11
Gen
2010

Germania: meno tasse o pareggio di bilancio? Un intervento di Dirk Friedrich

Dopo i post di Giovanni Boggero e Pietro Monsurrò, anticipiamo ampi stralci di un intervento di Dirk Friedrich, giurista e blogger, in uscita sull’edizione cartacea della rivista Eigentümlich Frei. Con questo articolo, Friedrich risponde alle considerazioni di Boggero e Monsurrò.

L’esito del sondaggio realizzato dall’emittente ARD che vuole il 58% dei tedeschi contrario a tagli alle tasse non è affatto sorprendente. Tradizionalmente sono sempre stati i conservatori (la stragrande maggioranza nel Paese) ad avere come loro fine ideale il pareggio di bilancio, preferendolo alla diminuzione delle tasse. Stando a questo modo di vedere le cose, il taglio delle tasse sarebbe solo possibile, laddove esso si accompagni ad una pari riduzione della spesa pubblica.Origine di tale teoria è una certa visione dei conservatori, come istituzione che deve essere resa in grado di funzionare. Oggigiorno si camuffa questa argomentazione con la retorica delle generazioni future. E’ ingiusto, si dice, gravare le generazioni future con i costi derivanti dal consumo di coloro che vivono oggi. Il patto intergenerazionale vieta un simile fardello. Ora, una cosa è chiara: i deficit di bilancio sono parte integrante della storia della Repubblica federale e di qualsiasi altra democrazia occidentale.
La questione sul come ovviare a questa situazione è indubbiamente importante. La cosa migliore sarebbe certamente partire da un abbattimento della spesa pubblica. Nel migliore dei mondi possibili il governo federale cancellerebbe dall’oggi al domani l’infinita serie di sovvenzioni che costellano l’economia tedesca. Ma la realtà è diversa. Le uscite della federazione, proprio come le entrate, aumentano di anno in anno. Si tratta di un trend che probabilmente continuerà in maniera inarrestabile. Nessun ente pubblico è d’altra parte chiamato a rendere conto di come vengono gestite le tasse. “Lo Stato è la grande finzione, attraverso la quale ciascuno vive alle spalle degli altri”, ricordava Bastiat. E allora se questi fattori sono connaturati all’istituzione Stato in quanto tale, difficilmente si lasceranno modificare o addirittura eliminare.
Ecco perché l’idea di una riduzione della spesa pubblica è tanto necessaria, quanto poco realistica. Detto ciò, esistono due modi per chiudere i buchi nei conti pubblici: o chiedere più tasse o indebitarsi ulteriormente, assumendo prestiti. Nessuna delle due opzioni ha solo vantaggi. Deficit finanziati attraverso indebitamento deviano nel migliore dei casi i risparmi privati dal settore privato allo Stato. Agli investimenti privati si sostituisce il consumo statale. Ciò ha in particolar modo nel lungo periodo effetti negativi. Oltretutto chi farà domanda di credito sarà costretto a pagare interessi più alti per difendersi dalla concorrenza dello Stato. Tasse più elevate producono invece sul tassato un immediato e diretto svantaggio patrimoniale. Contrariamente a quel che si dice, non sono mai gli altri ad essere vittime della tassazione, ma sempre i cittadini del ceto medio, dato che i dipendenti statali non pagano tasse e hanno un ritorno netto. Che poi le tasse più alte conducano per forza a ripianare i conti è altrettanto opinabile, dal momento che ciò garantisce soltanto (e nemmeno questo è automatico!) un gettito maggiore; ma dal momento che le tasse non sono legate ad usi certi e determinati, i politici possono