14
Nov
2014

Immigrati, Tor Sapienza, Viminale e le competenze che mancano

Dopo giorni di scontri e tensioni crescenti a Tor Sapienza, il Viminale ieri ha convocato il Comune di Roma. Ma lo ha fatto dopo che il Campidoglio aveva concordato con la Questura il trasferimento dei minori dal centro immigrati di via Morandi, l’epicentro del fenomeno. Il solo fatto che il ministero dell’Interno si sia mosso dopo e non prima, e per di più davanti a fatti estremamente gravi che avvengono nella capitale, consegna la chiave del problema irrisolto dell’immigrazione nel nostro Paese. Abbiamo dedicato migliaia di ore di dibattiti pubblici e radiotelevisivi alle tragedie dei migranti in mare. Ma continuiamo a non avere uno straccio di schema politico-amministrativo efficace, per gestire il fenomeno entro il territorio nazionale e fuori dai Cie.

Ogni paese in ogni secolo ha un suo medioevo. Che si manifesta quando improvvisamente un futuro imprevisto diventa presente, e non si ha alle spalle un passato di esperienze per affrontarlo. In Italia capita con l’immigrazione. Perché a metà degli anni Novanta avevamo un numero di immigrati totali di poco superiore a 500mila unità, mentre oggi sono 5 milioni e mezzo, un milione e trecentomila famiglie di soli immigrati, e un milione di minori. Un milione di romeni, mezzo milione di marocchini, mezzo di albanesi (i più rapidamente integratisi). Mentre la popolazione straniera è cresciuta in media ogni anno del 103,3 per mille, quella italiana si è invece ridotta progressivamente dello 0,7 mille.

E’ vero, nel 2014 il fenomeno apicale sono stati gli sbarchi, 150 mila solo da gennaio a ottobre, rispetto a poco più di 40mila nell’intero 2013. E di qui le richieste insistenti perché l’Europa con Frontex sostituisse o per meglio dire integrasse la nostra missione Mare Nostrum. Ma, mare a parte, restiamo totalmente sprovvisti di politiche e risposte organizzate quando l’immigrazione, nelle grandi città e nei territori, dal 9% scarso oggi media sul totale della popolazione italiana diventa tre, quattro e cinque volte maggiore rispetto al totale degli italiani, in un quartiere o in piccolo centro.

A Roma a Tor Sapienza oggi, come a Corcolle a settembre – e in termini diversi a Milano, con le occupazioni clandestine ma di massa delle case popolari ALER – si sommano tre fattori diversi. Si tratta di periferie o aggregati urbani nei quali il reddito medio degli italiani residenti è anche del 40-50% inferiore alla media, cioè aree già per loro conto a fortissimo disagio sociale. Dove in pochi mesi o settimane si determina una concentrazione di immigrati per i quali i già scarsissimi servizi offerti ai residenti italiani diventano ancor più deficitari. E in ogni caso, se aggiuntivi per gli immigrati, avvertiti dagli italiani come uno schiaffo alla propria condizione, come allo stesso modo viene avvertita la loro disponibilità per lavori a bassissima remunerazione, in diretta concorrenza con gli oltre 3 milioni di disoccupati italiani. Ma l’ulteriore a novità è che su questo malcontento da qualche tempo hanno preso a risoffiare gli aliti di estreme minoranze politiche, però determinate a incitare allo scontro, a fini populistici e per proprio tornaconto.

E’ ovvio che il problema e l’emergenza di ordine pubblico siano rappresentati dal terzo fattore, e dal secondo quando tracima in violenze e cacce all’uomo spontanee e non “incitate” da mestatori. Non fosse che per questo, è ancor più singolare che ieri il Viminale si sia svegliato quando già Comune e Questura avevano attuato una prima decisione. Ma il problema è un altro. Prima che sia troppo tardi, la politica deve decidere di attribuire competenze (e risorse) agli unici che possono affrontare organicamente il problema dell’integrazione di milioni di stranieri: non lo Stato centrale, ma gli Enti Locali.

In Germania, le competenze sugli immigrati non fanno capo allo Stato federale, ma ai Laender. E sono le grandi città metropolitane, che nei decenni sin dagli anni Cinquanta hanno elaborato modelli diversi di housing sociale e integrazione scolastica per i Gastarbeiter, i “lavoratori ospiti” prima italiani, poi turchi, poi africani e asiatici. E’ quello il modello al quale guardare, visto che non siamo francesi né britannici, non abbiamo avuto secoli di imperi coloniali, e di conseguenti eredità postcoloniali di immigrazione da gestire. Per capirci, le Council Houses municipali, che nel Regno Unito sono riservate ai meno abbienti e agli immigrati, hanno una tradizione che affonda le radici nell’XII° secolo, e nelle Poor Laws che dal ’600 fino a Lord Beveridge hanno costituito un modello di soluzione, sia pur in presenza di uno Stato molto parco nella spesa pubblica.

