28
Lug
2015

Uno Sherman Act per la scuola pubblica

Lo Sherman Act, da cui deriva la legislazione antitrust di tutto il mondo, fu adottato allo scopo di impedire la formazione di monopoli, da cui sarebbe potuto derivare un aumento dei prezzi, dannoso per i consumatori. Una definizione e dei criteri certi e verificabili per stabilire cosa distingua un monopolio da un business model efficiente (al netto di illeciti diversi), tuttavia, non esiste, nel diritto della concorrenza né altrove.

Primo e leggendario bersaglio dello Sherman Act fu la Standard Oil, che sul finire degli anni ’80 controllava buona parte della nascente industria petrolifera americana grazie, appunto, al sistema dei trust. E che per questa ragione, qualche anno più tardi, fu smembrata in 34 società distinte per garantire maggiore concorrenzialità al settore. Nel momento di maggior “potere di mercato” della Standard Oil, il prezzo del petrolio raffinato raggiunse il livello più basso della storia dell’industria petrolifera (e salì dopo la sentenza di smembramento). Difficile dire, quindi, quale fosse il danno subito dai consumatori dal suo monopolio. Ma non è questo il punto. Il punto è che, in teoria, le democrazie liberali ripudiano i monopoli soprattutto perché potrebbero falsare il mercato, generando servizi inefficienti e prezzi elevati.

Nei giochi, non c’è nulla di più odioso di chi stabilisce le regole e poi non le rispetta. Così nelle democrazie; eppure di monopoli che falsano il mercato, generando servizi inefficienti e prezzi elevati, nel settore pubblico ce n’è in abbondanza. Un caso emblematico è quello della scuola: certo, la riforma di Renzi sta muovendo un primo passo, correlando (almeno in linea di principio) la valutazione dei dirigenti scolastici a quella dei docenti e dei risultati degli istituti. Ma si può e si dovrà fare molto di più. Più di 50 miliardi delle nostre tasse vanno a finanziare ogni anno un sistema scolastico largamente inefficiente: lo suggerisce l’intuito, lo confermano i risultati. Probabilmente nella scuola bisognerebbe davvero investire di più (l’Italia è agli ultimi posti in Europa per spesa relativa alla formazione rispetto al Pil); sicuramente bisognerebbe investire decisamente meglio.

Chi sostiene lo status quo, oggi, è chi crede che l’alternativa sia la “privatizzazione” dell’istruzione. Ma è un’osservazione facilmente replicabile: sono passati ormai 60 anni da quando Milton Friedman ideava il sistema dei buoni-scuola, grazie al quale il finanziamento dell’istruzione passerebbe per le mani delle famiglie, invece che andare direttamente agli istituti. Mantenendo così l’impianto all’interno della sfera pubblica, ma al contempo premiando la scelta dei singoli e incentivando le scuole a migliorare la propria offerta.

Si potrebbe prendere spunto, in questo senso, dalle free schools americane e anglosassoni, come proposto di recente dall’Istituto Bruno Leoni. Il rischio insito nei monopoli, del resto, è che i prezzi pagati dai consumatori siano eccessivi rispetto al “vero” valore del bene o del servizio prodotto. Ma permettendo alle famiglie di selezionare gli istituti in cui mandare i propri figli, e stabilendo alcuni parametri di efficienza minima al di sotto dei quali gli istituti possano fallire, il giusto “prezzo” potrebbero deciderlo tutti, non più il solo Ministero dell’Istruzione. La democrazia rappresentativa è uno strumento utile, ma non deve contrastare col più elementare dei rasoi di Occam.

A ciò dovrebbe accompagnarsi una flessibilità radicalmente superiore nella scelta dell’offerta formativa da parte dei singoli istituti. Si può discutere sull’esistenza di un nucleo di nozioni e valori che lo Stato sia obbligato ad assicurare, ma al di fuori di questo perimetro dovrebbe essere concessa agli istituti la possibilità di stabilire autonomamente non solo il proprio personale, ma anche orari, modalità e soprattutto contenuti dell’offerta didattica. Lasciamo che domanda e offerta s’incontrino, anche sui programmi. Qualcuno smetterà di studiare Manzoni? Peggio per lui: se farlo è così importante, ne subirà le conseguenze e costringerà suo figlio a farlo. E le scuole che non lo insegneranno, o lo insegneranno male, falliranno.

