26
Dic
2013

Se il 1000-proroghe è come il salva-Roma: più buchi e più tasse

Domani il governo vara il decreto “milleproroghe” per il 2014 e vedremo che cosa conterrà, a cominciare dalle norme salva-Roma saltate alla vigilia di Natale. Speriamo proprio non sia la stessa pappa.

Va riconosciuto al Quirinale il merito per aver fatto cadere – quando era praticamente approvato – un decreto-omnibus in cui a prescindere da Roma era entrata ogni tipo di mancia territorial-clientelare per centinaia di milioni, in violazione dei requisiti non solo di urgenza ma di coerenza tematica che sono – meglio ormai dire: dovrebbero essere – propri della decretazione d’urgenza. Ma prima di svolgere alcune considerazioni su ciò che aspetta i romani nel milleproroghe, un’osservazione va fatta proprio su tale strumento.

E’ dal dicembre 2005, che i governi italiani hanno la cattiva abitudine di riservare al milleproroghe di fine d’anno interventi su una congerie delle più disparate materie. Il motivo per il quale possono farlo è che deve trattarsi o di conferme di norme “a tempo” che scadono a fine anno, o di deroghe urgenti alle norme vigenti, e in entrambi i casi non è stato possibile intervenire col procedimento legislativo in corso d’anno.

In un paese ordinato e serio, il milleproroghe non dovrebbe esistere, la Corte Costituzionale dovrebbe impedirlo. Per la sua stessa genesi aggira i requisiti costituzionali della decretazione d’urgenza, e testimonia solo l’arretratezza di un sistema in cui più del 95% delle modifiche alla legislazione vigente avviene solo attraverso la sessione di bilancio. E’ un sistema che deriva dalla mancanza di riforme organiche affrontate in Parlamento, e che insieme ha finito per accentuare tale patologia. Non è un caso che in ogni milleproroghe – anche oggi sarà così – sia confermato per un anno il tetto agli incroci tra stampa e tv. Il sistema dei media è da vent’anni per definizione terreno sul quale destra e sinistra procedono solo per armistizi temporanei. Dunque è sempre proroga, mai riforma che metta avanti prospettive di sviluppo nazionali, rispetto al conflitto Rai-Mediaset. E’ patologia piena, che nel milleproroghe finiscano materie come il blocco degli sfratti, o il diritto di recesso degli affitti d’oro di Camera e Senato.

Ma veniamo a Roma. Da quando è stato approvato tra mille traversie il bilancio preventivo di Roma 2013 lo scorso 6 dicembre – altra patologia, ma su questo il governo Letta ha le sue colpe, è lui che ha protratto il termine ai Comuni nel 2013, per scrivere le fantastiche pagine del  romanzo IMU – l’amministrazione Marino vanta una sorta di “contratto” sottoscritto dal governo. I conti 2013 e degli anni successivi non starebbero in piedi se il governo non abbassasse di 600 milioni gli 867 di debito accertati dal sindaco Marino. Tutto ciò sebbene, nelle previsioni 2014 elaborate dalla Ragioneria Centrale del Comune, Roma dovrà accrescerere molte delle sue entrate: quasi il doppio rispetto all’incasso 2013 da tassa di soggiorno, 15 volte – ! – dal canone degli impianti pubblicitari, 3 volte quanto ricavato da accertamenti d’infrazioni. Ma a malapena tutto ciò, dicono in Campidoglio, fronteggia i minori trasferimenti ordinari al bilancio di Roma dallo Stato, in discesa dagli oltre 700 milioni del 2013 a circa 450 nel 2014 (tagliare le spese mai, eh?).

Di qui la trattativa tra il sindaco Marino e governo Letta, sfociata nel salva-Roma. I 600 milioni di minor debito vengono da un artificio contabile, la legislazione pubblica ne è diventata maestra. Quando nel 2008 divenne sindaco Alemanno e certificò in 12 miliardi il debito pregresso accumulato dalle amministrazioni “rosse”, allora Roma ripartì da zero “girando” tale debito a una gestione commissariale parallela, “inventata” dal governo Berlusconi in cambio di un ritocco verso l’alto dell’aliquota Irpef di spettanza comunale, e del fatto che Roma avrebbe “girato” ogni anno al commissario Varazzani una parte del gettito da Irpef pari allo 0,4%.