ulteriormente aumentare le spese e i deficit possono allargarsi, anziché restringersi. Talora viene altresì argomentato, che l’aumento delle tasse o semplicemente le tasse rendano visibili i costi della macchina statale. Ma la stessa cosa vale anche per l’indebitamento. Esso non è certo meno visibile delle tasse incassate. L’interesse dell’opinione pubblica per la questione dei tagli alle tasse dimostra come l’attenzione si sia focalizzata sul nuovo indebitamento annuale. Anche i tanto discussi “bilanci-ombra” (Schattenhaushalte) e i patrimoni separati della federazione, in realtà debiti, sono sempre pubblici. Si dice poi che il finanziamento della spesa pubblica attraverso un maggiore indebitamento trasferisca il carico fiscale solamente nel futuro. Questo è in realtà proprio un argomento contro un aumento dell’imposizione fiscale oggi. Da un punto di vista economico, i pagamenti hanno un valore tanto minore, quanto più avanti nel futuro è la prestazione. Se si ha la scelta tra tasse oggi e tasse domani, allora è meglio scegliere la seconda opzione. E’ questione di logica: se si avesse la possibilità di scegliere se andare in galera oggi o domani, ci si godrebbe il giorno in più di libertà.
Come argomento contro i deficit di bilancio viene poi avanzato quello del default. Lo Stato potrebbe diventare insolvente, proprio come un’impresa. Ma i tagli alle tasse e i deficit di bilancio non rendono necessariamente lo Stato incapace di agire o bancarottiere. Se si uniscono i tagli alle tasse con le liberalizzazioni (del mercato del lavoro, in particolar modo attraverso l’eliminazione di salari minimi), si permette ai cittadini di far uso della forza creativa della loro mente e delle loro mani. Il debito statale perde relativamente di valore, se le persone diventano più ricche. E se le persone diventano più ricche, il peso fiscale in proporzione alla ricchezza diventa minore.
Necessarie sono dunque misure, che favoriscano l’accumulazione e la gestione di ricchezza. Tasse basse e libertà costituiscono il mezzo migliore a tale scopo. Eppure anche nel caso in cui tale via delle liberalizzazioni non dovesse essere imboccata, il finanziamento delle spese attraverso un indebitamento pare degno di essere intrapreso. Ciò ha a che fare con una questione etica: chi come creditore vuole prestare del denaro allo Stato lo fa, diversamente dal tassato, per l’appunto volontariamente.
Esiste un’ultima via per uscire dall’indebitamento, che l’Argentina ha appena seguito. Ciascuno Stato può, in ragione del suo monopolio della forza, decidere di ripudiare il debito. Il risultato è un’espropriazione del creditore. Ma l’alternativa all’esproprio del creditore è l’esproprio di tutti i proprietari sul territorio dello Stato, che a differenza dei creditori non sono volontari debitori dello Stato. Lo Stato è un cattivo accumulatore di debiti, chi si sbaglia e gli presta il suo denaro non è degno di tutela.
Riassumendo, credo che la riduzione della spesa pubblica sia un elemento essenziale per un programma che si consideri liberale. Ma se tale riduzione risulta poco realistica a causa di uno scarso convincimento liberale nei partiti o nell’opinione pubblica, non rimane che finanziare le uscite o attraverso aumenti fiscali o attraverso un ulteriore indebitamento. Nessuno dei due mezzi  può rendere felice, eppure il secondo è preferibile al primo. In tal senso l’FDP è con le sue pretese sulla strada giusta. (Traduzione e adattamento di Giovanni Boggero)