Si dirà: ma le scuole non sono aziende. Falso. Come ha spiegato ottimamente Francesco Daveri, non solo la scuola è un’azienda (seppure non a scopo di lucro), ma l’output che produce è uno dei servizi più preziosi (e potenzialmente redditizi) che lo Stato offre ai suoi consociati. Per questo, a maggior ragione, i “consumatori” vanno protetti. Sul come si può discutere. Il modello dei buoni-scuola può essere un punto di partenza, ma se ne possono trovare certamente molti altri. Ciò che conta è trovare strategie che premino l’efficienza – non invece i gruppi di pressione… –  e rendano l’offerta concorrenziale.

Può darsi che la Standard Oil fosse un monopolio, qualunque cosa ciò significhi, ma era certamente un’impresa efficiente. La nostra istruzione no: ecco perché ci vorrebbe uno Sherman Act della scuola pubblica. E da qui la mia domanda, neanche troppo provocatoria: perché l’Agcm non dice la sua? Anche se non lo percepiamo, il Leviatano è un monopolista ben più potente e dannoso di qualunque Rockefeller.

Twitter: @glmannheimer

***

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su www.ilgiornale.it.

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7 Responses

  1. FR Roberto

    Purtroppo in Italia quando si parla di scuola il punto di partenza sono sempre i precari da stabilizzare, al quale si aggiungono a macchia di leopardo timori vari (paura dei presidi sceriffo, rifiuto di un sistema di valutazione, opposizione verso la scuola non pubblica, ecc.).
    La scuola in realtà è molto più importante di tutto ciò, e ogni progetto intorno ad essa dovrebbe partire dagli studenti e dai loro diritti, primo fra tutti quello di avere disponibile una scuola di alta qualità.
    A questo si aggiunge il difetto tipico del legislatore italiano di legiferare tramite dispositivi normativi che inglobano al loro interno materie diverse e totalmente scollegate, che tra l’altro quasi sempre richiedono il rinvio a decreti attuativi, regolamenti, interpretazioni. E sorvoliamo sugli emendamenti infilati a sorpresa quà e là.

    Sarebbe indispensabile elaborare un Testo Unico della Scuola, che abbia al centro la figura dello studente, e la necessità di fornirgli una scuola degna di questo nome.

  2. Liar

    Aggiungeri anche il vulnus idelogico-culturale che fa da sfondo: il principio di matrice marxista-comunista per il quale l’istruzione deve essere pubblica, statale, uniforme ovunque, con insegnanti non-valutabili ufficialmente tutti in grado idi fornire lo stesso apporto e quidni con la stessa remunerazione.
    Non ultimo, che sia al servizio della diffusione dell’idelogia e dei suoi ‘sacerdoti’ non certo al servizio dello studente.
    E’ uno zoccolo duro di società italiana che resiste ancora, forse in diminuzione, ma ancora fortissimo e che ammorba buona parte della funzione pubblica.

  3. Bobcar

    Sarebbe bello che quando si fanno questo tipo di proposte, si cercasse di rispondere alla molteplicità di evidenti obiezioni che emergono immediatamente,
    tanto per dire la prima cosa che mi viene in mente, l’istruzione dovrebbe essere un diritto del minore, mentre nel suo “modello” diventerebbe una specie di facoltà del genitore: l ‘offerta di istruzione verrebbe intermediata dal genitore del minore stesso, a suo uso e consumo.

    Insomma, se il ragazzo è figlio di benestanti e illuminati, avrà una gran bella istruzione, se è figlio di persone non in grado di valutare correttamente la qualità dell’istruzione, magari perché essi stessi pochissimo istruiti (o anche solo prive di mezzi per consentire al figlio di raggiungere un istituto migliore, seppur più distante!) avrà una pessima istruzione. Se è figlio di pazzi (e quanti ce ne sono in giro!) Dio solo sa cosa potrebbe finire a studiare… gossip? creazionismo? storia del campionato di serie A? la bibbia? il corano? biografie del capo della setta cui aderiscono mamma e papà?

    in che modo far dipendere il livello di istruzione di una persona dalle disponibilità, volontà/capacità dei genitori a tal punto sarebbe una misura “liberale”? e badate che non sto affatto facendo un discorso paternalistico, qui non stiamo parlando del sacrosanto principio libertario che condivido al 100% per cui ogni adulto dovrebbe avere il diritto di fare ciò che vuole della propria vita, ma si sta teorizzando il diritto dei genitori di distruggere quella dei figli…

    infine sono curioso di sapere se questo stesso principio dovrebbe essere applicato anche alla sanità… Manheimer ritiene ad esempio che lo Stato dovrebbe finanziare qualsiasi tipo di cure scelte dal paziente, in modo tale da migliorare l’efficienza degli ospedali “favorendo l’incontro fra domanda e offerta di cure mediche” se mio figlio ha la leucemia e decido di curarlo col sangue di serpente benedetto dal santone che costa 100 k al litro, lo Stato dovrebbe quindi finanziare l’operazione?(se vi sembra un’eventualità improbabile, digitate “stamina” su Google) oppure dovrebbe tutelare il diritto del minore di ricevere cure mediche adeguate? e se sì, perché la sanità sì e l’istruzione no? che senso ha?

