30
Gen
2014

La lezione Fiat-Electrolux: al sindacato, ai media e a “Destinazione Italia”

C’è qualcosa di profondamente analogo in due vicende che riguardano il lavoro e che in questi giorni s’incrociano in Italia, anche se apparentemente una è storia di successo, l’altra di difficoltà estrema. Si tratta della nuova Fiat Chrysler Automobiles, e della  Electrolux. Entrambe chiedono al sindacato, ai lavoratori italiani e a noi tutti, di “cambiare la testa”. Entrambe sono un’evidente sconfessione delle promesse di “Destinazione Italia”, lanciato dal governo per attirare capitale estero e non farlo uscire dall’Italia.

Il nuovo marchio comune del settimo gruppo dell’auto mondiale, deciso ieri insieme alla sua prossima quotazione a New York, alla sua nuova sede legale in Olanda e a quella fiscale nel Regno Unito, è un trionfo perché sradica la Fiat – in quasi pre-default nel 2004 e nel 2008 – dalla sua debolezza nazionale ed europea, e grazie al risanamento del terzo gigante dell’auto americano conferisce a entrambi una dimensione mondiale. Mentre la multinazionale svedese degli elettrodomestici “bianchi” stenta a vedere un futuro per i suoi stabilimenti italiani, e ieri non ha convinto governo e sindacati al primo incontro congiunto. Eppure, entrambe le vicende portano al pettine lo stesso nodo: ciò che e’ necessario fare, per difendere lavoro e produzioni in Paesi avanzati, cioè ad alti costi di produzione, del lavoro, e dei diritti sociali connessi al nostro modo di vivere e alla nostra idea di civiltà.

Un’opinione che purtroppo gode di largo seguito – quando la crisi mette in ginocchio imprese e lavoro o, come nel caso italiano, un intero Paese – afferma che è la globalizzazione a essere ingiusta e inaccettabile, perché mette in concorrenza diretta i lavoratori a più alto costo delle nazioni avanzate, con quelli a minor costo delle nazioni emergenti. Non è affatto così, ma non si può neanche pretendere che la cosa risulti facilmente chiara a chi si trova personalmente esposto alla minaccia di perdere reddito e lavoro.

Dovrebbero invece essere le classi dirigenti di un Paese, imprese e sindacati, politica e media, a capire che esiste eccome il modo per difendere lavoro e impresa nei Paesi a più alti costi. A patto però di “cambiare la testa”, ognuno per la propria parte.

Chrysler e General Motors erano in ginocchio, nel 2007-2008, innanzitutto per i costi dei propri dipendenti non rispetto agli operai dell’auto in Cina, ma a quelli che lavoravano negli stabilimenti di altre aziende dell’auto negli stessi Stati Uniti. Poi la crisi finanziaria diede una botta mortale alla sostenibilità dei rispettivi debiti, innanzitutto di quelli pensionistici. Ma quando intervenne il governo federale, con pacchi di miliardi dei contribuenti americani – la Chrysler con Marchionne ha restituito tutto con gli interessi entro maggio 2011, in GM Obama ci ha rimesso più di 10 miliardi di dollari pubblici – l’esame dei costi comparati fu spietato. E il sindacato americano dell’auto, UAW, incalzato da Marchionne, pur di scommettere nell’unica opzione possibile per la difesa dell’azienda e del lavoro, accettò riduzioni tra retribuzione, pensioni e benefit, in un arco da 7 a 24mila dollari annui lordi. I neo assunti sarebbero stati pagati 14 dollari l’ora, rispetto ai 27 degli “anziani”, ai quali si tagliava la pensione. Del resto il sindacato metalmeccanico tedesco, IG Metall, aveva accettato nel 2004-2005 anch’esso tagli energici per i più giovani e blocco totale per tutti di premi e avanzamenti per tre anni, pur di impedire la delocalizzazione di stabilimenti del gruppo Volkswagen, dalla Germania in crisi verso l’Est Europa.

