16
Mar
2015

Una legge su partiti e sindacati? Magari, purché dica che..

Sarà davvero interessante capire a che cosa stia pensando il governo, in merito a una legge di attuazione degli articoli 39 e 49 che riguardano sindacati e partiti. Se fosse una mera ripicca alla “coalizione sociale” a cui lavora la Fiom di Landini, sarebbe un grave errore. Serve un meditato intervento organico, che codifichi norme di democrazia e trasparenza.

I sindacati in Italia hanno sempre fatto politica, collaterale ai vecchi partiti un tempo e ora con qualche difficoltà a riconoscersi negli attuali blocchi. Ma politica l’han sempre fatta: faceva politica eccome Di Vittorio come Lama, han fatto politica ecome Cofferati ed Epifani, lo scontro attuale tra Fiom e Cgil non è tra “sindacato puro” vs “sindacato politico”, ma una lotta di egemonia tra chi dei due possa fare politica a sinistra. Poiché il sindacato politica in Italia l’ha sempre fatta,  perciò la politica si è ben guardata dall’adempiere la Costituzione con una legge che disciplinasse la registrazione dei sindacati ancorandola norme di democrazia e doveri di trasparenza.

Quanto ai partiti, di fatto anch’essi libere associazioni non riconosciute e senza personalità giuridica, in Parlamento si sono ben guardati dal redigere una legge che garantisse davvero la propria democrazia interna. Sono intervenuti a proprio favore a raffica solo per darsi soldi pubblici, da metà degli anni Settanta in poi, e allegramente infischiandosene del voto referendario degli italiani nel 1993 abrogativo del finanziamento pubblico, che ora con la riforma votata a inizio 2014 scalerà a diminuire via via, fino a scomparire entro il 2017, sempre che i partiti non ci ripensino. Guarda caso, i minimi requisiti formali per la redazione dei bilanci dei partiti previsti entro il 31 dicembre scorso, e a cui i partiti erano inadempienti,  sono stati protratti dall’attuale governo nel decreto milleproroghe.

Per i partiti, l’aspetto delicato – risolto il finanziamento – è la codificazione in statuti di obblighi nei confronti dei loro iscritti: obblighi di accesso ai conti e all’elenco degli associati, obblighi di procedere a primarie con modalità fissate e secondo liste certificate, obblighi di democrazia interna da osservare negli organi statutari, nelle rappresentanze come nei procedimenti disciplinari. Ve li vedete voi gli attuali partiti assumere impegni per legge che consentirebbero a ogni iscritto e cittadino, di fronte a decisioni assunte seguendo due pesi e due misure – la norma, non l’eccezione, all’interno dei partiti – di adire il Tribunale? Personalmente, non ci credo.

Analogamente vale per il sindacato, ma con la differenza che sono in gioco la valenza erga omnes di contratti oggi assunti da libere associazioni, nonché obblighi di trasparenza finanziaria che, nel mondo sindacale, sono a oggi addirittura inferiori rispetto a quelli dei partiti. In 70 anni, la diffidenza verso una disciplina legislativa dei sindacati si è fatta forte di due timori. Quello di violare l’autonomia organizzativa e l’iniziativa sindacale propria della specificità di ciascuno di essi. E, soprattutto, il freno è venuto dal rischio che la maggioranza politica di un colore scrivesse regole “contro” questo o quel sindacato. Dopo 20 anni di governi a colore alterno, si può sperare che i timori siano svaniti? Stante la conflittualità tra Pd oggi architrave del governo, e Cgil-Fiom, direi di no. Ma sperar non nuoce.

Distinguiamo i due punti essenziali per ogni tentativo legislativo in materia sindacale. Il primo riguarda la rappresentanza perché i contratti siano “esigibili” erga omnes. Il secondo: le finanze.

