27
Set
2016

La disuguaglianza come presupposto di una società meritocratica—di Francesco Bruno

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Francesco Bruno.

Da poco nelle librerie, La disuguaglianza fa bene. Manuale di sopravvivenza per un liberista pubblicato da “La nave di Teseo”, ha il pregio di andare nella direzione opposta rispetto al pensiero dominante. L’autore, Nicola Porro, conosce bene quest’ultimo, non solo in quanto giornalista di carta stampata, ma soprattutto come noto conduttore e personaggio televisivo.

Sì, perché è proprio il piccolo schermo che sembra mettere d’accordo proprio tutti i protagonisti del pensiero dominante: è la disuguaglianza il grande male del secolo. Ed essa è dovuta a una sola causa: il neoliberismo. Mentre le altre fonti di informazione offrono una variegata gamma di opinioni, dando la possibilità ad ognuno di alimentare la propria, la televisione è restia a priori al confronto su alcuni temi, pervasa com’è da uno stantio leimotif  “freccerista” che non trova alcun fondamento nei fatti e nei numeri.

Per un liberale è spesso difficile vedere la fatica che fanno altri liberali quando – sporadicamente – vengono invitati nei talk show politici. Dopo un po’ non si resiste, occorre cambiare canale!

Spesso si tratta di liberali preparati, quantomeno alla pari degli altri ospiti, eppure si trovano a soccombere oppure ad apparire comunque sconfitti nella discussione all’interno di un ambiente ostile. Che sia il tono della voce più alto degli altri ospiti, la faziosità del conduttore o il rumorio del pubblico presente o in collegamento, il risultato è sempre analogo. Il liberale risulta agli occhi dei telespettatori come il cattivo della situazione, amico dei ricchi e dei potenti, a favore di sfruttamenti vari. Tutti gli altri sembrano buoni invece, magnanimi, filantropi, pensano ai deboli, ai pensionati, agli esodati, ai disoccupati, alle vittime delle banche, della crisi etc.

Una cattiva fama dovuta al fatto che chi è liberale non si cura della ricchezza altrui, non la considera un problema, la esalta purché di fonte lecita (come se si dovesse precisare che la liceità è prerequisito dell’ammirazione…). Ma a differenza di quanto raffigurato nell’immaginario collettivo, un liberale si occupa molto più nel concreto della povertà, della trappola che la stessa sottende e dalla quale è difficile divincolarsi, della pericolosità delle concentrazioni di potere che minano la concorrenza e il mercato, della tutela delle famiglie a basse reddito e del loro potere reale di acquisto, della lotta alla disoccupazione dei giovani, delle minoranze, degli immigrati e dei lavoratori poco qualificati. Basti pensare – tra le migliaia di esempi spendibili – alla negative income tax di Friedman riecheggiata nel libro di Porro attraverso le parole di Antonio Martino.

Nel suo testo l’autore confuta tanti miti popolari, aiutandosi con i classici del pensiero liberale. Smith, Friedman, Einaudi, Hayek, ma anche giganti meno noti in Italia come Ronald Coase o proponendo una rilettura in chiave liberale del Manzoni. Con unico filo conduttore a guidare il tutto: la libertà della persona umana.

Ma i nemici della libertà sono sempre dietro l’angolo. Per capire la malafede o l’ipocrisia dei predicatori della “disuguaglianza fonte di ogni male”, è sufficiente leggerli o ascoltarli attentamente. Quasi sempre inseriranno nelle loro argomentazioni il termine “meritocrazia”, senza accorgersi che una società meritocratica non può che essere disuguale. Di contro, nel nostro Paese (ma non solo) in nome di un’asserita ricerca dell’uguaglianza si penalizza da decenni il merito, nella scuola, nella ricerca, nel mondo del lavoro, nella sanità, nella pubblica amministrazione.

Resta una battaglia contro dei mulini a vento. Il “Pikettysmo” è la giustificazione perfetta per chi vuole spiegare qualsiasi problema con la retorica della forbice ricchi/poveri che si allarga e che si dovrebbe ridurre per avere un quieto “mal comune mezzo gaudio” che ci renderebbe tutti più poveri, ma maggiormente sereni.

Come ricorda anche in un recente articolo Pierluigi Battista citando il libro di Porro, non è un periodo felice per chi si professa liberale. Osservate i commenti sui social network agli articoli di ispirazione liberale per capire meglio lo status quo, a volte inorridire è inevitabile.

Porro fa altresì paragoni forti, richiamando l’atmosfera tenebrosa degli anni di piombo, foraggiata dal pensiero filo-comunista che dominava sui media e nelle università. Il paragone come detto è forte, non stiamo rivivendo quell’epoca, ma non è del tutto fuorviante e di sicuro è utile per non dimenticare mai le conseguenze della spinta ideologica sulle masse.

La lettura riporta alla mente un articolo non recentissimo di qualche anno fa del Professor Perotti, che raccontava la solitudine del liberista incompreso, una solitudine che ha sicuramente provato anche durante la sua fugace esperienza di governo come uomo della spending review. Ma adesso il liberista ha un manuale di sopravvivenza in più, per sentirsi meno solo ed avere un po’ più di coraggio.

Doverosamente il manuale conclude il suo tour nell’universo liberale con la lezione di Luigi Einaudi, con le prediche da lui definite ironicamente “inutili” ma di cui conosciamo invece  la preziosa rarità, da custodire gelosamente contro le interpretazioni distorsive e da divulgare ad ogni occasione anche per recuperare quel gap di popolarità che affligge il pensiero liberale.   

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