Marino ha chiesto e ottenuto da Letta un analogo escamotage. I 600 milioni di abbuono sono costituiti dai 485 milioni che lo Stato girò nel 2009 a Roma che a propria volta li girò al commissario, per conferirgli una dotazione patrimoniale iniziale. E che ora il governo “cancella” dal debito romano, ergo se mai Varazzani riuscirà a recuperarli li dovrà al governo. Altri 115 milioni vengono anch’essi iscritti a passivo del commissario nei prossimi 2 anni, dovuti a oneri anteriori al 2008 ma emersi negli anni successivi: una bella conferma che le amministrazioni pubbliche sono campioni, nel non dire la verità sui debiti che contraggono. Per continuare a onorare l’impegno di girare quasi 500 milioni di risorse l’anno al commissario – altrimenti come li paga, lui, i debiti fatti dai sindaci? in una ventina d’anni, sintende… – Roma avrebbe ottenuto un ulteriore sforamento verso l’alto della sovraliquota Irpef da applicare ai romani, passando dallo 0,9% all’1,2%. Il sindaco Marino ha ripetuto che l’addizionale non sarà applicata, ma in tal caso non si capisce perché tanta insistenza nel chiederla e ottenerla, nel salva-Roma.

Tre considerazioni, a questo punto. La prima, sul metodo. La seconda, sull’alternativa. La terza, sulle conseguenze.

Primo: i conti di Roma Capitale dimostrano un’evidenza. A ogni cambio di colore politico delle giunte, emergono buchi enormi. La via prescelta dai governi di destra e di sinistra è di tenere buoni i sindaci a sé vicini, inventandosi conti economici e bilanci patrimoniali paralleli, che a nessun privato italiano, famiglia o impresa, sarebbero mai consentiti. Anzi, porterebbero dritti alla galera. Di fatto, tale metodo è un incentivo a proseguire nelle voragini di bilancio. Come sono stati “abbuonati” i predecessori, così anch’io, ragiona ogni sindaco: e che, si vuole fare eccezione proprio per me e non abbuonarmi i debiti? Per i contribuenti, è un disastro.

Secondo: l’alternativa. C’è. E’ quella di farla finita con la finanza creativa, e di procedere a una revisione approfondita della spesa, e dell’oceano di partecipate e controllate pubbliche. Il salva-Roma era in realtà un salva-Atac, come ha scritto ottimamente Andrea Giuricin qui. Negli ultimi 4 anni l’Atac ha perso in termini operativi quasi 700 milioni, nonostante abbia ricevuto circa 3 miliardi di contributi pubblici. Eppure, quando nell’esame parlamentare del decreto salva-Roma è comparso un emendamento che vincolava Roma a rivedere le sue partecipate pubbliche, costi e personale – visto oltretutto che al Comune tornano i crediti verso le partecipate che nel 2009 erano stati girati al commissario: altra disinvoltura contabile – il sindaco e la giunta capitolina sono insorti. Pessima cosa proseguire coi ripiani a piè di lista, contando sul fatto che le società pubbliche romane sono gonfie di dipendenti e dirigenti perché destra e sinistra vi hanno fatto clientela a piene mani. E’ questa, l’unica vera ragione del proliferare di società e dirigenti: i partiti-clientela generano inefficienza, sovraccosti e debiti. E questi non sfociano mai in drastiche marce indietro, ma solo in più tasse e “buffi”, come si dice a Roma dei debiti non onorati.

Infine: le conseguenze. Tutti i sindaci lamentano che criticare è facile, amministrare tutt’altra cosa. Lo sappiamo. Ma a noi spetta avvisare cittadini e contribuenti di ciò che li aspetta, al di là di che cosa abbiano votato. Roma Capitale, procedendo di colpo di spugna in colpo di spugna e di tassa in sovrattassa, perde attrattività d’impresa e turistica, scende nelle graduatorie internazionali di efficienza e vivibilità. Ecco perché noi vorremmo che sindaco e governo, nel salva-Roma ieri ma soprattutto nel milleproroghe oggi, avessero convenuto discontinuità vere e profonde, e non degli immondi scarica-barile.

 

You may also like

L’autogol di mostrare i denti alla Svizzera, dopo il referendum, e il precedente a cui guardare
Roma, le alluvioni, lo Stato che fa tutto tranne l’essenziale. Modesta proposta di un’Agenzia per il Ripristino Territoriale
La lezione Fiat-Electrolux: al sindacato, ai media e a “Destinazione Italia”
Poste, un errore colossale anche se piace a quasi tutti

1 Response

  1. Leonardo

    Caro Oscar, finchè i nostri politici si trinceano dietro l’assunto/barriera mediatica “non possiamo far fallire…” e mettici te Roma, Alitalia, Atac etc etc non ne usciamo.
    Dobbiamo far fallire questi carrozzoni perchè è l’unico modo di ristrutturarli velocemente. Esempio: Facciamo fallire Atac e ripristiniamo il servizio con una newco che rileva solo gli autotrasportatori che servono e 1000 impiegati. 6000 al posto di dodici… Facciamo fallire il Comune di Roma e tagliamo finchè le spese non sono un euro meno delle entrate reali ( non presunte o ipotetiche)
    La finanza pubblica va rivista introducendo il concetto di fallimento che è positivo e non negativo come si crede, oltre che di trasparenza e comparabilità nei bilanci. Forza Merkel. saluti

Leave a Reply