24
Nov
2014

Civiltà giuridica: la mancata attuazione del principio di autotutela—di Antonio De Rinaldis

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Antonio De Rinaldis.

L’autotutela è un principio di civiltà giuridica che – senza necessità di utilizzare concetti e definizioni giuridiche – semplicemente, esercitando il quale la Pubblica Amministrazione ha il potere/dovere di riesaminare i propri atti e di annullarli o revocarli. Non solo potere ma anche dovere!
Molti esempi ci dicono però che la mancata applicazione di questo principio è assai diffusa.
Eccone uno. Il Comune di Roma ha affidato ad una società in house Aequa Roma SpA – evoluzione di Roma Entrate S.p.A. – l’attività di supporto a Roma Capitale nell’accertamento e nella gestione delle entrate tributarie, extratributarie e patrimoniali, con l’obiettivo anche di migliorare continuamente la qualità dei servizi resi ai cittadini romani. Un intento nobile. Ma, purtroppo, solo a parole.
Una società ha ricevuto nel 2011 un accertamento ICI per alcune annualità. L’accertamento riguardava una errata applicazione dell’aliquota ICI e mancati versamenti di alcune annualità. Senonchè esaminando gli atti, si accorge che quanto sostenuto dall’allora Roma Entrate era parzialmente errato: in effetti, alcuni versamenti non erano stati effettuati, ma non tutti quelli che Roma Entrate richiedeva e l’aliquota applicata era corretta. Il rappresentante della società si reca presso gli uffici di Roma Entrate e dati e documenti alla mano fa presente che se era vero che qualcosa doveva era anche vero che gli accertamenti erano sbagliati. Si mette in moto la macchina amministrativa … ma nulla. Occorre impugnare gli atti di accertamento. La Commissione Tributaria Provinciale nel maggio 2014 statuisce che è vero che alcuni versamenti non sono stati effettuati, ma ve ne erano altri dei quali l’Ente non ha tenuto conto e soprattutto che l’aliquota applicata dal contribuente erra corretta e, conseguentemente, errata quella richiesta dall’Ente. Quindi accoglie il ricorso della società. La società ottenuta la sentenza, sempre nel maggio del 2014, si ripresenta presso gli uffici di Roma Entrate SpA che nel frattempo era divenuta Aequa Roma SpA e allegando la sentenza e tutta la documentazione chiede il ricalcolo di quanto dovuto sulla base della sentenza stessa ossia computando correttamente i versamenti effettuati e utilizzando le aliquote corrette. Viene invitato dal dipendente di Aequa a compilare un modulo che altro non è se non l’istanza di autotutela. Pochi giorni fa – dopo circa cinque mesi – Aequa gli risponde affermando che per una annualità l’istanza era stata accolta e che per le altre annualità non si “ravvisano le condizioni per annullare l’atto per mancata sussistenza dei requisiti per l’applicazione delle aliquote agevolate” (rectius corrette) …. !!!!! Ma come sostiene la società: c’è una sentenza che vi obbliga ad applicare le aliquote corrette? … Presenti una nuova istanza di riesame dell’istanza di autotutela, le viene risposto!!!
Ora la questione è sul tavolo di un funzionario diligente di Aequa Roma Spa che speriamo decida in fretta perché la società vorrebbe pagare quanto deve. Altrimenti occorre presentare un nuovo ricorso per ottemperanza!!! Nel frattempo sono passati oltre tre anni e il Comune non ha incassato quanto pure risulta dovuto.
Eccone un altro.
