6
Ott
2013

De Mita non è liberista

Disclaimer: l’autore è nato e vissuto fino alla maggiore età in provincia di Avellino ed ivi ancora formalmente residente. Ogni giudizio espresso può essere fortemente influenzato da questo dato biografico.

La crisi economica è colpa del liberismo. Le tasse aumentano per il liberismo. Il debito pubblico è esploso dopo l’ondata liberista. La disoccupazione (o in alternativa la precarietà) sono prodotte dal predominio del paradigma liberista. Le aziende chiudono e/o vanno all’estero a causa della globalizzazione liberista. La svendita di Alitalia dimostra il fallimento degli animal spirits liberisti. Gli shock economici sono prodotti dal liberismo finanziario.

Qualsiasi problema, dal prezzo del pane alla fame nel mondo, dall’inquinamento alla cattiva conservazione dei siti archeologici, dalla povertà all’effetto serra, dalla crisi del Mezzogiorno alla moria delle vacche è un prodotto del liberismo. La mia impressione è che il termine “liberismo” – o nelle sue varianti “mercato”, “mercatismo”, “neoliberismo” – spesso accompagnato da aggettivi come “selvaggio”, “sfrenato” o “darwiniano”, sia usato come sinonimo di “brutto”, “cattivo”, “cacca”. A prescindere da qualsiasi attinenza con la realtà. Il punto è che spesso non diamo lo stesso significato alle stesse parole, anche se parliamo la stessa lingua. E proprio il termine liberismo mi pare uno di quelli più abusati per significare qualsiasi tipo di evento indecente, ignobile, ingiusto e deplorevole.

Scrivo questo perché per caso mi è capitato tra le mani un libello di Massimo D’Alema – A Mosca l’ultima volta, Enrico Berlinguer e il 1984 – in cui l’ex presidente del consiglio, partendo dagli appunti del diario del suo viaggio a Mosca in occasione della morte del compagno Jurij Andropov, racconta il clima politico italiano di metà anni ’80. Parlando di Ciriaco De Mita, D’Alema scrive: “Il segretario della Dc poco aveva potuto dopo lo shock elettorale e la sconfitta di un tentativo di modernizzazione sui generis. Lo schema di De Mita prevedeva la rottura con le vecchie politiche assistenzialiste [grassetto mio]. Mirava ad un effettivo rinnovamento della Dc, cercando di declinare in salsa italiana quell’opzione liberale e liberista che altrove sembrava in grado di guidare un nuovo ciclo economico e sociale”.

Ecco, va bene tutto, ma deve pur esserci un limite. Quando farete la Norimberga del libero mercato, condannate il liberismo per aver scatenato le guerre nel mondo, il terrorismo, terremoti e cataclismi, per aver causato l’estinzione dei panda e degli orsi polari, per aver prodotto il lavoro minorile, lo sfruttamento e il femminicidio. Ma per il demitismo no. De Mita non è liberista.

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5 Responses

  1. DDPP1953

    Non ho ricordo di una politica “liberistica” in Italia. Se qualcuno mi può aiutare gli sarei infinitamente grato

  2. Jack Monnezza

    @DDPP1953

    Concordo in pieno, anche io non ho alcun ricordo.
    Proprio nulla.
    Negli anni ottanta-novanta, mentre il resto dl mondo era impegnato nella liberalizzazione e destatalizzazione (” government is not the solution, it is the problem”‘, “the era of big government is over”) noi siamo stati a guardare.

  3. Riccardo

    @DDPP1953: I più anziani parlano ancora di quell’epoca in cui l’Italia è stata liberista… ma è durata un paio di secondi ed il sole tramontava ad est…

  4. Massimo74

    L’Italia ha smesso di essere liberista già a metà degli anni 60 dopo la scomparsa di Einaudi e l’inssediamento dei primi governi di csx che potarono alle nazionalizzazioni di gas ed energia elettrica.Da allora per noi è stato un declino continuo.

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