28
Feb
2017

Disuguaglianza, un problema relativo o assoluto?—di Alessandro D’Amico

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Alessandro D’Amico.

La diseguaglianza è un argomento centrale nel dibattito contemporaneo. Il rapporto Oxfam del mese scorso è l’esempio più recente.
Dopo la sua pubblicazione, in molti si sono chiesti se sia giusto, o normale, che le otto persone più ricche del mondo posseggano tanta ricchezza quanto i tre miliardi e mezzo di persone più indigenti.
Questo dato, al netto dei dubbi su come sia stato calcolato, ha contribuito a mettere in discussione il modello capitalista delle economie sviluppate, fornendo ulteriore materiale ai suoi critici, dopo nove anni di crisi globale.

Il rapporto di Oxfam fa leva sugli istinti primitivi di tutti noi. In natura, gli animali si sono evoluti per riconoscere l’ingiustizia intrinseca nell’allocazione impari delle risorse. Questo comportamento è visibile già nei bambini e negli scimpanzé.
Non c’è dubbio, quindi, che una simile rappresentazione della distribuzione della ricchezza possa scandalizzare e far riflettere sulla salute del nostro sistema produttivo.
Tuttavia, il mondo è assai diverso da quello che abbiamo conosciuto quando eravamo cacciatori e raccoglitori. Si è trasformato (lo abbiamo trasformato…) troppo in fretta perchè noi ci potessimo adattare secondo i ritmi lenti dell’evoluzione.
Per questo motivo, informazioni che ci appaiono istintivamente rilevanti, scandalose e sintomo di un problema devono essere analizzate razionalmente, alla luce delle conoscenze teoriche ed empiriche che possediamo circa i sistemi economici.

Quando si parla di “extreme income inequality” è importante distinguere tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.
Infatti, le considerazioni circa la diseguaglianza del reddito nei due casi raggiungono risultati quasi del tutto opposti.
Alla base della mia tesi ci sono due concetti teorici molto datati e strettamente correlati tra loro: la piramide dei bisogni di Maslow e l’utilità marginale decrescente del denaro.
La piramide di Maslow stabilisce una gerarchia dei bisogni umani: i bisogni fisiologici e più impellenti stanno alla base e vanno soddisfatti per primi.
Gli altri bisogni, cioè stima, sicurezza, senso di appartenenza, autorealizzazione vengono soddisfatti solo in seguito.
L’utilità marginale decrescente del denaro fa da corollario all’argomentazione empirica della piramide di Maslow, mostrando che il denaro perde d’importanza per chi lo possiede man mano che si accumula.
Chi riceve lo stipendio al 27 del mese prima paga l’affitto e le bollette, poi fa la spesa, la benzina e poi paga l’abbonamento alla pay tv, va al cinema e al ristorante e mette via quel che resta per le vacanze.

Insomma, con ogni euro guadagnato si sale verso l’apice della piramide di Maslow e si soddisfano bisogni sempre meno impellenti. Come diceva Paperino in una delle storie di Carl Barks: cinque dollari non sono niente per chi li ha, sono tutto per chi non li ha.

Per i motivi esposti sopra, la diseguaglianza del reddito è un tema che assume due portate radicalmente opposte a seconda dei redditi delle persone coinvolte.
Questo resta vero anche se consideriamo, relativamente, lo stesso livello di ineguaglianza in tutto il mondo.
Immaginiamo un’economia con tre individui: un povero, un benestante e un immensamente ricco. Il benestante è 100 volte più ricco del povero e il ricco è 10000 volte più ricco del benestante. Il povero è alla base della piramide di Maslow, il benestante è già in cima, anche se ha qualche sfizio da togliersi, mentre il ricco è sazio e annoiato e non sa nemmeno cosa significhi la parola “bisogno”.

Sarebbe semplice sia per il benestante che per il ricco corrompere il povero e indurlo a infrangere la legge o ad abusare del suo potere istituzionale, qualora lo avesse, facendo leva sui suoi bisogni primari. Per esempio potremmo pensare a un poliziotto di un paese emergente che viene convinto da un ricco turista a chiudere un occhio su una multa. Questo atteggiamento lederebbe gli abitanti di quel paese, venendo trattati diversamente dalle proprie istituzioni, che discriminerebbero tra ricchi e poveri. Ovviamente il ricco potrebbe corrompere il poliziotto con più facilità. Invece, sarebbe assai più difficile per il ricco corrompere il poliziotto se lui fosse benestante, essendo già perlopiù sazio, al vertice della propria piramide. Probabilmente il benestante si lascerebbe corrompere comunque, ma per il ricco, o i ricchi, sarebbe difficile corrompere i benestanti se questi fossero svariati miliardi e non più uno solo.

Per i motivi citati sopra ciò che conta realmente, quando si parla di diseguaglianza, non è tanto la dimensione relativa nella disparità di ricchezza, quanto la ricchezza assoluta della parte più debole. Maggiore è la ricchezza della parte debole e minore sarà il potere del ricco su di essa.
Se osserviamo il fenomeno da questo punto di vista, il sistema capitalista gioca un doppio ruolo.
Da una parte esso è il presunto colpevole della disparità nella distribuzione della ricchezza, ma dall’altro lato è quasi certamente il responsabile del più grande incremento della ricchezza umana mai registrato.

Quindi, finché la capacità del capitalismo di generare nuova ricchezza non è compromessa e questo è capace di sollevare dal loro stato di povertà sempre più persone, la diseguaglianza è un fenomeno scarsamente rilevante, destinato a diventarlo ancora meno nel tempo.

La diseguaglianza minaccia il capitalismo là dove le istituzioni sono più deboli.
Noi abitanti delle regioni sviluppate del mondo dovremmo, perciò, impegnarci per tutelare la democrazia e il libero mercato dei paesi in via di sviluppo, per garantire che anche lì le persone diventino abbastanza ricche da essere libere e serene in cima alla loro piramide.

Leave a Reply