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6 Responses

  1. Many thanks to my friend Giovanni Boggero for the translation. If anybody wants to discuss my argument, I’d be happy to respond to comments in German or English.

  2. Pietro Monsurrò

    Io non sono contrario a tagliare le tasse: sono contrario a ritenerlo un vantaggio, se non porta ad una riduzione delle spese. Il mio dovrebbe essere un argomento di indifferenza, nel senso che il taglio non tocca la radice del problema, ed è come scegliere tra sedia elettrica ed iniezione letale: c’è spazio per preferenze soggettive, ma sempre di pena di morte si tratta, e questo non bisogna dimenticarlo.

    Qual è il vantaggio di un taglio alle tasse oggi, se è finanziato a deficit? Io sostengo che il vantaggio sia nullo o comunque trascurabile. Focalizzarsi sul politicamente possibile è ovviamente una buona cosa, ma il politicamente possibile dovrebbe essere politicamente utile, altrimenti a che serve?

    Questioni economiche possono fornire una preferenza marginale per l’una o l’altra cosa (o, perché no, anche includendo signoraggio e rendite monopolistiche nel vincolo di bilancio statale). Se ci si focalizza su questo, si possono fare analisi comparate sui costi presenti e futuri della spesa.

    Sul piano prettamente politico, se ad ogni spesa corrispondesse una tassa, il deficit fosse nullo, la politica monetaria non fosse usata per avere reddito, e il sistema fiscale fosse semplice (una sola tassa, di tipo flat, con due o tre regole generali e comprensibili per le deduzioni), il cittadino avrebbe lo strumento per valutare i costi* delle politiche, non potendo scegliere tra costi oggi e costi domani, e forse preferirebbe fare a meno di “benefici” molto dubbi oggi.

    Se tutto ciò è politicamente impossibile, e lo è, è questo il problema da mettere a fuoco. Discutere se è meglio essere schiaffeggiati su una guancia o sull’altra non è invece una questione che mi sembra politicamente importante.

    Detto questo, io concordo invece appieno sul fatto che il ripudio del debito sia da prendere seriamente in considerazione. Ci sarebbe un tracollo economico e finanziario senza precedenti, ovviamente, però sarebbe una cura da cavallo per problemi strutturali che forse altrimenti non si vogliono affrontare. Nel mio post sulle tasse avevo trascurato l’importanza di questa policy, ma credo che forse ci siano dei vantaggi nel distruggere la credibilità del governo come creditore. Peccato che in Argentina non sia servito a nulla… e, anzi, oggi hanno dei demagoghi al potere che in confronto l’Italia è un paese fortunatissimo. Ad occhio direi che ogni policy che passi per una crisi sistemica rafforzerà l’arbitrio politico e non favorirà la libertà.

    Rimane una sola cosa: lottare contro la spesa pubblica, i deficit, la monetizzazione del debito, la complessità fiscale e i debiti non consolidati delle istituzioni politiche, come quelli della social security. Queste sono battaglie utili, anche se improbabili.

    * Questo ovviamente se nel deficit si include la spesa per le promesse della social security, che sono un buco nero per il futuro, e gli altri off-balance sheet vehicles dei governi, che rappresentano un modo per non mostrare ai cittadini la gravità della situazione.

  3. Cla

    Hi mr. Friedrich,
    can you please point me to the english version of your publication, so that when I’ll quote parts of the text we don’t incur in translation misalignments because of the two-way translation?

    thank you

  4. Pietro Monsurrò

    I wrote the comment before reading the first one, which probably was queued.

    My comment repeated my previous points: I see no advantage in tax cuts for a given public outlay, it’s like choosing between lethal injection and electric chair. I admit that subjective preferences may cause a preference for taxes or deficits, but they have only a marginal importance with respect to the main problem, which in my metaphor was the death penalty.

    I agree that coeteris paribus what’s politically possible should have a priority to what is politically unlikely, but a battle with marginally minor relevance (the choice between two comparable evils, debt and taxes) should be downplayed with respect to the real battle, which may be comprised of: cuts in public expenditures, balanced budgets, independent central banks, simple tax rules (flat tax), consolidation of social security debt into the federal budget (in order to avoid off-balance sheet vehicles reducing the explicit debt burden). In this way, the citizenry would have a one-to-one correspondence between public services and their costs, and possibly will choose for less state (because the Bastiat illusion of living at other people’s expenses would be somewhat reduced).

    I previously failed to discuss the issue of debt repudiation. Normatively, I like the idea. To destroy the trustworthiness of the government as a creditor would solve a lot of problems, in theory. But is it true in practise, i.e., after having accounted for some more complex political analysis? Argentina hasn’t seen a diminished government after the crisis, and crises normally beget interventionism, not freedom (Higgs’s Crisis and Leviathan is an example). I like the idea of debt repudiation, but I consider that the short-term costs in terms of economic and financial disruptions would be excessive.

    My first order conditions say that a cut in public outlays is a growth in liberty, while eventual positive effects in cutting taxes are to be traded off with additional future debt burdens, with no evident first-order advantage.