Come è evidente, in realtà non è affatto diverso da quel che ha proposto Electrolux. Gli svedesi non hanno proposto un taglio né del 50% né del 40% delle retribuzioni dei loro dipendenti italiani, come affrettatamente in troppi hanno detto e scritto, ma dell’8% delle retribuzioni nette e di poco più del 20% del trattamento complessivo, sommando lo stop ai premi, gli orari più contenuti e la maggior flessibilità nella turnazione. Eppure, c’è stata un’insurrezione generale. Si sono sprecate le invettive e i toni estremi, come di fronte a una provocazione inaccettabile, da vecchi padroni delle ferriere dickensiani.

Esaminiamo con freddezza i fatti. Il nostro Paese perde produttività in termini comparati da oltre vent’anni, e tra i paesi europei mediograndi ha un costo lordo del lavoro inferiore di poco solo a quello della Francia, non a caso divenuta essa, ora, il grande malato continentale. Ovviamente, a spingere così in alto il costo del lavoro non è la retribuzione netta che va in tasca ai dipendenti, inferiore a quella tedesca e francese. E’ il cuneo fiscale, la pesante pretesa fiscale e contributiva dello Stato. Che è pure cresciuta del 5% dal 2005, altro che scendere come tutti i governi hanno promesso di fare.

Nel breve termine, visto che lo Stato non si decide, i gruppi multinazionali non investono nella manifattura in Italia, come pure la sua elevata qualità meriterebbe ancora, e quelli che lo hanno fatto da molto tempo, come Electrolux, per non spostarsi altrove chiedono a dipendenti e sindacati la disponibilità a mettere in discussione l’unica componente dei costi fissi che nel breve si può abbassare. Cioè quella decisa da azienda e lavoratori.

E’ ingiusto, si dirà. Condivido. Sarebbe molto più logico che fosse lo Stato, ad abbassare la sua pretesa veramente fuor da ogni ragionevolezza, ad assumere decisioni capaci di abbassare il sovraccosto energetico, della logistica e dei trasporti, attraverso un mix energetico meno sussidiato e infrastrutture di rete più efficienti. Ma capite bene che finché lo Stato non fa nessuna di queste cose, finché lancia programmi-promessa come Destinazione Italia per attirare investimenti esteri ma che vengono totalmente smentiti dalle politiche pubbliche “reali”, esose e intromissive, l’alternativa per il sindacato è una sola: o sedersi al tavolo Electrolux e trattare anche retribuzione e premi, oppure dire di no a tutto, e accompagnare alla scomparsa altri stabilimenti e altre migliaia di posti di lavoro. Nel frattempo, se Fiat Chrysler sceglie la sede legale in Olanda e quella fiscale in Uk fa benissimo, è perché il diritto societario olandese e l’ordinamento tributario britannico battono i nostri: i governi italiani lo sanno da anni, ma fanno chiacchiere e promesse.

Un sindacato ragionevole e moderno sa per primo che la manifattura in Paesi a più alti costi si difende benissimo se tutti i fattori della produzione – il lavoro e il capitale, i brevetti e la tecnologia, gli input energetici e quelli dei servizi sia pubblici sia privati all’impresa – compongono insieme un mix a più alto valore aggiunto, rispetto a quello dei Paesi emergenti e a più bassi costi. E’ questa, la chiave per continuare a essere più ricchi nella  globalizzazione, che ha accresciuto di centinaia di milioni i possibili acquirenti esattamente di quel che noi qui siamo ancora capaci e bravi a fare. Altrimenti, si declina. Ma non è affatto un destino segnato, come insegna il grande malato tedesco a inizio degli anni Duemila, tornato in pochi anni di riforme in piena salute, e a un attivo commerciale sul Pil superiore a quello della Cina.

