19
Nov
2013

Carbosulcis, la miniera senza fondo della politica industriale

La brutta notizia è che la resistibilissima storia della Carbosulcis sia segnata da un altro scandalo, la bella notizia è che dovrebbe essere l’ultima pagina prima della chiusura. Secondo la Guardia di finanza amministratori della società, amministratori locali, dirigenti e funzionari avrebbero autorizzato per dieci anni l’acquisto di beni e servizi per circa 40 milioni di euro senza osservare le procedure di evidenza pubblica. Tra i tanti acquisti anche una serie di macchinari mai utilizzati e costati oltre 17 milioni di euro.

Quanto la Carbosulcis sia costata agli italiani è stato raccontato e documentato da Alessandro Penati in un articolo del 1996 per il Corriere: “Nel 1985 lo Stato decide di dare 512 miliardi di lire all’Eni per riattivare il bacino carbonifero; l’Eni a sua volta investe 200 miliardi nelle miniere. Si arriva però al luglio 1993 e non un solo chilo di carbone è stato estratto”. Si va verso la privatizzazione, ma non ci sono acquirenti perché il carbone del Sulcis è pieno di zolfo, quindi costoso ed improduttivo. Il governo evita di nuovo la chiusura nel ’94 e stanzia 420 miliardi a fondo perduto, “ma non bastano per garantire la redditività degli investimenti ai privati. Il decreto, pertanto, obbliga l’Enel a comprare per otto anni l’elettricità del Sulcis a 160 lire per kwh, quando il costo medio di produzione dell’Ente è di 72 lire”. La differenza la pagano gli italiani in bolletta. Nel 1995 Carbosulcis viene messa in vendita, ma l’asta va deserta. La prospettiva di una chiusura delle miniere porta nuovi scioperi e lotte sindacali, occupazioni e manifestazioni che convincono la regione Sardegna a prendere in carico la società per guidare la “transizione” verso la privatizzazione. Transizione che negli anni di gestione regionale è costata altri 600 milioni di euro (circa 1.160 miliardi di vecchie lire) di sussidi e che ha causato l’apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea per aiuti di stato illegittimi. In trent’anni i contribuenti hanno speso dai 2 ai 4miliardi di lire per ogni minatore, la miniera ha bruciato più soldi che carbone (anche qui un po’ di conti) .

L’ultima geniale idea del governo per guidare la “transizione verso la privatizzazione” è quella contenuta nella bozza del decreto “Fare 2” (di cui abbiamo parlato qui) che prevede un contributo di 63 milioni l’anno per venti anni (1 miliardo e 260 milioni totali) ovviamente pagati tramite ulteriori prelievi in bolletta. Un intervento che per salvare il lavoro di circa 500 operai che guadagnano 20-30mila euro l’anno ne costerebbe circa 126mila a testa, altri 2 milioni e mezzo di euro per dipendente nei venti anni complessivi. Il piano di “politica industriale” sembra tramontato, anche per “colpa” della procedura di infrazione europea. L’unico vero progetto industriale in campo è quello che doveva essere attuato trent’anni fa, la chiusura, anche perché ora sono previsti sussidi pure per la fine dell’attività (si fa per dire) produttiva: Bruxelles ha pronti circa 250 milioni di euro per la bonifica e l’accompagnamento alla chiusura delle miniere improduttive entro il 2018.

Ora va di moda elogiare il ruolo dello “Stato imprenditore” soprattutto nei campi dell’innovazione tecnologica e della ricerca, enunciando una serie di casi particolari di successo dimenticando di confrontarli con la stragrande maggioranza di fallimenti pubblici. Che è come presentare un video con i 5 o 6 casi in cui Luca Giurato abbia azzeccato un congiuntivo per dimostrare che sia un ottimo insegnante di italiano. La verità è che la storia della Carbosulcis è la norma più che l’eccezione della logica che ha guidato gli investimenti pubblici e le “politiche industriali” specialmente in Italia. Eppure nel nostro paese nessuno si oppone agli “investimenti pubblici”, né i politici, né gli elettori, né il mondo dell’informazione, tutti ritengono la locuzione sinonimo di “sviluppo”. In realtà nella spesa per investimenti non ci sono meno sprechi che nella spesa corrente visto che, come ha evidenziato Yoram Gutgled nel libro Più uguali, più ricchi, tra il 2000 e il 2010 l’Italia ha speso mediamente 20 miliardi l’anno più della Germania con risultati sconfortanti: “Da noi un chilometro di autostrada o ferrovia costa due volte e mezzo più che in Germania e Francia”. Come spesso accade la lingua può dire molto sul nostro atteggiamento rispetto alla questione, in italiano non esiste il corrispettivo del termine inglese malinvestment, “la parola investire suona meglio della parola spendere – ricorda Gutgeld – investire richiama l’idea di costruire qualcosa per il futuro”, anche se quel qualcosa molto spesso sono tasse e debito pubblico. Quando si sentono politici ed opinionisti parlare di “politica industriale” ed “investimenti pubblici”, si dovrebbe pensare anche alle parole “spreco” e “malinvestment”. E se non rendono l’idea, alla parola Carbosulcis.

Twitter @lucianocapone

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2 Responses

  1. GLuigi

    Credo ci sia un refuso:

    “è costata altri 60 milioni di euro (circa 1.160 miliardi di vecchie lire)”

  2. Gianfranco

    ho gia fatto in altre occasioni questa proposta, purtroppo senza conseguenze:
    Lo stato italiano mette sul mio conto corrente 63 milioni di euro ogni anno (il 1. di gennaio di ogni anno) per dieci anni.
    Io garantisco ai 500 dipendenti uno stipendio annuo per dieci anni, di 40000 euro (25% in piu di quanto prendono ora)
    I dipendenti avranno solo l’obbligo di grattarsi le palle almeno 5 minuti al giorno, per il resto sono liberi di fare quello che vogliono.
    Le miniere del Sulcis non mi interessano e lo Stato/Regione puo farci quello che vuole (magari mettendoci le scorie radioattive della centrale di Caorso, tanto ormai non ne fa piu’…. risparmiando altri miliardi di euro per lo stoccaggio)
    PERCHE’ NESSUNO DEL GOVERNO ACCETTA LA MIA PROPOSTA?

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