Nel 2008, a un mio familiare – ligio al dovere – il Comune di Roma gli richiede la “tassa sulla spazzatura” per gli anni 2000 e 2001. Sono passati più di sette anni ma lui non butta nulla! La sua casa è uno schedario di un archivio notarile. Prontamente si reca agli uffici comunali e dimostra di aver pagato. Ma anche in questo caso è costretto ad impugnare la cartella. Nel 2009 la Commissione Tributaria Provinciale gli dà ragione. Che fa il Comune? Nel 2010 dopo circa diciotto mesi dalla sentenza favorevole, gli iscrive il fermo amministrativo sull’unica vettura a sua disposizione. Con tutta la pazienza di questo mondo si reca presso gli sportelli del Comune e con in mano la sentenza – oramai definitiva – chiede che la procedura esecutiva venga bloccata. Nulla. Perché la procedura esecutiva era stata intrapresa non dal Comune ma da Equitalia che pure era stata parte del processo. Equitalia di par suo gli chiede di compilare moduli allegando documenti e cose di questo genere con un comportamento palesemente vessatorio e dilatorio. E’ costretto ad impugnare il fermo amministrativo presso la Commissione Tributaria Provinciale che, anche in questo caso, gli dà ragione e condanna il Comune al pagamento di euro 500 di spese processuali. Ben poca cosa per aver penato per oltre tre anni!!!
Il rifiuto di autotutela è considerato un atto impugnabile nella giurisdizione del giudice tributario se il “titolo” sottostante è un tributo.
Recentemente sulla questione è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. V, Sent., 12 novembre 2014, n. 24058) confermando il principio – già espresso dalla Sezioni Unite con la sentenza 27 marzo 2007 n. 7388 – in base al quale nell’impugnazione degli atti di rifiuto dell’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria, il sindacato del giudice deve riguardare, ancor prima dell’esistenza dell’obbligazione tributaria, il corretto esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione, nei limiti e nei modi in cui esso è suscettibile di controllo giurisdizionale, che non può mai comportare la sostituzione del giudice all’Amministrazione in valutazioni discrezionali, nè l’adozione dell’atto di autotutela da parte del giudice tributario, ma solo la verifica della legittimità del rifiuto dell’autotutela, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che, ai sensi di legga ne giustificano l’esercizio. Aggiungendo che “l’esercizio del potere di autotutela è previsto nei soli casi in cui sussista l’illegittimità dell’atto o dell’imposizione”, non anche, quindi, allorchè l’istante faccia valere un vizio attinente alla notificazione dell’atto (vizio distinto da quelli concernenti la validità dell’atto).
In sostanza, l’istituto dell’autotutela è applicabile se l’atto da annullare è viziato di per se stesso e non anche quando l’atto della pubblica amministrazione nasce sano ed arriva viziato o non arriva mai al destinatario. Eppure ci hanno insegnato, sempre i Supremi Giudici, che tutti gli atti impositivi sono atti recettizi ossia se non raggiungono legittimamente il destinatario e come se non fossero mai nati. E’ vero tuttavia come sostengono i Supremi Giudici che le due questioni (vizi dell’atto e vizi di notifica) hanno specifici ed autonomi rimedi, ma è anche vero che alla notificazione provvede la stessa pubblica amministrazione.
Ora se è vero che l’autotutela è un principio di civiltà giuridica essa dovrebbe applicarsi senza distinzione di classe sociale, di età o di religione, … oppure come dice Sant’Agostino: «Bandita la giustizia, che cosa sono i grandi imperi se non bande di briganti che hanno avuto successo? E che cosa sono le bande di briganti, se non imperi in embrione?»
Non sapremo mai cosa ne avrebbe pensato sulla questione il Beccaria … ma di certo avrebbe potuto illuminarci ancora, magari inserendola nel “crogiuolo della verità”.