Sono le 10 nuove Città Metropolitane italiane più Roma capitale – non le Regioni, per carità – e cioè il nuovo macroreticolo amministrativo italiano in cui si addensano popolazione e problemi sociali, a dover avere le competenze (e risorse) per gestire un fenomeno che non può essere affrontato con centri temporanei come quello di via Morando a Tor Sapienza, calato dall’alto in realtà di degrado per decisione di qualche funzionario del ministero e del Comune individuato dall’alto come “recipiente”. Il governo prenda l’iniziativa di avviare questa svolta.

Che avrà tempi ovviamente lunghi, visto che è in corso un bel braccio di ferro con Comuni e Regioni per i tagli chiesti in legge di stabilità. E dunque nel periodo transitorio Stato centrale e Città dovranno percorrere un bel tratto di strada insieme. Perché è vero che il più degli immigrati oggi sbarcano per non restare in un’Italia disastrata ma nel tentativo di andare verso il Nord Europa. E che i permessi di soggiorno per lavoro sono scesi dai 350 mila del 2010 a poco più di 60mila nel 2012. Ma al contempo gli immigrati sono oggi milioni. E dalla casa al lavoro, alla scuola e all’università, occorre pensarci. Ficchiamocelo in testa: credere di mettere la polvere sotto il tappeto chiudendo per un po’ migliaia di immigrati in spogli palazzoni di degradate periferie non è una soluzione. E’ la miccia su una bomba. E alla politica dovrebbe spettare disinnescarla, invece di soffiarci sopra per meschini tornaconti elettorali.

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7 Responses

  1. “Ma il problema è un altro. Prima che sia troppo tardi, la politica deve decidere di attribuire competenze (e risorse) agli unici che possono affrontare organicamente il problema dell’integrazione di milioni di stranieri: non lo Stato centrale, ma gli Enti Locali.”

    Caro Oscar, ma ti rendi conto di quello che stai scrivendo?… Gli enti locali viaggiano a casse vuote, con politiche di corto respiro, e, dal punto vista culturale, sono forse ancor più poveri. Roma, oggi, insegna: chi e come dovrebbe integrare il Comune di Roma di Ignazio Marino, le cui priorità culturali sono il festival del cinema e il matrimonio omosessuale?…

    La verità è che quella dell’immigrazione, specie quella dalla Libia, è una guerra in piena regola, che le istituzioni della ex-civiltà italica ormai in disfacimento vogliono far passare da “emergenza umanitaria”, per il semplice fatto che NON hanno né il coraggio, né gli attributi, né la più pallida idea di come combatterla. In pratica, è una guerra che abbiamo già perso in partenza.

    Questi eventi non devono, però, indurci al pessimismo… si tratta di una delle manifestazioni della crisi irreversibile della democrazia rappresentativa e della società dei consumi. E dovrebbero, piuttosto, indurci ad operare, attivandoci per l’unica soluzione possibile, non solo ai problemi dell’immigrazione, ma anche tutti gli altri: quella turbo-sussidiarietà che è la “società partecipativa”, secondo Dottrina sociale:
    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/fiatpomigliano-darcomelfi-come-mettere-a-frutto-la-lezione-di-pier-luigi-zampetti-per-risolvere-il-conflitto-tra-capitale-e-lavoro/

  2. MG

    La società partecipativa, in teoria è molto affascinante, nella pratica esiste già ed è fatta dagli italiani, dai cittadini comuni, da coloro che hanno esericizi commerciali e tollerano ogni giorno di condividere uno spazio che loro pagano fior di quattrini con altri che non possono permetterselo, è fatta dai ristoratori che invece di distruggere del cibo offrono dei pasti a chi non puo permetterseli. Quando pero lo spazio per ognuno di noi si riduce troppo e non rimane nulla da mettere in “compartecipazione” allora scatta l’istinto di sopravvivienza. Siccome solo localmente si ha una conoscenza reale della effettiva capacità ricettiva o capacità di offrire questa “compartecipazione” di un territorio, solo localmente si puo dare una risposta commisurata alle dimensioni del problema e non una risposta commisurata ai fabbisogni economici oramai sempre “in rosso” degli Enti Locali (Comuni, Ospedali, Pronto Soccorso, Scuole, Asili, etc.), che tendono diciamo ad usare l’immigrazione, alla stessa stregua di catastrofi naturali varie..cioè come uno strumento di ricatto per chiedere soldi allo stato centrale e battere cassa…perchè l’emergenza esce dai vincoli di bilancio. Ancora una volta basterebbe attivare e far lavorare cio che già esiste, cioè le associazioni di categoria (commercianti, etc)…ma certo questo significherebbe togliere il gingillo dalle mani dirette della politica, dei sindacati e di tutta quella fetta oramai sempre piu consistente (ma non perche’ cresciuta..ma perche il settore privato si riduce ogni minuto che passa) della nostra economia che vive immersa nel sistema politico-pubblico.

