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Dic
2009

Senza manovra sul debito pubblico, crisi peggiore

Stephen Cecchetti è uno dei più meticolosi e affidabili economisti dell’intermediazione finanziaria che io conosca, cresciuto alla grande scuola dell’Ufficio Studi della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, l’istituzione alla quale ho spesso reso omaggio come una delle pochissime che abbia cercato – inascoltata – di mettere sull’avviso dal 2002 in avanti dei rischi d’instabilità enormi “accesi” dai bassi tassi praticati da Greenspan. Nel suo più recente paper, Cecchetti e due junior della BRI approfondiscono che cosa oggi rischiamo. Paradossalmente, il costo della crisi è peggiore se non si realizzano crisi dei debiti sovrani. Può sembrare un controsenso, da parte di un’istituzione  che presiede alla stabilità. Al contrario, dà l’idea dei tempi pazzi che viviamo: grazie ai governi al potere, che aggiungono in proprio errori a quelli dei regolatori precrisi. Studiate in maniera comparative 40 diverse crisi di origine bancaria negli ultimi 30 anni, e osservato naturalmente che quella in corso è la più grave, le conclusioni sono tre. La prima è che le crisi che hanno origine non nella liquidità inadeguata, ma nella sfiducia reciproca dell’intermediazione finanziaria, hanno conseguenze in termini di perdita di prodotto e di occupati più durature nel tempo. La seconda è che tali conseguenze negative sull’economia reale sono ancor più profonde e durature per i Paesi che vi accompagnano una crisi valutaria: conclusione che si traduce oggi a svantaggio degli Usa e del Regno Unito, le cui valute cadono creando apparente maggior competitività e dunque riduzione del valore reale dei debiti esteri, ma in realtà con un effetto-droga di mascheramento attraverso euforia apparente degli effetti concomitanti, in termini di peggioramento dell’output e soprattutto del reddito disponibile procapite. La terza conseguenza è quella su cui c’è più da riflettere: quando il debito pubblico esplode per gli effetti della droga che i governi mettono in circolo spesa pubblica massiccia aggiuntiva, al fine di evitare il più possibile il riallineamento dei valori degli asset e le ristrutturazioni necessarie a ripartire al meglio – più magri, più efficienti e con gli azionisti che incorporano senza aiuti pubblici le conseguenze dei propri errori – le conseguenze della crisi sull’economia reale sono ancor più protratte nel tempo, quanto più i paesi evitano ristrutturazioni forzate del debito pubblico, passando per default pilotati dai quali si esce con operazioni straordinarie. È una conclusione che vale molto per l’Italia, che ha un debito pubblico elevato precrisi e che sta spendendo assai meno dei paesi concorrenti, ma che cresceva già troppo poco rispetto a tutti i Paesi avanzati. Politici seri, oggi, metterebbero in conto seri sgravi fiscali in concomitanza di una manovra straordinaria sul debito pubblico. Non si vede né l’una né l’altra cosa, all’orizzonte italiano. A tempi straordinari, risposte straordinarie. Non il mero galleggiamento, spacciato per virtuosa prudenza.

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8 Responses

  1. andrea lucangeli

    “Politici seri, oggi, metterebbero in conto seri sgravi fiscali in concomitanza di una manovra straordinaria sul debito pubblico. Non si vede né l’una né l’altra cosa, all’orizzonte italiano. A tempi straordinari, risposte straordinarie. Non il mero galleggiamento, spacciato per virtuosa prudenza.” (fine della citazione di Giannino).-
    Porca miseria! Pure Oscar Fulvio ha “scaricato” il Trem….la cosa allora è proprio grave!
    Gli ha dato del “non serio” e del “galleggiatore”: in 4 righe (colpito ed affondato il povero Giulio) è riuscito a fare quello che non è riuscito a Bersani in due ore di Annozero…..
    Compagno Oscar fatti dare la tessera “ad honorem” del PD……

  2. bill

    Da più parti si dice che per uscire davvero da questa crisi occorreranno non mesi, ma anni. Per quello che conta, penso sia vero.
    Ora, qui si deve decidere come uscirne. Ovvero, si vuole cambiare l’andazzo, già ampiamente penalizzante per il paese prima della crisi, o pensiamo che sia già tutto a posto, e che dopo la crisi saremo competitivi lasciando le cose come stanno?
    E’ evidente che una politica economico-finanziaria rigorosa, che accompagni decisi tagli fiscali ad un deciso taglio della spesa pubblica comporti dei rischi in termini di consenso elettorale; così come è altrettanto evidente che un politico, dal ministro del tesoro al cosigliere comunale, sia terrorizzato da questo.
    Basta pensare, per fare un esempio, che casino ci sia per un taglio ai fondi per lo spettacolo (mentre io li abolirei proprio..).
    Ma se non ci si muove ora in questa direzione, rischiamo di uscire dalla crisi con le ossa rotte e senza possibilità di attaccarci al treno della futura ripresa.