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4 Responses

  1. Ornella

    Per il colto e l’inclita va tutto bene, ma per noi comuni mortali non si potrebbero usare termini e circonlocuzioni più semplici?

  2. antonio de rinaldis

    Cara Ornella
    Forse hai ragione. Tuttavia non capisco se ti riferisci alle citazioni finali o se invece ti riferisci ad altro. La prossima volta cercherò di essere più semplice. Ma ti garantisco che quando hai a che fare con questioni di diritto non è mai semplice semplificare, potresti incorrere in altri errori.

  3. marziano

    non è l’articolo, totalmente condivisibile, ad essere complicato ma lo è il funzionamento barocco ed ineffficiente della pubblica amminisitrazione italiana i cui processi e le cui responsabilità sono troppo opachi.
    il mancato funzionamento dell’autotela lo dimostra: la PA è fatta di persone che non si vogliono assumere alcuna responsabilità in un sistema che glielo permette.

  4. Giovanni Mollica

    Caro Giannino,
    ormai sono decine e decine gli studiosi convinti che la più concreta speranza di ripresa del Paese (tutto, non di una parte soltanto) passa attraverso la Logistica, terzo datore di lavoro in Germania con 2,6 milioni di occupati. E’ paradossale che i grandi scali di Anversa, Rotterdam e Amburgo siano, di fatto, la piattaforma logistica mediterranea e costituiscano un formidabile sostegno per la rigogliosa industria manifatturiera tedesca.
    Riuscire ad attrarre il solo 10% dei flussi mercantili che passano a un tiro di schioppo dalla Sicilia, diretti al Mare del Nord (5-7 gg di navigazione in più) o ai porti spagnoli rappresenta un obiettivo in grado di trasformare l’economia del Paese. A condizione che i porti italiani di attracco (c’è pane per tutti) non servano al solo transhipment – scarico da una nave “grande” e ricarico su navi “piccole” -, assolutamente senza futuro a causa della concorrenza degli scali africani (a causa dei costi), greci (il Pireo è controllato dai cinesi) o spagnoli (già ben collegati con la rete ferroviaria AV e AC europea), ma diventino dei veri gateway o continental gateway, cioè porti di ingresso delle merci dirette (o in partenza) in Europa. In altre parole, questi porti, per prosperare, non devono essere terminali di partenza e di arrivo delle sole merci destinate al mercato locale (insufficiente) o da esso provenienti, bensì essere inoltrate verso le regioni che producono e consumano veramente.
    Come? Facendo funzionare porti e retroporti (ci mancano sia le attrezzature che il know how), e collegandoli con la rete ferroviaria europea AC e AV. In altre parole, completando il Corridoio 5 Helsinki-La Valletta. Un costo di molte decine di miliardi. diluiti in 10-15 anni, centinaia di migliaia di posti di lavoro, un grande vantaggio per la PMI di trasformazione settentrionale (che potrebbe finalmente trovarsi in posizione di vantaggio rispetto a quella tedesca), un serio (per la prima volta) modo di affrontare di petto la Questione meridionale e un forte impulso alla coesione del Paese L’Italia non ha queste risorse? Ammettiamo che sia vero (in realtà le spende male, senza un vero grande progetto strategico) e allora avviamo una trattativa seria con chi è pronto ad assicurarsi il controllo della via più rapida ed economica per rifornire con la sua produzione il mercato europeo. Di più, DEVE tenere alte le sue produzioni, acciaio in testa. E’ chiaro che parlo della Cina, un Paese che investe centinaia e centinaia di miliardi in ogni parte del mondo in un’ottica geostrategica a medio-lungo termine che ci è completamente estranea. I tanti contatti avviati non hanno avuto seguito perché gli amministratori locali che li avevano proposti non avevano l’autorevolezza necessaria e non potevano dare all’interlocutore di turno (che opera sempre in stretto coordinamento col Governo cinese) le indispensabili garanzie. Questa è una sfida adatta a un Paese coraggioso che guarda al futuro con fiducia e si mette in gioco per attrarre un fiume di capitali stranieri. Come procedere? Si crea una squadra di tecnici con le idee chiare – non c’è che l’imbarazzo della scelta -, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio e la Politica (quella con la P maiuscola) avvia contatti seri con il Governo cinese. Se l’operazione va in porto l’Italia decolla come un missile – con grande stizza della signora Merkel, per motivi evidenti -, se invece la trattativa si arena o fallisce tutto resta come prima e non si perde nulla.
    Caro Oscar, su ogni riga di questa rozza sintesi si potrebbero scrivere interi trattati di approfondimento, ma tu non ne hai certo bisogno: non pensi che valga la pena tentare?

    Giovanni Mollica

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