Un sindacato moderno non per questo deve dire sì a ogni richiesta dell’impresa. Deve trattare investimenti, difesa ed espansione dei livelli produttivi, vincolando i sacrifici nel breve alla crescita successiva. Esattamente come è avvenuto in Chrysler e in Volkswagen. Ma deve affiancarvi – insieme al mondo dei media e della cultura accademica e diffusa – un energico impegno per richiamare lo Stato a tutto ciò che in Italia non ha fatto in questi anni. Meno cuneo fiscale. Un’istruzione tecnica, secondaria e post secondaria, più vicina alle esigenze del lavoro italiano. Un sistema di incrocio tra domanda e offerta del lavoro meno indecente di quello attuale italiano, che intermedia a malapena il 2% del totale dei nuovi occupati e ri-occupati. Un codice del lavoro più snello e sfoltito di adempimenti burocratico-amministrativi, rispetto alle decine e decine di leggi accumulate nel tempo o ai 12 diversi adempimenti attualmente previsti per un solo contratto di apprendistato.

Impresa, sindacato e Italia civile, insieme, possono fare di più e in minor tempo per uno Stato meno nemico del lavoro, di quanto la politica da sola mostri di riuscire a fare. Ma, nel frattempo, sedersi e trattare contratti di solidarietà anche con meno retribuzione è sicuramente meglio che chiudere gli stabilimenti e diventare cassintegrati.

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11 Responses

  1. giuseppe

    http://www.cgiamestre.com/2014/01/la-cgia-sta-con-gli-operai-dellelectrolux/

    Non io, ma Bortolussi della Cgia di Mestre dice che questa volta non è il caso di chiamare in causa gli operai.

    In Italia non è più alto il costo del lavoro (naturalmente rispetto a Francia e Inghilterra, non ai Paesi dell’Est) ma il costo per unità di prodotto. Che dipende anche dal costo dell’Energia, l’imposizione fiscale e altro, che Lei Giannino saprebbe spiegare molto meglio di me. Lo Stato non è più ladro?

  2. Fulco Ruffo

    Quanto sta accadendo ha una profonda matrice ideologica.
    Negli ultimi 20 anni è stata promossa la sostanziale de-industrializzazione di un paese che aveva nel manifatturiero il suo punto di forza, distribuendo al popolo attraverso una stampa compiacente, l’oppiaceo di una presunta alternativa basata su comparti effimeri come moda e turismo. Ultimamente si è aggiunta la cosiddetta “agricoltura di qualità”, ma il paradigma è sempre lo stesso: facciamo a meno dell’industria che puzza ed inquina, tanto esistono alternative migliori.
    Lasciamo perdere un sindacato autoreferenziale, caro Giannino: le interviste radiofoniche di oggi dei rappresentanti sindacali sarebbero state da sganasciarsi dalle risate, se non ci fossero di mezzo bocche da sfamare. Sono i lavoratori che si devono incazzare e scendere nelle piazze, affrontando direttamente a muso duro parlamentari e governo che continuano a guardarsi l’ombelico ed ad aumentare la pressione fiscale sui lavoratori dipendenti e sulle imprese, senza che nessuno gli dica “bu”.
    Il ritratto della nostra politica industriale è il premio “personaggio ambiente 2013” al magistrato Patrizia Todisco in riconoscimento dei numerosi provvedimenti nell’inchiesta per Disastro Ambientale a carico dell’ Ilva, ma non mi risulta che nessuno abbia pensato a premiare opportunamente il Presidente della Regione Puglia nicchi vendola (il minuscolo è d’obbligo) per come ha contribuito fattivamente a distruggere l’impresa più grande che si trova sul suo territorio. Anzi, il suddetto guida un partito e dispensa perle di saggezza ai suoi colleghi, con ampio spazio concesso dai mezzi di informazione.

    Se la grande impresa viene affondata dall’ideologia, la piccola viene soffocata dalle imposizioni degli accordi di Basilea, che hanno drenato la liquidità con cui il sistema delle PMI ha finanziato il suo sviluppo sin dalle origini, e dai mancati pagamenti delle pubbliche amministrazioni. Quelli che sopravvivono, delocalizzano dai nostri vicini di casa Sloveni e Croati che, grazie agli aiuti comunitari, hanno istituito zone franche a bassa fiscalità, elevata flessibilità nei contratti di assunzione, ed energia a basso costo.

