10
Ott
2010

Le cifre dell’auto che la Fiom non cita mai

E’ appena andato in onda l’ennesimo comizio del segretario della Fiom Landini, ospite su La7 di Telese-Costamagna. Landini continua a sostenere che la Fiat intende abolire ogni forma di contrattazione e diritto intermedi tra produzione e lavoro. I colleghi non lo interrompono né gli obiettano, coe fanno con gli altri interlocutori. E’ un loro diritto, per carità. Poiché per l’ennesima volta chi è a casa si sente dire che dovunque nel mondo avanzato i governi mettono solidi e difendono le fabbriche mentre da noi no, e che la Fiat non ha piani ma impone a Confindustria e Federmeccanica ciò che vuole, e poiché nelle parole di Landini manca ogni rifgerimento a tutte le altre confederazioni che invece hano contrattato passo passo l’intesa interconfederale del 2009 al quale hanno fatto seguito non solo il contratto dei meccanici non firmato dalla Fiom – a differenza di altri 24 invece sottoscritti dalle altre organizzazioni di categforia della Cgil in coerenza all’intesa del 2009, dai tessili agli alimentaristi alle tlc, che evidentemente non pensano affatto che vi sia Pinochet ala testa delle imprese – ma anche successivamente le sue deroghe, poiché insomma Landini e la Fiom contnuano in una carte parte dell’informazione ad apparire come gli unici in battaglia a difendre la civiltà del lavoro, forse è il caso di ricordare un po’ di cifre dell’auto mondiale, perché quella è la realtà di cui parlare: sempre, per capire perché bisogna cambiare marcia negli stabilimenti italiani. Qual è la realtà dell’auto mondiale, come appare al salone internazionale di Parigi in corso?

Il salone dell’auto di Parigi ha avuto due volti. Da una parte quello del politicamente corretto, che continua a vedere modelli su modelli elettrici presentati e annunciati, in versione ibrida o integrale. Dall’altra, quella della nuova gerarchia ormai sempre più evidente, a fronte delle prospettive assai diverse nei mercati mondiali.

Sul tema “elettrico” alle novità ibride annunciate da PSA e Daimler in Europa ha risposto la conferma di Toyota e Honda. In realtà, continua a essere evidente che la trazione elettrica sul totale dell’evoluzione del mercato dell’auto è larghissimamente sopravvalutata. Tanto per dirne una, la Nissan prevede di costruire globalmente nel 2011 solo 50mila Leaf, modello del segmento C a trazione integralmente elettrica grazie alla batteria a ioni di litio realizzata con Renault. Certo, le emissioni di Co2 sono davvero a zero con il tutto elettrico, ma anche per la Leaf che pure si presenta con un bel design e 5 posti l’autonomia resta limitata a 160 chilometri, e poi servono 8 ore per la ricarica integrale e no meno di mezz’ora per quella rapida, sempre ammesso di trovare però le paline di ricarica lungo il percorso… e a parte in più il fatto che lo stesso modello rischierà di costare l’equivalente di 19mila euro negli USA grazie agli incetivi di Obama, e fino al doppio da noi in Europa.

In pratica, a Parigi c’è stata la conferma della realtà dell’auto mondiale, che al di là della vetrina ambientalista deve considerare l’amara realtà dei numeri. Se nel settembre 2010 negli Stati Uniti i dati sono stati abbastanza rincuoranti – il miglior mese rispetto ai 13 precedenti – il mercato europeo ha confermato la forte frenata attesa nel secondo semestre 2010, dopo l’esaurimento pressoché totale o comunque la forte riduzione dei diversi piani nazionali governativi di incentivi anti crisi  agli acquisti. Al meno 10,8% del complessivo mercato europeo ha fatto riscontro il meno 19,8% italiano, e il meno 24% spagnolo. Noi qui in Italia siamo ovviamente abituati a considerare innanzitutto l’effetto che tutto ciò ha per Fiat, di cui al 21 ottobre apprenderemo gli andamenti nel terzo trimestre che in realtà il mercato si attende in linea con le previsioni dell’azienda e dunque in conferma di ripresa rispetto al 2009. Ma è il caso di sottolineare che anche per Ford Europa – che a differenza di Opel e cioè della presenza di General Motors nel nostro continente è rimasta ben profittevole – i dati dicono che nella Ue ad agosto aveva perso il 27% e a luglio il 21%, rispetto al mese precedente.