  3. MARCO

    risalire sempre a monte sovente uccide le illusioni, ma rende più efficace l’azione
    non si può postulare la cultura e la sensibilità dove imperano ignoranza e superficialità tanto da rendere sconosciuta la meritocrazia (e superficialità sottende capacità intellettuale limitata e mancanza di volontà e applicazione per progredire culturalmente DISQUALITA’ IN CUI RITROVIAMO GRAN PARTE DELLA NOMENCLATURA ITALICA a cui i “tecnici” stanno in gran dispetto, Cottarelli e Siniscalco DOCENT)
    Riconosciuto il male prima di costruire castelli mettiamo semplicemente degli argini, facciamo come nell’Australia del 18 secolo comunità delocalizzate con l’uso del suolo per un decennio, si costruiscano loro case o baracche e allevino polli o patate, forse son le uniche cose che siamo capaci a fare, diamogli le vecchie servitù militari in veneto, sardegna e calabria tanto per cominciare

  4. Stefano

    Tornando in treno a Trento da Milano, giovedì sera, causa dissesto idrogeologico (persi 90 minuti nelle campagne di Melzo) ho perso l’ultima coincidenza e, eccezionalmente, hanno dirottato il Roma-Munchen, con fermata straordinaria Trento… non vi dico cosa c’era dentro questo carro merci tedesco chiamato convenzionalmente treno. a parte me, 2 signore tedesche modello Merkel, che dovevano tornare a Monaco e altri 10 trentini nella mia situazione, c’erano stipati negli scompartimenti e sui corridoi almeno 50 clandestini che volevano quantomeno arrivare al confine, più una famigliola Libanese con due adulti due ragazzi e una signora con due bambine piccole. A loro dire gli avevano rubato i documenti e avevano solo delle fotocopie di passaporti e con questi oltre a disquisire per circa 25 minuti con la polizia locale e capotreni tedeschi (parlando in lingue sconosciute miste a inglese e francese) sono partiti alla volta di Monaco, non so se loro e i 50 profughi siano riusciti a passare il confine austriaco e quello tedesco e da quante notti questa scena vada e andrà avanti…

  5. adriano

    “Il problema è un altro.”Già,quello della regolamentazione dei flussi che da tempo dovrebbero essere negativi.Gradirei sapere cosa si intende per “lavoratori ospiti”.Quelli che ti aggrediscono ai semafori per lavarti i vetri?Una società che rinuncia a difendersi è destinata a sparire.Se prima fa chiasso è comprensibile.Difficile morire contenti.L’immigrazione clandestina è impossibile da fermare ma la volontà politica di considerarla tale no.Se invece di riaccompagnare a casa quelli che pretendono di venire qui senza essere chiamati li andiamo a prendere possiamo risparmiarci le discussioni perchè servono a niente.Alla fine l’Italia si dividerà fra chi deve sopportare il danno dell’invasione e chi potrà continuare a vivere beato nei quartieri dorati.La pretesa che i poveracci debbano sopportare ulteriori limitazioni alla loro qualità di vita fa il paio con il richiamo alla rassegnazione per la fine del posto fisso.Chissà perchè ma chi vuole imporre ai cittadini entrambe le cose per lui non hanno valore.Comodo predicare il digiuno per chi ha la pancia piena.

  6. Cesare

    Mantenere milioni di immigrati quando abbiamo le casse vuote e milioni di cittadini italiani disoccupati è impossibile, bisogna rimandarli a casa con le buone o con le cattive. O noi o loro ormai è una guerra di sopravvivenza. I diversamente intelligenti come la Boldrini, grande intellettuale dell’accoglienza senza se e senza ma, andrebbero messi al muro per alto tradimento.

  7. AAndrea

    La politica, quella che in Italia non c’è, prima di occuparsi delle periferie dovrebbe mettere dei punti fermi alla questione immigrazione. Cosa che non fa.
    1) Siamo il punto di approdo preferito del nord africa. Chi puo’, viene qui. Che si fermi qui o no è un problema secondario. Si sbarca qui. Anche perchè le leggi lo permettono. E quando sono qui li devi mantenere o perlomeno aiutare, visto che sono essere umani. Quanti possono venire ? milioni ? decine di milioni ? E’ chiaro che è una questione di numeri. 1000 che arrivano non sono n problema, un milone forse sì. Ma non ci sono risposte dalla politica a queste domande.
    Quannte persone possiamo accogliere senza stravolgere la vita di chi già vive qui ?
    2) Stiamo volenti o nolenti facendo spazio. In Italia non nascono abbastanza figli . 1.2 – 1,3 per coppia. Significa che siamo sempre meno. Anche il meridione, una volta prolifico, non lo è più. E’ vero che da noi ci sono meno posti di lavoro ma è anche vero che diminuendo le nascite si aprono “spazi” prima occupati da italiani. Che vengono occupati dagli immigratii.
    Questo, anche se non è mai evidenziato, è un punto connesso all’immigrazione.
    3) Non ho mai sentito un discorso politico chiaro sull’immigrazione. Se non riesci a fermarla occorre capire cosa fare una volta sbarcati qui. L’ Australia ha adottato una politica di sbarchi molto dura. Senza visto si torna indietro. Ma qui da noi dove li mandi ? E’ chi paga il ritorno ? E i paesi di origine li prendono indietro ? Questi sono i temi su cui si dovrebbe discutere. Il resto viene dopo. La discussione sul degrado delle periferie viene dopo. Prima bisogna mettere dei paletti a quanto detto qui. Cosa che la politica non sta facendo.

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