    Nel caso qualcuno non se ne sia accorto, il nostro paese è al collasso, ed è stato portato dove si trova da una politica compiacente con i forti e distratta con il popolo. Servirebbe veramente un coraggio da leone per trattare con l’europa germanocentrica l’inversione di una rotta che assomiglia stranamente a quella prevista dal piano promosso nel 1934 dal ministro nazista dell’economia Schacht, che per noi prevedeva vanga e pezze al sedere, concentrando le industrie ad alto valore aggiunto in Germania.

  3. Alberto

    Per la vicenda Elettrolux, spiace apprendere ciò ed evoca profonda tristezza che il lavoratore sia costretto, per competere con l’omologo polacco, indiano o cinese, a ridimensionare le aspettative di una retribuzione già bassa. Ma migliaia di autonomi senza sindacato sono costretti ogni giorno a ridimensionare le loro pretese in uno Stato in cui la concorrenza è a condizioni esasperate, dove il cliente ti dice quanto ti paga e molti sono costretti ad accettare : meglio poco che nulla, e con studi di settore completamente fuori dalla realtà, costretti a “pagare” più imposte del dovuto pur di compiacere e tacitare le pretese. Si può sempre pagare quanto ritenuto corretto e seppur non congruo ricorrere nelle opportune sedi giuridiche per la propria tutela. Le spese per un contenzioso spesso superano il di più esatto con la probabilità (ultimamente è diventata quasi certezza) che l’interpretazione bizantina della norma non venga accolta.

  4. Niky

    Solo gli “elicotteri” ci possono salvare. A quando un referendum sulla richiesta di intervento della troika? Sono rimasti gli unici che possono aiutarci… che tristezza. 🙁

  5. Filippo

    A me quello che lascia interdetto sono le presunte dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio Letta e da Fassino.Mi sembra di sognare.Capirei se queste cose le avessero dette due pensionati che al bar discutono di tutto.Ma si rendono conto di quello che dicono?Come faccio a a fare il tifo per un gruppo planetario?qui di italiano c’è rimasto poco e niente,dato che a quanto pare a chi compra una Fiat 500 importa poco o nulla che sia fatta in Italia o in Polonia o in Messico.A questo punto è una questione di simpatia e non più di bandiera tifare per la FCA piuttosto che per la Samsung o qualsiasi altra multinazionale.Eppure di fronte a questo avvenimento che segna la fine di un’epoca tutto quello che la nostra classe dirigente sa fare è lasciarsi andare a questo tipo di dichiarazioni,come se servissero a sistemare le cause che hanno portato a questa ennesima perdita di industria.Avanti pure con quello che veramente è diventato un grottesco teatrino della politica,un gran polverone e una grande caciara per non cambiare niente,per distrarre l’attenzione dalle cose importanti,per non fare le cose dolorose che sarebbero necessarie per cercare di rimettere in piedi questo Paese,invece di vivere solo con la speranza che in qualche modo miracoloso le cose si sistemino da sole come credo che in realtà stiano facendo.La gente si indigna per la questione Electrolux,non faccio fatica a comprendere che se capitasse a me sarei profondamente preoccupato ma sarei anche estremamente arrabbiato,usando un eufemismo,nei confronti di chi ha portato il Paese a questo punto senza mettere in campo nessun tipo di strategia per un sistema Paese efficiente che avesse più valore di uno slogan pronto ad essere abbandonato il giorno dopo le elezioni.L’Electrolux non può fare impresa per il bene del Paese ma per raggiungere un utile per i suoi conti,che piaccia o no.Sicuramente come Lei stesso scrive l’unica variabile su cui possono incidere oggi come oggi è solo quella del costo del lavoro dato che lo Stato si limita a fornire servizi scadenti e ad imporre un pesantissimo carico fiscale,sproporzionato a quello che fornisce in cambio.Se neppure di fronte alla Fiat che smette di essere un’industria italiana ed emigra all’estero per pagare meno tasse la classe dirigente rimane impassibile o per meglio dire inerme allora siamo veramente “on the eve of destruction”.
    p.s.
    ma con il nuovo assetto societario chi pagherà la cassa integrazione ad esempio per gli 800 lavoratori di Termini Imerese,da due anni in CIG?