  4. Giacomo Lev Mannheimer

    Gentile Bobcar,

    sono felice di rispondere!

    Per quanto riguarda il mettere la scelta di un minorenne in capo ai genitori, una domanda preliminare: oggi le scuole pubbliche sono tutte uguali fra loro, o ce ne sono di migliori e di peggiori? Direi che non c’è dubbio sulla risposta, né essa può sorprendere in alcun modo. Premesso che – come scritto chiaramente nell’articolo – “si può discutere sull’esistenza di un nucleo di nozioni e valori che lo Stato sia obbligato ad assicurare”, pretendere che il servizio offerto da ogni singola struttura e da ogni singolo insegnante sia identico è irrealistico (e per qualcuno, non per me, utopico). A questo punto, il problema di asimmetria informativa che Lei menziona può risolversi in due modi: o continuiamo, come oggi, a illuderci che la scelta sia indifferente, oppure diamo alle persone più elementi per valutare. Certo, qualcuno (non per forza i meno istruiti o abbienti!) potrebbe “sbagliare”. Ma questo sarà un elemento di valutazione sia per i suoi amici, parenti e concittadini, che per le scuole. Né mi convince l’elemento della distanza come possibile discriminazione indiretta: aprire una scuola di livello in luoghi dove non ve ne fossero diventerebbe un servizio non solo utile, ma anche proficuo, probabilmente. Nè peraltro ora è diverso: crede davvero che le scuole della periferia, mediamente, siano uguali a quelle del centro? O che quelle del sud, sempre mediamente, siano paragonabili a quelle del nord?
    Una scuola che insegni gossip, creazionismo, o le biografie del capo della setta dei genitori avrebbe bisogno, per sopravvivere, di sufficienti iscritti: se ne ha, chi é Lei – o chi per Lei – per stabilire che non vada bene? Le ricordo che in gran parte delle scuole private e paritarie del nostro Paese si insegna, per l’appunto, il creazionismo e si prega Gesù Cristo tutti i giorni, e non mi pare che questo sia un problema sociale. Di nuovo: il mercato darebbe informazioni sufficienti alle persone per comprendere che coloro che escono da scuole inadeguate non sono un modello da seguire. Viceversa, peraltro, secondo il Suo ragionamento, dovremmo impedire alle famiglie di scegliere cosa far mangiare o cosa far fare nel tempo libero ai propri figli. Cosa direbbe se i minorenni fossero obbligati a seguire una dieta comune, uguale per tutti? I genitori, il diritto di distruggere la vita dei figli, ce l’hanno sia che possano scegliere la scuola dei figli, sia che non possano. Nè credo che lo Stato sia un soggetto migliore per farlo.

    Il parallelo con la sanità non regge, per varie ragioni tra cui l’esistenza di una comunità scientifica e quella fondamentale: i servizi offerti pro capite ai cittadini (e il loro prezzo) in un dato periodo di tempo non sono uniformi tra i cittadini; se lo fossero, sarei assolutamente favorevole al finanziamento tramite buoni anche per la sanità.

  5. Bobcar

    Ho due grosse obiezioni alle sue argomentazioni, una di carattere “morale”, ed una di carattere “economico”.

    Dal punto di vista “morale” se è pur vero che di fatto i genitori hanno oggi la facoltà di rovinare la vita ai figli, esiste un limite oltre il quale la società interviene per tutelare il minore, fortunatamente nessuno oggi può affermare che sia sbagliato che lo Stato intervenga in caso di gravi violenze fisiche, sfruttamento della prostituzione, incapacità di fornire una dieta che non pregiudichi la salute del minore, o ancora sfruttamento del lavoro minorile etc. Ecco io continuo a ritenere che l’accesso ad una istruzione adeguata dovrebbe rientrare fra quei limiti non oltrepassabili dalla potestà genitoriale, essendo di tutta evidenza a mio modesto avviso che negare il diritto all’istruzione costituisca una violazione grave della dignità umana, e dunque intollerabile.