Se diamo un’occhiata ai dati mondiali, le previsioni di vendita di auto nuove nel 2010 attestano che dei circa 70 milioni di unità aggiuntive solo 32 milioni avverranno nel mondo avanzato, cioè nella somma tra USA, Europa e Giappone, mentre ben 38 milioni riguarderanno il resto del mondo e soprattutto i Paesi BRIC (in Russia dopo il terribile 2009 e 2008 il mercato segna a settembre un incoraggiante più 55%, addirittura, dopo i nuovi incentivi governativi). Non si tratta solo degli effetti della crisi che ha colpito più duramente i Paesi Ocse. Il mondo nuovo resterà per l’auto profondamente cambiato in piana stabile, rispetto a prima. Tanto che le previsioni al 2018 su cui c’è maggior consensus  tra le maggiori case internazionali di consultino del mercato auto prevedono una ripresa del mercato auto nuove fino a 80 milioni di unità, ma con il mondo avanzato che ne totalizza il 50%, mentre gli altri 40 milioni resteranno appannaggio del resto del mondo.  Tra il 2007 e fine 2009 Usa, Ue e Giappone hanno segnato nel mercato dell’auto un meno 23%  a cui sa facendo seguito nel 2010 un modesto più 4% complessivo. I Paesi BRIC hanno mantenuto il segno più della crescita nel triennio di crisi, e nel 2010 sanno marciando a un ritmo travolgente del più 23%.

Tra le maggiori case europee, la nuova gerarchia e geografia dell’auto mondiale vede di conseguenza la conferma della locomotiva germanica, che si è messa prima della crisi in condizione di sfruttare le mutate coordinate planetarie delle quattro ruote. Nel solo mese di settembre, in Cina Mercedes ha segnato un più 98% delle vendite con 13.500 unità, BMW più 89% con 15.300, e l’Audi , il brand lusso del gruppo Volskwagen che è leader in quel segmento in Cina, segna un più 45% con oltre 22mila unità. Per avere un’idea di quanto il mercato cinese pesa complessivamente per i marchi tedeschi, a settembre Mercedes in totale ha segnato un più 13% con 120 mila unità, Audi più 16% con 103mila unità, BMW più 13% con 118.500 unità. Come si vede, il mercato cinese pesa il 12% complessivo per Mercedes, il 14% per BMW, e addirittura quasi il 25% per Audi. Ed è in questo quadro che al salone di Parigi Volskwagen, che coi suoi 10 brand compresa Porche si avvia ormai ad avere più modelli – circa 200 – di qualunque altro gruppo al mondo, abbia annunciato che nel 2011 comincerà la vendita in Cina delle sedan sin qui riservate al mercato americano, a conferma che la crescita spettacolare del segmento più elevato delle berline inizierà gradualmente a traslarsi in Cina anche ai segmenti inferiori.

In questo mondo nuovo, restano aperti per l’auto tra gli altri due temi essenziali. Innanzitutto quello  di un confronto equo e ad armi pari nel WTO, cioè nell’organo che vigila le regole del commercio mondiale. E’ del tutto ovvio che, di fronte alla potenza germanica nel segmento dei nuovi ricchi cinesi, vi siano altri gruppi che, avendo seguito altre strategie come Fiat e Ford, continuano motivatamente a lanciare grida d’allarme nei confronti della concorrenza che sui mercati europei viene dal segmento asiatico più aggressivo e che resta più asimmetrico nell’apertura del proprio mercato interno. Come avviene per la Corea del Sud, che esporta 2 dei 3 milioni circa di auto che produce annualmente e ben 500mila di queste verso il mercato europeo. In tutto il 2009, i gruppi sudcoreani che continuano a controllare il 95% del mercato domestico hanno consentito in tutto e per tutto l’importazione di sole 33mila auto europee, e questi numeri dicono tutto.

Ma le regole non sono che la cornice, nella quale avviene la grande competizione. Quel che conta sono i prodotti, le tecnologie, le sinergie sulle piattaforme, la giusta strategia multibrand che consenta di avvantaggiarsi dei volumi e dei margini consentiti dalla crescita dei paesi emergenti, oltre alla difesa delle posizioni sui tossicchianti mercati avanzati. Il punto non è solo il costo medio e marginale a unità prodotta, rispetto al prezzo a cui lo si propone. Motivo per cui, ad esempio c’è da riflettere sulla vicenda che vede GM esitare ancora a cedere ai cinesi di Geely che hanno rilevato Volvo anche l’impianto Opel di Anversa, altrimenti desinato a chiudere: bisognerebbe ci pensasse la Fiom, che in Italia continua a opporsi alla nuova produttività per più salario del progetto Fabbrica Italia coi suoi 20 miliardi d’investimento della Fiat. Ma in realtà, in un mondo con mercati tanto diversificati, per i grandi gruppi che hanno strategia globale è in corso un’enorme rivoluzione che investe il procurement nelle catene di fornitura e le strategie di in e out sorcing degli assemblaggi. Sbagliare per i modelli trainanti che portano più margine tra un modello in cui l’80%  è assemblato in maniera standard su piattaforma e solo il 20% variante tra macroaree mondiali, e uno invece in cui sino al 40% di ogni singola auto può risultare variata per assecondare la domanda del mercato, può comportare errori tali da condannare alla sconfitta anche qualcuno tra i gruppi europei che sono oggi i veri concorrenti di Fiat nella sua strategia finalmente globale.

