11
Ago
2009

L’occupazione americana e il frastuono statistico

Secondo i dati grezzi del Bureau of Labour Statistics (BLS), nel mese di luglio l’economia statunitense ha perso 1,33 milioni di posti di lavoro, un dato che dopo alcune correzioni statistiche si è ridimensionato ad una flessione del numero degli occupati non agricoli di 247.000 unità, cifra che ha fatto gridare al miracolo della stabilizzazione, dimenticando che quasi un quarto di milione di impieghi distrutti in un mese rappresenterebbe uno dei peggiori risultati delle fasi recessive americane dal 1948 ai giorni nostri, esclusa la Grande Recessione che stiamo attraversando. Un dato che induce a riflettere sulle tecniche di rettifica statistica applicate alle rilevazioni macroeconomiche.

Tra tali tecniche figura il modello di Birth/Death, introdotto nel 2001 per volere dell’Amministrazione Bush, che intendeva in tal modo correggere la tendenza delle indagini statistiche a sottovalutare la creazione di nuova occupazione all’uscita dalle recessioni, quando il tasso di natalità delle imprese tende ad aumentare. Ma il Birth/Death Model, durante le fasi recessive, tende a sovrastimare la creazione di nuova occupazione. La correzione di luglio del modello ha così aggiunto al totale 32.000 nuovi impieghi, circa 7.000 in più di quelli calcolati nel luglio 2008, e vi è più di un motivo per ritenere che si tratti di un’aggiunta scarsamente realistica.

Alcuni osservatori hanno poi fatto notare che il settore auto e quello dei pubblici dipendenti addetti alle operazioni di censimento (le cui assunzioni stanno avvenendo in queste settimane), hanno contribuito al dato ufficiale per ben 100.000 nuovi impieghi, veri o immaginari. In particolare, su base non corretta per la stagionalità, il settore auto ha perduto 8.000 posti, ma dopo le correzioni del BLS avrebbe addirittura creato 28.000 nuovi impieghi. Un differenziale positivo di 36.000 posti ottenuto con un tratto di penna. A questo proposito, la correzione per la stagionalità del settore auto è particolarmente robusta nel mese di luglio perché è in quel mese che si verificano le chiusure per manutenzione di impianti, e ciò determina la messa in libertà del personale, una sorta di cassa integrazione che si riflette nella riduzione del numero di occupati. Quest’anno, come noto, le travagliate vicende di Chrysler e GM hanno stravolto il pattern di stagionalità, ma non la correzione. Tra qualche mese, al momento delle revisioni annuali, scopriremo la verità. Si aggiunga poi che lo scorso luglio il dodicesimo giorno del mese (che è quello in cui avviene la chiusura delle rilevazioni statistiche) è caduto di domenica, e questo ha costretto il BLS a campionare per solo una settimana, aggiungendo disturbo statistico.

Possiamo quindi affermare che, sulla rilevazione del mese scorso della Establishment Survey (quella compiuta mensilmente su circa 400.000 strutture produttive non agricole, pubbliche e private), si è abbattuta una tempesta perfetta di circostanze destinate a produrre, più che un rumore, un vero e proprio frastuono statistico. Ciò non equivale a confutare l’ipotesi di stabilizzazione dei livelli di attività economica, che è probabilmente in atto, ma solo a ricordare che alcuni eventi rari possono aver ridotto la significatività delle metodologie di rilevazione. Oltre naturalmente alla più generale constatazione che l’occupazione è un indicatore ritardato del ciclo economico, e che già l’ultima lieve recessione (quella del 2000-2001) è stata caratterizzata dal fenomeno della jobless recovery, circostanza che deve indurre a studiare più approfonditamente le dinamiche dei mercati del lavoro per meglio comprendere se e a che tipo di discontinuità ci troviamo di fronte.

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