31
Dic
2020

Per il vaccino dobbiamo ringraziare lo Stato imprenditore?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Simona Heidempergher

Il vaccino anti-Covid è al centro della discussione politica, sotto più profili. Alcuni sostengono che il principio della gratuità del vaccino dovrebbe prevalere su qualsiasi ragionamento rispetto agli incentivi necessari per realizzarlo. Altri sottolineano come esso sia già un esito possibile solo grazie a massicci investimenti pubblici: insomma, un successo dello Stato imprenditore. Ma il vaccino lo dobbiamo davvero agli investimenti pubblici?

La questione non è semplicemente chi ha fatto di più per questo o quel sottosettore nell’ambito life sciences ma in quale stadio i finanziamenti pubblici o privati siano più efficaci nel sostenere la creazione, lo sviluppo e il successo commerciale di varie scoperte farmacologiche a beneficio di ampi segmenti della popolazione, compresi quelli che non vivono nelle economie sviluppate.

Il capitale intellettuale e la creatività in life sciences non sono un’esclusiva dello Stato: sono sicuramente nutriti dall’iniziativa pubblica nelle scuole e nelle università, queste ultime sono le sedi di molte importanti scoperte nell’ambito di chimica, patologia, medicina clinica, genetica e diagnostica che hanno portato a nuovi farmaci e terapie e grandi progressi nei dispositivi medici. Attraverso i trasferimenti di tecnologia (processi molto rodati nelle università statunitensi private) a istituti non direttamente controllati dai governi e al settore privato, nuove idee sono diventate startup. Una volta trasformata in società, ogni startup seguirà il proprio destino, rendendo conto ai propri azionisti, che sono spesso un mix che cambia nel tempo fra azionisti privati a scopo di lucro, privati senza scopo di lucro e alcuni azionisti para-statali (come la BEI, British Business Bank o KfW in Germania).

La richiesta di una migliore assistenza sanitaria, sempre più adeguata all’aumento della farmacogenetica per determinate popolazioni di pazienti, è pressoché infinita poiché l’invecchiamento demografico e le malattie, vecchie e nuove, hanno il loro pedaggio. La disponibilità di risorse governative e private per l’assistenza sanitaria è limitata, in concorrenza necessariamente con altri possibili investimenti.

Piuttosto che suggerire che sia lo Stato a dovere inevitabilmente patrocinare nuove iniziative, l’osservazione migliore è verificare dove, quando e come lo Stato può promuovere in modo più utile i progressi nel campo delle biotecnologie e dei dispositivi medici. Il quadro normativo necessario e le politiche fiscali a favore delle startup dipendono dai governi.

Forme di sostegno finanziario, finanziate con fondi pubblici, che almeno sulla carta non dovrebbero distorcere i criteri di allocazione di risorse scarse possono anche essere di fondamentale importanza nelle fasi di scoperta e di sviluppo iniziale di nuove società, ma non per questo debbono essere considerate essenziali. Spin-out di big pharma (vale a dire Actelion), o più recentemente l’ascesa di BioNTech, finanziata inizialmente solamente da family office riuniti in un sindacato da Athos, il family office dei fratelli Strungman sono casi interessi di successi scientifici sostenuti in gran parte dal settore privato. Come nel caso di Madame Curie, anche il sostegno delle università finanziate con fondi pubblici non è sempre essenziale per ciò che ora diamo per scontato, come è stato nella scoperta della radioterapia.

Big pharma ha ampiamente e probabilmente appaltato con successo la sua fase iniziale, l’innovazione in perdita nel biotech, a nuove aziende, comprese le startup, concentrandosi nella concessione in licenza di composti a società esistenti e nella formazione di collaborazioni nelle fasi successive di sviluppo e cliniche con aziende biotech mentre maturano.

Piuttosto che dover fare affidamento sullo Stato per finanziare interamente le società in fase iniziale (il Vecchio COMECON lo ha provato nel suo approccio altamente regionalizzato all’allocazione delle risorse), la formula migliore è stata, per il settore pubblico, quella di operare attraverso enti gestiti da persone con conoscenze specialistiche (vale a dire NIH) per fornire grants, prestiti agevolati e garanzie parziali agli investitori. In questo modo lo Stato non influisce indebitamente sul valore del capitale di rischio e incoraggia la partecipazione del settore privato. Se ci si aspetta che lo Stato possieda ed eserciti la governance su percentuali eccessivamente elevate di partecipazione azionaria, il capitale potrebbe non essere allocato o riallocato alle più promettenti società in fase di rischio nelle diverse fasi del loro sviluppo, prosciugandone così il talento intellettuale.

L’intervento pubblico può generare una errata allocazione delle risorse e, soprattutto, portare a situazioni nelle quali non si riesce a tarare l’impegno sui risultati effettivi di un certo programma di ricerca. Basta vedere ad esempio la scommessa dei diversi Stati europei su un vaccino Sanofi GSK contro il Covid, mentre questo è per ora in ritardo sulla tabella di marcia.

Il governo in quanto principale acquirente di prodotti farmaceutici e dispositivi medici, e in particolare in Europa, è intrinsecamente in conflitto di interesse se gli è consentito anche di diventare un fornitore protetto negli stessi mercati. Per questo e per una miriade di altre ragioni, il sostegno statale diretto alle società startup, candidate ideali per finanziamenti di venture capital, è ridotto meglio nel tempo, consentendo iniziative concorrenti e finanziate privatamente per vincere la gara per una possibile maggiore efficacia terapeutica, facilità d’uso e prezzo erogato.

Moderna Therapeutics è stata fondata nella sala conferenze della società di venture capital Flagship, con sede nel Massachusetts. Ha raccolto 2,1 milioni di dollari in finanziamenti nel primo round a una valutazione di 8,4 milioni di dollari. L’azienda ha attualmente un valore di circa 48 miliardi di dollari ed è la seconda azienda ad avere avuto l’approvazione per un vaccino Covid dopo BioNTech, anche venture funded. Lucira Health è stata fondata a Emeryville, in California. Ha aderito al programma di accelerazione StartX e in seguito ha raccolto un primo round da fondi di venture capital come DCVC, Seraph Group, Danhu Capital e individui come Pierre Lamond. E’ stata la prima azienda a ricevere l’approvazione della FDA per un test Covid-19 che può essere auto somministrato a casa. Sarà disponibile solo su prescrizione, almeno per ora, ma questa potrebbe essere la vera chiave di volta per riaprire con decisioni scuole e uffici.

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