  5. @Cla:
    Unfortunately there is no English version. There isn’t even the German version yet (it’s Italians first, this time:-). The unabridged article will be published in the February issue of ef-magazin. If you want to make sure you are not misquoting what I said, you can ask me to check for approval of what you wrote. Just send me an e-mail (dirk.friedrich–(a-t)–gmail.com) or FB-message.

    @Mr. Monsurrò:
    Thanks for your comment. I really like the metapher of lethal inection vs. electric chair. You are right that it should be all about decreasing expenditures. Given the political realities, i.e. pervasice social demcratic public opinion, in Germany and other western countries, I do not see any chance for this.
    Also I cannot see how a balanced budget would make visible the “correspondence between public services and their costs”. Public services in many ways have costs which nobody sees. The public does not even see the connection between labor regulation/social secuity and unemployment. I do not believe that people would come to understand Bastiats timeless insights into the seen and unseen. In other words: The costs of public services are much higher than those that you find on paper in a balanced budget.

    Concerning the costs of debt repudiation I simply prefer a default to wrecking the currency itself. This is where western democracies are headed. In the age of central banking our governments have the choice between printing their way out of debt, default, or paying it off by following libertarian tenets. I hold the latter improbable, so I prefer default over the printing press.

  6. CAMERON & MERKEL: LA FINTA DESTRA, STATALISTA E TASSAIOLA COME LA VECCHIA SINISTRA, ENTRAMBE AGLI ORDINI DEGLI STESSI PADRONI.
    (MARGARET & RONALD, COME VI RIMPIANGIAMO…)

    I risparmi dei cittadini sono già tassati pesantemente dall’inflazione.
    Un’ulteriore tassazione sui risparmi e/o sui proventi dei risparmi è iniqua e predatoria.
    L’inflazione è una delle tasse più pesanti, colpendo il risparmio e il potere d’acquisto dei cittadini.
    L’inflazione serve a finanziare spese pubbliche pilotate, stampando nuova carta moneta che va a inflazionare la carta moneta esistente, cioè la liquidità in mano ai cittadini. Le famiglie dei lavoratori risparmiatori vengono così impoverite, e la ricchezza loro depredata tramite l’inflazione va a arricchire le famiglie dei beneficiari della spesa pubblica, beneficiari designati arbitrariamente e clientelarmente.
    E’ invece giusto che la ricchezza che ogni famiglia deve avere venga determinata dai meriti, dalle virtù, dall’intelligenza, dall’accortezza, dalla probità di quella famiglia, e non da chi controlla lo stato, il fisco, la spesa pubblica e l’emissione di moneta.
    Una moneta d’oro o strettamente ancorata all’oro salverebbe i risparmi e il potere d’acquisto dei cittadini, dei ceti produttivi.

    Per tutto questo:

    NO ALLE TASSE SUI RISPARMI E SUI PROVENTI DEI RISPARMI (ipocritamente chiamati “rendite finanziarie” da chi vuol vivere sulle spalle altrui, da chi vuol rubare i soldi degli altri, da chi vuol rubare i soldi a chi se li è sudati).

    NO ALLA TASSAZIONE DI OBBLIGAZIONI, TITOLI DI STATO, AZIONI, INTERESSI, DIVIDENDI E CAPITAL GAINS.

    Filippo Matteucci
    Economista Libertarian

    vedi anche:

    http://paolofranceschetti.blogspot.com/2009/08/cosa-serve-la-crisi-finanziaria-parte-2.html
    http://paolofranceschetti.blogspot.com/2009/05/il-sistema-in-cui-viviamo-il-sistema.html
    http://epistemes.org/2008/01/10/dieci-buone-ragioni-per-non-tassare-le-rendite/
    http://www.italia-risparmio.it/finanza/rendite_finanziarie_ipotesi_sugli_effetti_di_un_aumento_di_tassazione.php
    http://www.libertiamo.it/2010/01/12/teso-a-boeri-ma-esistono-le-rendite/comment-page-1/#comment-10224
    http://www.finanzaediritto.it/articoli/principi-di-economia-privatista-4096.html

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