Mi piacerebbe una volta capire, se queste cifre contano qualcosa per Landini e la Fiom. Oppure sono balle inventate da industriali autoritari.

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6 Responses

  1. Solo domande non risposte

    Vorrei sapere se nel suo articolo oltre a snocciolare dati sul settore dell’auto a livello mondiale e delle varie strategie messe in atto dalle varie case costruttrici si è affrontato il problema dei lavoratori e della scelta che la Fiat ha compiuto con la costituzione di una newco e del nuovo contratto? Del clima di paura che vive tra i lavoratori?
    La colpa non è di Marchionne che ha dovuto compiere questa scelta per abbattere i costi spinto dalla forte competizione, ma degli italiani, intendo i consumatori, coloro che prossimamente andranno a comprare un auto, che dovrebbero chiedersi se intendono acquistare un’auto Fiat che agisce in questo modo. La legge del mercato è giusta ma i consumatori devono prendere coscienza del loro potere e dell’influenza che possono compiere con le loro scelte.

  2. pietro

    Egr. Dr. Giannino. MI limito al problema emissione c02 con il tutto elettrico.
    La prego di leggere (ma probabilmente lo avrà già fatto) quanto pubblica
    l’Economist, nell’ultimo numero, sui vantaggi del tutto elettrico (che mi vede tra i sostenitori)
    I vantaggi, stando al report, sono veramente minimi.
    Salvo non ricaricare le batterie con energia da nucleare o da rinnovabili.

  3. Alessandro

    @ Solo domande non risposte.
    Se i consumatori facessero come dice lei non si farebbe altro che aggravare la situazione di Fiat nei confronti dei suoi competitor. Occorre prendere consapevolezza che la casa torinese non è un tiranno avaro che, non contento dei suoi grandi margini, per lucrare ancora più decide di creare un nuovo contratto ai danni dei lavoratori. Qui parliamo di una casa automobilistica che si trova davanti, oltre alla crisi economica globale di cui sentiamo tanto parlare, alla più grande crisi del settore automobilistico degli ultimi 50 anni!! Non è facile competere con altre case automobilstiche a cui la medesima produzione costa la metà.. mi rendo conto sia una situazione difficile, specialmente per tutti quei lavoratori che si sono visti stravolgere il contratto di lavoro da un giorno all’altro, ma purtroppo è un nodo che è arrivato al pettine: o Fiat si adatta o non ha futuro.

  4. MassimoF.

    Sinceramente in questa situazione e con questi numeri , bisognerebbe premiare Marchionne che nonostante tutto investe in Italia e sopporta la fiom. Dal punto di vista prettamente economico dovrebbe semplicemente chiudere quasi tutti gli stabilimenti italiani e trasferire tutto , compresa sede legale , all’estero. Cosa per’altro che auspico per il bene stesso del paese, se questo volesse dire una spinta a cambiare lo stato di cose attuale.

  5. luigi zoppoli

    Il punto, come correttamente spiega Oscar Giannino è che le condizioni di contesto mondiale non possono rimanere senza conseguenze per far piacere alla FIOM. In secondo luogo, sarebbe davvero grazioso se la smettessero con la favoletta dei diritti e della costituzione violata. Piuttosto, di fronte alla presa di coscienza di CISL ed UIL bisognerebbe ricordare che fino a non molto tempo fa, tutti i sindacati erano allineati a FIOM con il risultato che ai lavoratori specie nel Sud era riconosciuto il diritto ad essere disoccupato, sottoccupato o ridotto al lavoro nero; nessun imprenditore straniero tanto pazzo da investire in Italia ed amenità siffatte. Se volessimo, potremmo persino cominciare a fare discorsi seri e a non dire sciocchezze come la FIOM fa.

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