27
Mar
2014

Fischiatemi, ma la decadenza per un rinvio a giudizio tributario è giustizialismo puro

Sulle oltre 500 nomine in arrivo al vertice delle società pubbliche, non si proietta solo l’effetto della bufera scatenatasi dopo il caso Moretti sui tetti ai compensi per i manager. Tema sul quale, in verità, ancora non si è capitop se per società quotate ed emittenti davvero il governo pensi a tetti rigidi “non di mercato”. Renzi e Delrio hanno già detto che per ogni società il governo intende chiarire preliminarmente la mission da affidare ai nuovi vertici. E che vorrebbero adottare un limuite di conferma non superiore ai tre mandati, che già implicherebbero la sostituzione dei capoazienda di Eni, Enel, Terna e Poste. Quanto alla procedura, le norme emanate dal governo Letta prevedono che l’istruttoria sulle candidature sia svolta dal Dipartimento del Tesoro ma supportato da società specializzate nel recruiting di top manager. Al termine dell’istruttoria dovrebbe essere sottoposta a Padoan e Renzi una lista ristretta di nominativi, con una relazione sui criteri adottati per ogni singola società rispetto ai candidati proposti. E alle designazioni si procede solo dopo l’ok di una Comitato di garanzia, che ha alla testa Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, affiancato da Vincenzo Desario, direttore generale onorario della Banca d’Italia, e dalla professoressa Maria Teresa Salvemini.

Sin qui, siamo alla forma. Ma in arrivo per i cda in scadenza c’è anche una modifica di sostanza, e bisognerà vedere se il governo la conferma oppure no. I primi segnali, dati dal MEF proprio oggi, dicono che la modifica è sposata anche dal governo Renzi. Anch’essa discende dalla direttiva Saccomanni emanata nel giugno 2013, e modifica in profondità i requisiti di onorabilità per gli amministratori di società pubbliche, rispetto a quelli previsti dall’articolo 2382 del codice civile, e dall’articolo 147 e 148 del TUF. Alcune società hanno già introdotto, nell’estate scorsa, i nuovi criteri: Eur, Fondo Italiano di Investimento, Sogin, Anas, Invitalia, Poste, Anas e Ferrovie. Ora dovrebbe toccare a quelle che avevano i cda in scadenza quest’anno, come Eni, Enel, Poste e Terna, chiamate in assemblea a recepire le modifiche al loro Statuto. Ma come Renzi intende modificare quella stessa direttiva Saccomanni sulle remunerazioni – non erano previsti per quotate ed emittenti tetti rigidi, si univa alla generica richiesta di moderazione un esplicito rinvio alle migliori prassi delle imprese internazionali di settore, ergo “compensi di mercato” – analogamente sarebbe il caso di riconsiderare le clausole di decadenza automatica che dalla stessa direttiva provengono.

I nuovi criteri prevedono, quali cause di ineleggibilità ad amministratore o decadenza per giusta causa e senza diritto al risarcimento, il mero rinvio a giudizio e la pronuncia di una sentenza di condanna, anche non definitiva, e anche in caso di patteggiamento, per una lista di delitti. Essi coincidono – in maniera leggermente più ampia – con quelli previsti dal Tuf e dai codici di autoregolamentazione delle quotate, e cioè gravi violazioni delle norme sull’attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa, in materia di mercati e valori mobiliari, nonché di strumenti di pagamento; poi le violazioni penali in materia di società e consorzi e della legge fallimentare; i delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica, il patrimonio, l’ordine pubblico, l’economia pubblica ovvero in materia tributaria; nonché i più gravi delitti associativi e in materia di droga. Ma il punto è la decadenza disposta anche nel mero caso di un rinvio a giudizio o di giudizio immediato. Gli statuti delle quotate, in linea con il codice civile, TUF e codici di autoregolamentazione, rinviano ai cda e ai soci in assemblea la valutazione delle misure da adottare in caso di condanne di primo grado o appello. Non prescrivono affatto la decadenza automatica per condanne non passate in giudicato, figuriamoci poi per un semplice rinvio a giudizio.

In un sistema che in oltre il 90% dei casi chiede per gli indagati il rinvio a giudizio, e in cui agli amministratori delegati si appioppano – con una discutibile interpretazione estensiva della legge 231 – imputazioni per omicidio non solo colposo ma doloso per incidenti mortali sul lavoro (che per paradosso aggiuntivo però non rientrerebbero nella lista dei delitti per i quali si prevede il giro di vite), ha davvero senso adottare come regola di decadenza il solo rinvio a giudizio? Con un’asimmetria così rilevante, rispetto alla valutazione lasciata ai soci in tutte le altre società quotate e a quelle estere, per condanne diverse da quelle passate in giudicato?

Si dirà che lo Stato finalmente fa bene, ad adottare per le “sue” società criteri finalmente più rigorosi del resto del mercato. Ma qui il rigore non c’entra. E’ una violazione assoluta del più elementare garantismo. Significa esporre grandi società allo stormire di ogni Procura, se l’amministratore decade per un rinvio a giudizio. Contemplando anche reati fiscali, con la fantasia creatrice di numerosi pm in materia di abuso di diritto ed elusione in materia di allocazione di asset in società controllate all’estero, anche il più puro e limpido degli amministratori di grandi imprese pubbliche ramificate fuori Italia non potrebbe sottrarsi all’elevato rischio di andare a casa disonorato. Prima ancora di aver potuto difendere se stesso e la società che ha guidato. Con gravi danni non solo a sé, ma allo Stato, e a tutti i privati che compartecipano al capitale delle quotate o ne detengono obbligazioni. A cominciare dai fondi esteri. Ergo fischiatemi pure, se siete giustizialisti. Io non lo sono, e per coerenza credo sia giusto chiedere al governo di ripensarci.

 

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4 Responses

  1. Mike_M

    Da giurista e da cittadino comune, sottoscrivo in pieno. Soprattutto perché il nostro è un paese in cui troppo spesso l’interpretazione giurisprudenziale tende pericolosamente a sostituirsi al diritto oggettivo, compromettendone la certezza.

  2. giuseppe

    Non solo. E’ la dimostrazione che lo Stato crea esso stesso l’ingolfamento giudiziario di cui si lamenta, promuovendo anche la maggior parte delle cause penali. Lo Stato, o meglio, i suoi ottusi burocrati, sono il maggior datore di lavoro per gli avvocati e la più grande causa di infelicità per i cittadini italiani.

  3. gino

    Quando un AD dice che bisogna giudicarlo non sul numero di mandati fatti ma sui risultati ed in riposta dopo pochi giorni appare un articolo che lo inchioda alle sue povere performance capisco quanto ormai sia malato il sistema italia
    Non so se mi spiego …
    Okkei … noi non siamo gli inglesi ma gli inglesi pensionarono Churchill dopo aver vinto una guerra
    Da noi ce qualcosa che non funziona … quando un sistema non e’ meritocratico ho fortissimi dubbi che anche i manager siano scelti su base meritocratica
    auguri a tutti
    gino

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