  6. Pugacev

    Forte! Quindi, andando oltre i giri di parole, a dover essere drasticamente ridimensionato (per competere con i cinesi) è lo stipendio netto finale in tasca al dipendente privato e non l’enorme fetta che si prende lo Stato per mantenersi e mantenere le sue clientele lautamente. E secondo voi la fu Italia avrebbe un futuro come Paese sviluppato e civile? Ma per favore!
    PS: è notorio ed evidente che i sindacati di Stato, efficientissimi e bravissimi a difendere i dipendenti pubblici hanno completamente abbandonato al loro tragico destino di schiavi senza speranza quelli privati limitandosi a qualche bolso, improbabile, sermone/orazione funebre di circostanza accompagnata dagli scongiuri dei malcapitati.

  7. LucaS

    Caro Oscar,

    1. Ottimo articolo come al solito, conferma cose che ben conosco ma vale sempre la pena di risentirle.
    A mio umile parere però tutte queste belle analisi sono però inutili, perchè ormai fuori tempo massimo. Siamo realisti: l’Italia avrebbe bisogno di fare moltissime riforme radicali (molto più radicali da quelle presentate da FARE in campagna elettorale) in tempi molto brevi per avere la speranza, non certo la certezza, di cavarsela e ripartire… Il sistema di suffragio universale e l’insieme delle regole politiche e il contesto socio-economico italiano… semplicemente non consentiranno questi cambiamenti!
    La gente non ha ancora capito bene che tutto il sistema deve essere rivoltato come un calzino per adeguarsi al nuovo contesto della globalizzazione, nuove tecnologie, moneta forte e cambio fisso ecc… Non solo l’Italiano medio queste cose non le capisce ma nemmeno tante persone istruite… ergo chi le propone non verrà mai votato! La gente in questi contesta premia i populisti alla Grillo o semplicemente non vota… E anche se venisse votato oppure nel caso in cui si formi un governo tecnico vero (non come quello ridicolo di Monti!) che implementi queste riforme i risultati non solo nel breve ma anche nel medio periodo sarebbero negativi… Ci vorrebbero anni perchè queste riforme durissime diano finalmente i loro frutti e la gente non lo capirebbe! Nel Regno Unito stanno iniziando adesso a funzionare le dure riforme di Cameron e Osborne ma si partiva da un contesto ben diverso, la gente ha un altro tipo di mentalità e a noi servirebbero misure molto ma molto più dure di quelle…. e persino la se si votasse oggi Cameron andrebbe purtroppo a casa. Non lo capirebbero nemmeno coloro che in prospettiva ne beneficierebbero maggiormente cioè i giovani…. L’Italia è un po come quelle aziende superdisfunzionali che forse si potrebbero anche aggiustare, ma che hanno un meccanismo di governance che impedisce ad investitori esterni di comandare realmente (tipo banche popolari…) quindi la ristrutturazione (riforme) non si faranno mai… Il suffragio universale (l’equivalente del voto capitario) impedisce questi necessari aggiustamenti!
    L’unico scenario realistico in questo contesto è un’inarrestabile declino ed impoverimento che penalizzerà soprattutto le forze più produttive che quindi emigreranno sempre più all’estero e in questo modo ridurranno ulteriormente la spinta interna alle riforme.. il tutto spalmato su più anni permettendo ai nostri creditori stranieri di recuperare il più possibile (cosa giustissima! anche se qualcuno ha il coraggio di accusarli per questo a cominciare dalla Germania). Per me siamo fuori tempo massimo: in teoria forse si potrebbe anche salvare qualcosa ma il contesto socio-economico, politico ecc.. non lo permetterà! Bisogna smetterla di pensare a come salvare l’Italia e iniziare a pensare a salvare se stessi e l’unico modo è emigrare il prima possibile! Tutte le tue analisi Oscar sono interessanti e meritorie ma in questo contesto sono totalmente inutili! avrebbero senso in un paese normale ma non qui da noi! Lo avranno quando ci sarà il fallimento o ristrutturazione del debito e allora le vecchie forze non potendo più comprare il consenso si sfalderanno e magari la gente comincierà a mettere in discussione le sue teorie economiche, le stesse che la casta gli propina tramite i media.. per adesso è ancora troppo presto! Ci vorrà ancora qualche anno di crisi e di forte riduzione di redditi e patrimoni per aprire gli occhi a tante persone….
    2. A parte l’immobilismo italiano a me sembra che anche i paesi emergenti stiano migliorando molto la loro competitività! Per esempio in Cina la qualità dell’istruzione è altissima…. Questi paesi per me sono molto più vicini a noi di quanto la gente creda. E soprattutto hanno un sistema di governance che consente rapidi aggiustamenti.

