Giuseppe Baldi

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