  3. A noi le ossa ci finiranno di romperle quando finirà la crisi … quando ci sarà la ripresa noi saremo coinvolti marginalmente, certo, aumenteranno le esportazioni, ma saremo generalmente sempre meno competitivi: tassazione superiore alla media europea, popolazione di anziani, ricercatori e laureati all’estero, quelli che rimangono in italia non acquisiscono valide esperienze lavorative, i nostri figli sono già castrati in competitività in quanto la scuola non gli insegna l’inglese dalle elementari (i laureati in lingue insegnano a partire dalle scuole medie), diffusa assenza di meritocrazia e di mentalità basata sull’organizzazione (la soluzione più compiacente è generalmente quella scelta).
    Anche se alcune nazioni hanno puntato troppo ad una economia della finanza (vedi inghilterra), i paesi più flessibili e organizzati cavalcheranno la ripresa, agli altri le briciole.

  4. Biagio Muscatello

    Escludo che con l’aggettivo “forzato” tu voglia intendere qualcosa che abbia a che fare col mettere le mani nei nostri portafogli (della serie ‘risparmio forzato’ di Hayek).
    Mi rimane da capire a quali default pilotati e a quali operazioni straordinarie ti riferisci: solo alienazione di assets pubblici, o altro?..

  5. Credo che “Pastore Sardo” abbia colpito nel segno con poche e semplici parole. Capisco, tuttavia, lo spirito del post di Giannino. Forse, e lo so sto studiando in questi mesi, non é necessario ricorrere ai soldi. Si può fare molto, moltissimo, sul piano legislativo, tagliando o semplificando leggi inutili, distribuendo i giusti incentivi a costo molto ridotto. La tradizione giuridica italiana purtroppo ci penalizza in partenza. Più che tagliare le barriere fiscali, manovra impossibile, potremmo iniziare da quelle istituzionali: costano denaro, fatica e tempo. Tempo che non abbiamo più.

  6. Renato

    In relazione alla riduzione del debito pubblico ed al recupero della risorse a favore degli interventi per superare la crisi, questo si potrebbe fare se i politici riducessero gli sprechi (sanita’- opere pubbliche -ecc.), i costi della politica, recuperassero le tasse eluse (un’esempio e’ quello dei 98 MILIARDI -non milioni- di tasse eluse delle societa’ che gestiscono i vari giochi nel paese) ecc., ecc., ecc., (la lista sarebbe “infinita”).
    Ora dato che NON c’e’ la volonta’ della classe politica e di altri poteri di fare in modo concreto ed incisivo queste azioni di risanamento (per i loro interessi) e’ poi una naturale conseguenza che la “coperta” sia “corta” ed a rimetterci, come sempre, saranno i cittadini.

  7. tonino segau

    @ Alex,
    già, leggi “inutili”, ma per chi? Chi le ha votate dovrà averle per forza trovate utili. Se non per sé almeno per qualche parente o amico.
    Gli incentivi più giusti che meno distorcono il mercato sono semplicissimi: abbassare le imposte a tutti, senza aiutare nessuno in particolare (sfasando il meccanismo di allocazione del mercato).
    Che poi la buona teoria sia destinata a scontrarsi contro le granitiche inamovibilità della cattiva pratica dei ceti parassitari, beh… sta tutto lì il problema!

    @ Renato,
    il vero costo della politica non è quello delle auto blu, dei biglietti gratis ecc. ecc. Il vero costo della politica è quel danno “non visibile” e non quantificabile (meccanismo inevitabile, che spiega molto sulla sopravvivenza di certe istituzioni e modi di pensare) che i governi cagionano legiferando e decidendo al nostro (leggasi, del mercato) posto.
    Saremmo molto più ricchi se raddoppiassimo le prebende dei legiferanti a patto che essi la smettessero di preoccuparsi del nostro bene.

    Sulle tasse: l’ELUSIONE è perfettamente legale, legittima e – se permettete – pure raccomandabile: lo stato è come un gatto grasso che più ha cibo e più ne mangia. Levargliene la metà lo condannerebbe al massimo ad essere scontroso per qualche giorno, per poi rassegnarsi a farsi bastare la nuova, ridotta, razione.

  8. Pastore sardo ok.
    La “ripresa’, 1 – 2% al massimo e se continuera’, non e’ assolutamente sufficiente a risolvere i nostri problemi. Dobbiamo guardere in casa nostra e fare ordine.
    Scusatemi se ribadisco il mio decalogo:
    1) Riduzione della Pubblica Amministrazione: almeno il 5% ( abolizione PROVINCIE, Comuni sotto i mille abitanti, Comunita’ Montane, riduzione del 50% del numero di parlamentari e senatori, ecc.
    2) Riqualificazione della Scuola ma sopratutto del personale docente, insegnare l’inglese ed il cinese e valorizzare le materie scientifiche.
    3) aumentare leggermente l’ eta’ pensionabile.
    4) Rivalutare l’artigianato ed i lavori manuali e di servizio.
    5) Iniziare ad abbassare le tasse anche se in misura minima data la situazione.
    6) Convincere i ricchi e potenti del Paese a conferire parte della loro ricchezza superflua al fine di ridurre il debito pubblico e di conseguenza la spesa corrente al servizio del debito stesso. Se 3 milioni di italiani versassero 30.000 Eur a testa il debito verebbe automaticamente ridotto in un sol colpo del 5%.
    Se siete interessati ad approfondimenti su queste tematiche vi invito a collegarvi al blog:
    http://www.segesfossetremonti.blogspot.com
    ed a partecipare alla Assemblea ivi proposta nell’ultimo capitolo.
    Grazie
    Anton

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