3
Apr
2015

Intercettazioni: Gratteri fa il garantista, ma le estende

E’ una costante della vita pubblica italiana, la polemica sulle intercettazioni a strascico e sul danno che la loro pubblicazione crea inevitabilmente a terzi non indagati, come agli indagati stessi. Per quanto ci riguarda non c’è molto da strologare, perché la soluzione per garantisti e liberali quali siamo è quella che un maestro – purtroppo scomparso – come Vittorio Grevi ebbe a scrivere sul Corriere della sera l11 giugno 2010: “si tratta, in sintesi, di stabilire che i risultati delle intercettazioni concernenti persone, fatti e circostanze estranei alle indagini non debbano nemmeno venire depositate tra le carte processuali, essendo essi irrilevanti, ma debbano rimanere custodite in un apposito archivio riservato con il vincolo del segreto, e sotto la responsabilità di un magistrato della procura. Inutile dire che di queste intercettazioni dovrà essere rigorosamente vietata la pubblicazione, con la previsione di sanzioni anche gravi in caso di violazione del divieto”. Punto e basta, preciso e chiaro.

Ieri, inserendosi nelle polemiche sul caso D’Alema, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, attualmente a capo della commissione per la revisione della normativa antimafia dopo esser stato in predicato per il ministero della Giustizia all’atto della formazione del governo, ha molto fatto parlare di sé, avanzando la proposta dell’introduzione di un nuovo reato, quello di pubblicazione arbitraria delle intercettazioni. Di conseguenza abbiamo voluto esaminare nel dettaglio le sue proposte, che riguardano per esteso gli articoli del codice di procedura penale dal 266 al 271, che disciplinano la materia. E la sorpresa è stata, a dire il vero, di trovarci di fronte a proposte che – a parte la pur apprezzabile nuova fattispecie di reato sulla pubblicazione arbitraria, che tuttavia non ci persuade più della semplice e chiara norma che abbiamo ricordato all’inizio – a tutto sembrano ispirate, tranne che al garantismo liberale che avevamo immaginato.

Che cosa propone Gratteri, in sintesi? Innanzitutto che le intercettazioni non siano autorizzate dal gip quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini, come dispongono le norme attuali, ma basta che gli indizi di reato non siano gravi e che le intercettazioni – estese a tutte le forme di comunicazione, comprese quelle epistolari e digitali di ogni tipo – siano considerate necessarie per le indagini, non più “assolutamente indispensabili”. Poi, che l’autorizzazione del gip al pm non sia di 15 giorni in 15 giorni, ma di 40 e poi in serie di altri 20. Tali modifiche vengono giustificate con la necessità di superare l’attuale doppio regime delle intercettazioni rispetto a quello per reati di criminalità organizzata, in nome del fatto che la ricerca della prova non richiede mezzi diversificati a seconda del tipo di reato al quale si riferiscono le indagini. Ma in realtà è evidente, anche a un occhio non tecnico, che l’effetto ricercato sia quello di estendere ulteriormente la facoltà di intercettare.

Resta la facoltà di deposito di intercettazioni che coinvolgano anche terzi, se e perché necessarie al fine probatorio della pericolosità criminale dell’indagato. E si estende il loro utilizzo anche a procedimenti diversi da quello per cui le intercettazioni sono state autorizzate, in nome del fatto che, dal punto di vista del bilanciamento dei due opposti interessi costituzionali, il sacrificio alla riservatezza ormai perpetrato risulti tanto più giustificato a vantaggio dell’interesse pubblico, quanto più ampio è lo spettro dell’impiego delle intercettazioni a fini repressivi.

Va dato atto che Gratteri propone il diritto per la difesa di ottenere copia dei risultati delle intercettazioni e dei verbali delle operazioni anche se non sono stati ancora depositati compresi i brogliacci delle trascrizioni, appena sia stata notificata o eseguita un’ordinanza che dispone una misura cautelare personale. Che il pm possa stabilire, con il decreto attuativo della intercettazione, anche le “modalità esecutive” inerenti all’accesso clandestino nei luoghi per il posizionamento degli strumenti di intercettazione. E il divieto, tanto al giudice quanto al pm, in qualunque richiesta o provvedimento, ad eccezione delle sentenze, di inserire il testo integrale delle intercettazioni: ma a meno però che la riproduzione testuale dell’intera comunicazione intercettata non sia rilevante ai fini della prova, e qui ci risiamo…. Per finire poi con la previsione della nuova fattispecie di reato all’art. 595-bis del codice penale, cioè la “pubblicazione arbitraria di intercettazioni” di cui tutti hanno scritto. Ma ai nostri occhi questa serie di proposte “garantiste” non pareggia affatto quelle sostanzialmente volte a estendere , potenziare e moltiplicare le intercettazioni e il Grande Fratello come strumento prioritario probatorio.

Un’infinita molteplicità di casi ha dimostrato, in questi anni, come decine e decine di migliaia di pagine d’intercettazioni estranee alle circostanze oggettive e probatorie delle ipotesi di reato abbiano finito per influenzare potentemente l’opinione pubblica, e le stesse corti giudicanti. E’ alla sostanza che bisogna andare, se vogliamo opporre a tale modalità impropria di esercitare l’azione penale, quella mediatico-giudiziaria, una soluzione finalmente rispettosa delle esigenze della giustizia da una parte, ma anche della privacy e del rispetto costituzionale dovuto a tutti, indagati e tanto più agli estranei al procedimento. E’ la concezione del diritto della giustizia sovraordinato a quello dei cittadini, il problema da affrontare intervenendo sull’attuale regime delle intercettazioni. E a questo fine non serve una mano di vernice a tutela del garantismo, mentre si usa altro cemento per rafforzare la facoltà di intercettare.

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