  8. roberto

    Egregio,
    niente da aggiungere, se non dire che è da ringraziare l’azienda che tenta almeno di recuperare il recuperabile invece di chiudere e basta.
    Quando accadono certi fatti chi di dovere dovrebbe correre a capire ( è utopistico pernsare che si muovano prima sui fatti) che cosa possono fare subito per trattenere le aziende in Italia. A partire dalla riduzione del costo lavoro fino al costo energetico etc., i parametri sono vari.
    Saluti
    RG

  9. adriano

    Fa piacere apprendere che il problema è il suffragio universale.Lo diceva anche la democrazia coi baffi.Auguri a chi ha bisogno degli schiavi per oliare gli ingranaggi e far quadrare i conti.Quando e se ci sarà da scegliere io sarò con Spartucus.

  10. Bruno

    C’è un passaggio chiave nell’articolo peraltro pertinente e puntuale nelle sue considerazioni ma non esaustivo in quanto tralascia molti aspetti della questione che affronta. Il passaggio è “Dovrebbero essere le classi dirigenti di un Paese, politica e media, imprese e sindacati, a capire che invece esiste un modo per difendere impresa e lavoro nei Paesi a più alto costo” . Il fatto è che queste non sono affatto le classi dirigenti di questo Paese! La politica in primis non dirige ma si adegua ed anzi appartiene per molta parte a quel blocco sociale costituito da tutto il settore pubblico , nelle sue articolazioni di Enti, Istituzioni, Caste, che di fatto divora tasse e restituisce molto poco in proporzione a quanto divora: un metabolismo singolare che non prevede alcun controllo realmente terzo ed obiettivo ma solo un autocontrollo enunciato i cui risultati sono ben sotto gli occhi di chi vuol vedere: un costo complessivo insostenibile, un approcio autoassolutorio alla cui base c’è la certezza di essere una variabile indipendente dalla crisi! Vista questa certezza solo un drastico ridimensionamento in termini di costi, organici, aumento di produttività e messa a punto di sistemi terzi di controllo potrebbe portare ad un salutare ripensamento di questo blocco . E giusto la politica, in quanto rappresentante dei cittadini e in particolare di coloro che producono ricchezza, dovrebbe farlo se non fosse parte di esso, ahimè. I sindacati non sono “altro” da questo, con l’aggravante che ingannano una parte dei loro rappresentati come quelli di Elettrolux per restare nel caso e come moltissimi altri. A costoro dicono che è ingiusto tagliare lo stipendio per salvare il posto di lavoro, questo dicono per non dire loro che in verità bisognerebbe tagliare il costo del settore pubblico (e il loro stesso) per ridurre la pressione fiscale sul lavoro e quindi anche quel costo che mette a repentaglio la retribuzione dei lavoratori della Elettrolux e simili e in molti casi anche il loro posto di lavoro. I media? Il livello di compromissione appare molto elevato e forse totale, pochi casi che non fanno primavera danno informazioni ,moltissimi fanno manipolazione per fini non dichiarati. L’impresa infine si sente squittire e non se ne sente la voce, forse non la ha, forse non sa che dire, forse ha una strategia che non comprende nei suoi interessi questo Paese. Restano, non citati, le piccole imprese familiari, i produttori di qualcosa dall’artigiano all’agricoltore che con assetti pressochè familiari resistono in silenzio e col timore di essere travolti prima o poi… Come si difende il lavoro in Paesi ad alti costi? Forse davvero l’unica soluzione sarebbe cambiare ” la testa”, ognuno per la propria parte.

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