Sulla rappresentanza, ci si è avvalsi nei decenni di accordi interconfederali tra sindacati e associazioni datoriali. L’ultimo protocollo è del gennaio 2014, traduzione operativa dell’intesa sottoscritta nel 2013 anche dalla Cgil dopo che la precedente nel 2011 – a polemica Fiat esplosa – non aveva ottenuto la sua firma. Ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria, sono ammessi i sindacati che abbiano una rappresentatività almeno del 5% , considerando la media fra dato associativo e dato elettorale. Un dato certificato dall’INPS, che proprio oggi con il presidente Tito Boeri ha firmato il relativo protocollo con imprese e sindacati,.

Ma qui vengono due punti aperti e delicati. Perché riguardano i diritti sindacali e l’esigibilità del contratto nei confronti di chi il contratto non l’ha firmato. Mentre i diritti sindacali alla fine nell’accordo interconfederale sono concessi anche ai sindacati che abbiano solo “partecipato” alla piattaforma negoziale, a differenza di quanto prescrive per legge l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori che li riserva solo a chi il contratto l’ha firmato, il protocollo prescrive poi chei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti formalmente dalle organizzazioni Sindacali che rappresentino almeno il 50% +1 della rappresentanza, previa consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori, a maggioranza semplice saranno efficaci ed esigibili”. E’ una regola che riprende anch’essa il vecchio Statuto dei lavoratori. Ma è una norma che non solo la FIOM non digerisce: soprattutto la Corte Costituzionale, il 3 luglio del 2013, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 19 dello Statuto nella parte che dava rappresentanza sindacale aziendale solo a i sindacati che avevano sottoscritto il contratto.

Se si interviene per legge, è questo il punto dolente dello scontro tra FIOM e tutti gli altri. Come si mette insieme l’esigibilità piena dei contratti con la strategia di grandi sindacati di non firmali a oltranza e adire il tribunale? Bisogna anche tener conto che si tratta di norme che ricadono poi sui contratti aziendali, di princìpi che devono essere chiari e trasparenti anche per le imprese che non aderiscono a sindacati datoriali, come Fiat che è uscita da Confindustria e UnipolSai uscita dall’ANIA.

C’è poi un capitolo altrettanto delicato: che riguarda le trattenute sindacali, l’intero comparto – oggi opacissimo – del finanziamento pubblico sindacale, e degli obblighi di rendicontazione contabile e patrimoniale. L’anno scorso sul Messaggero sottolineammo che si aggira sul miliardo di euro l’anno la cifra stimata di fonte pubblica che affluisce nei bilanci sindacali – tra convenzioni dei CAF, Patronati, quota-pensioni girata dall’INPS, e via proseguendo. I tre segretari confederali replicarono attribuendo la cifra a un intento malevolo, ma non fornirono un’analitica riaggregazione delle cifre che smentisse la nostra stima.

Senza legge, restando i sindacati libere associazioni non riconosciute, sono solo soggetti ai magri articoli del Codice Civile che disciplinavano nel 1942 tale forma di libera organizzazione dei corpi intermedi. I rendiconti economici annui pubblicati da Cgil, Cisl e Uil sono meri riepiloghi di cassa, non un bilancio analiticamente completo di centro e periferia, di ogni spesa e ogni trasferimento ricevuto, dell’ammontare degli attivi mobiliari e immobiliari nonché delle passività di ogni genere. In assenza di bilanci consolidati resi pubblici, purtroppo, si possono solo stimare le entrate aggiuntive oltre ai finanziamenti diretti tramite le ritenute salariali, e cioè i finanziamenti pubblici che arrivano tramite l’attività degli enti parasindacali, come patronati, CAF ed enti bilaterali, e infine i finanziamenti percepiti tramite la retribuzione percepita dai lavoratori per lo svolgimento di attività di natura sindacale durante l’orario di lavoro. Se i trasferimenti pubblici per CAF e Patronati fossero del tutto equivalenti a ciò che i lavoratori pagano a tal fine, le loro cifre non sarebbero comprese nel rendiconto generale della spesa dello Stato, sotto la voce “contributo pubblico al finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale”. Né Giuliano Amato avrebbe ricevuto dal governo Monti l’incarico di redigere un rapporto sul finanziamento diretto e indiretto dei sindacati.  Né la spending review montiana avrebbe disposto la riduzione del 20% dei compensi per i Caf derivanti dalle dichiarazioni fatte per conto dell’Inps.

