14
Ago
2009

Una battuta sul Concordato e… la Fiat

Consentitemi una battuta sulla questione del Concordato, dell’ora di religione, e di tutto ciò che rientra nel regime di accordo preferenziale con la Chiesa cattolica espresso anche dal Nuovo Concordato, dovuto a Bettino Craxi e negoziato da Gennaro Acquaviva. Una battuta che deriva dalla mia storia personale. Da adolescente e giovane dirigente politico che teneva i campi estivi della propria organizzazione insegnando a ragazzini ancora più piccoli canzoni anticlericali risorgimentali – tipo “bruceremo le chiese e gli altari/ bruceremo le ville e le regge/ coi budelli dell’ultimo prete/impiccheremo il papa e il re…”, finirò tra pochi giorni, all’ultimo giorno del meeting di Rimini, a parlare di don Giussani al popolo ciellino.  Mettiamola così, la teoria della libera concorrenza applicata alla religione non solo non fa una grinza, sarebbe con ogni probabilità il first best. Ma le norme e le autorità antitrust nascono e si affermano solo dopo secoli di mercato, dunque…

Dunque  ogni Paese giunge al graduale riconoscimento diffuso, e poi alla successiva codificazione di norme in materia di libera concorrenza, non per volontà illuministica e dirigista di un re filosofo che di punto in bianco lo decida, ma per effetto di un lungo processo in cui contano storia e tradizioni, cultura, istituzioni ed efficienza e imparzialità delle medesime. È la teoria della path dependence della scuola istituzionalista di Douglas North a insegnarcelo. E come essa si applica alle norme sulla corporate governance e per istituti più market friendly in materia dei diritti degli azionisti di minoranza, a maggior ragione si applica a temi di grande impatto civile come quello religioso.

Dirò allora papale papale – de qua re necess’est – come la penso. Non si può e non si deve stupirsi del Nuovo Concordato. Se pensiamo che la Questione Romana si apre nel 1870 e si chiude solo nel 1929, mentre la Fiat nasce nel 1899 e la General Motors nel 1908, direi che bisogna quietamente posporre al futuro l’ambizione anticoncordataria nostra, come quella dei nostri amici dell’Acton Institute. Sia in Italia la Fiat sia nell’America di Obama la General Motors continuano oggettivamente a godere della clausola preferenziale anticoncorrenziale. Figuriamoci se la cosa non può e non deve valere in Italia per la Chiesa cattolica, che tutto sommato ha una storia leggermente più antica e rilevante, e un mercato di riferimento incomparabilmente più esteso di quello delle aziende automobilistiche ipertutelate  dai nostri politici.

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1 Response

  1. Tito

    Carissimo Giannino,
    premesso che da sincero liberale non ho mai apprezzato il modo in cui sono state trattate Trenitalia, Fiat ed Alitalia & co. nell’ultimo trentennio. Proprio per questo mi sento di dover affermare che come solo le realtà economiche che versano in cattive condizioni temono la concorrenza, così penso che solo chi è poco convinto della bontà delle proprie convinzioni tema il confronto con quelle altrui. Tantopiù che (senza rifarmi al vecchio e sciatto senso di vendetta proletario, non c’è nulla di male ad essere ricchi!) mentre le aziende di cui ho parlato in apertura navigavano in cattive acque ai tempi della richiesta di aiuti, non mi pare che la Chiesa Cattolica in Italia abbia tutto questo bisogno di aiuto.
    T.

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