    Ma ancora più clamorosa è la mia obiezione di carattere economico: e mi ricollego alla sua chiusa: “Il parallelo con la sanità non regge, per varie ragioni tra cui l’esistenza di una comunità scientifica e quella fondamentale: i servizi offerti pro capite ai cittadini (e il loro prezzo) in un dato periodo di tempo non sono uniformi tra i cittadini; se lo fossero…” ebbene, qui lei è totalmente fuori dal mondo! esattamente come nella sanità, nell’istruzione il costo del servizio offerto NON è uniforme fra gli studenti, tutt’altro! far raggiungere un dato livello di competenze ad uno studente dotato, figlio di ricchi che a cena parlano di arte, di letteratura e di politica, che nel fine settimana è portato a vedere musei, ed è pure seguito a casa da un genitore con elevato livello di istruzione, è praticamente zero (non voglio esagerare, ma davvero basterebbe fornire alla famiglia una lista di testi da studiare e darsi appuntamento a giugno per gli esami); il costo per un istituto scolastico di far raggiungere quello stesso livello di competenze scolastiche ad un figlio della classe media è già maggiore, per un figlio di disoccupati che mangiano guardando la tv il costo è ancora maggiore, e poi ci sono i figli dei tossicodipendenti o degli alcolisti, gli orfani che vivono nelle case famiglia, tutti questi costano davvero tanto da istruire e non solo, spesso hanno problemi di comportamento, certamente influiscono anche sul costo e la qualità dell’istruzione dei loro compagni (aumentandolo notevolmente). Poi naturalmente, ci sono gli ultimi, quelli affetti dalla sindrome di down (e simili) che per carità poverini ma poi nessuno vuole davvero nella classe dei figli (ahimè generalmente lo stesso dicasi per i figli degli immigrati).
    Ora, a fronte di un buono di pari valore per tutte queste categorie, in cambio del quale si è tenuti a fornire servizi di dal costo così differenziato, secondo lei quale sarà il comportamento razionale delle scuole migliori, quelle che hanno molte più richieste dei posti disponibili, secondo lei come verrà fatta la selezione? e a fronte di ciò, quale sarà l’effetto sulla qualità dell’istruzione delle categorie più svantaggiate, che si troveranno a dover ripiegare sulle scuole peggiori, che nel frattempo proprio grazie alla meravigliosa informazione di cui parla si troveranno depurate da qualsiasi studente con i mezzi per sfuggirne?

  6. Giacomo Lev Mannheimer

    Sull’obiezione “morale” non ho nulla da ridire: al netto di un minimo di nozioni e valori di cui ogni scuola potrebbe dover garantire l’insegnamento e dell’intervento dello Stato nei casi di abuso che Lei cita, su cui ovviamente concordo, Lei è libero di ritenere che lo Stato sia più indicato delle famiglie a stabilire cosa sia “una istruzione adeguata”. Io non la penso così. La differenza è che mentre la mia posizione non tange, potenzialmente, la Sua (perché Lei potrebbe decidere di mandare i Suoi figli in una scuola che segua un percorso formativo “raccomandato” dal Ministero, ad esempio), non si può dire lo stesso del contrario. Lei limita la mia libertà, mentre io non limiterei la Sua. E poi, una domanda mi sorge spontanea: di conseguenza Lei renderebbe illegali le scuole paritarie?
    Sull’obiezione “economica”: il costo di cui parlo è esclusivamente quello della totalità dei buoni-scuola. Nessun altro finanziamento sarebbe previsto per alcunché e si tratta di una spesa prevedibile e fissa. Diversamente, la spesa sanitaria non è né prevedibile né fissa: ecco perché un buono-sanità non si adatta al contesto. Lei, viceversa, sta parlando dello sforzo richiesto al personale per ottenere obiettivi prefissati: ma questo non ha nulla a che vedere con i buoni-scuola e non modifica il loro costo. Per quanto riguarda la selezione, questa sarebbe ovviamente fatta esclusivamente sulla base dell’ordine temporale delle richieste ricevute, impedendo così qualunque tipo di discriminazione (che invece oggi accade eccome: i criteri di prossimità territoriale, infatti, sì che creano scuole di serie A e scuola di serie B!).

  7. Piero Bonacorsi

    Purtroppo chi crede che la scuola pubblica debba essere una sola unica e indivisibile per tutti non è molto diverso da chi crede che a scuola si debba insegnare una religione anziché un altra o uno stile di vita particolare. Mi paiono ragionamenti entrambi assoluti e non condivisibili. La tesi della scelta da parte della famiglia mi pare assolutamente corretta anche perché, chi ha figli lo sa, é già così solo che la scelta è fra scuole pubbliche decenti e indecenti non un gran che mi pare.

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