Non sappiamo se davvero il Ministero del Lavoro davvero eroghi ai patronati lo 0,226% dei contributi obbligatori incassati dall’Inps, dall’Inpdap e dall’Inail tenendo conto, e come, per davvero anche della loro concreta organizzazione, come prescrive la legge. L’obbligo di anonimato sulle liste dei distacchi sindacali, tagliati dal governo Renzi nella PA, è ormai una garanzia antidiluviana. Ed è troppo, voler sapere il preciso ammontare dei patrimoni immobiliari sindacali, esente dalla tassazione che tocca a noi tutti?

Non ci aspettiamo che il governo Renzi adotti il modello di un sindacato finanziato da soli contributi liberi e volontari, senza ritenute alla fonte obbligatorie per legge e con propri fondi previdenziali integrativi, in modo che ciascuno possa essere giudicato sulla gestione più efficiente. Pensiamo tuttavia che per primi i dirigenti sindacali guadagnerebbero consensi, tra i loro iscritti e soprattutto tra i molti milioni in più di lavoratori che non lo sono, se non dicessero no a nuovi e penetranti obblighi di trasparenza: loro che sono i primi a chiederli, e giustamente, alle imprese.

 

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1 Response

  1. gianni

    13 righe sui partiti, oltrr 50 sui sindacati. Eppure sono i primi a poter giovare di più o a fare più danno. Giannino, lei risulterebbe più credibile se fosse più equilibrato nei suoi scritti. Ciò non toglie che sono d’accordissimo su tutto quello che dice. Circa i sindacati, anzi, posso aggiungere un aneddoto che mi vede, mio malgrado, protagonista. Il fatto è caduto ormai in prescrizione, quindi posso parlarne abbastanza liberamente.
    Circa 20 anni fa cercavo casa, c’era un consorzio di cooperative che stava costruendo praticamente dirimpetto all’azienda dove lavoravo, quindi mi recai nella sede di questo consorzio, facente capo ad un sindacato nazionale noto per la sua “moderazione”, per avere informazioni. Mi ricevette un signore gentile e dispobibile, oltre che ben preparato, spiagandomi tutto quello che dovevo sapere. Ne parlai con la mia futura moglie e decidemmo che la cosa era fattibile. Tornai, lo stesso signore mi ricevette, “grazie” al reddito avevo accesso ad un mutuo anche trentennale a tasso basso per l’epoca, oltre ad un finanziamento a fondo perduto della regione per un bel po’ di milioncini. Molto allettante, anche se onestamente devo dire che avrei potuto fare a meno del regalo, visto che il mio stipendio di allora era tutt’altro cbe basso, anche se ero ad inizio carriera. Poi il tipo prese a parlare per circonvoluzioni per me, ingenuo provinciale, incomprensibili… Alla fine si stufò e disse, sbuffando: “Senta, non so stai a fa’ finta de nun capì o se nun capisci popo, ma il finanziamento della regione lo devi girare a noi se vuoi quella casa”. Ecco… Quanti soldi incassano (e hanno incassato) grazie a pratiche del genere? Un parente avvocato anziano mi sconsigliò di fare denuncia per non rovinarmi la carriera (che più tardi mi sono rovinato lo stesso a causa della mia stupida ostinazione ad essere onesto). Eppure a Roma un tale comportamento non suscita nessuno stupore, è normalissimo! Qui si possono riformare partiti e sindacati quanto si vuole, ma se non si riformano le “cocce” degli italiani c’è poco da fare.

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