19
Dic
2013

Job Act: se Renzi ci prova davvero da liberista non mi soddisferà ma sarà comunque positivo

Riguarda il lavoro, uno dei punti qualificanti del “contratto di governo” al quale il neosegretario del Pd Matteo Renzi subordina il sostegno alla prosecuzione dell’esecutivo Letta e della legislatura. Testi e proposte dettagliate del cosiddetto Job Act ancora non ci sono, la squadra di Renzi ci sta lavorando. Ma è già possibile cercare di capire, basandosi su quanto il leader del Pd ha finora detto. Anche perché in questi anni di proposte e tentativi ce ne sono stati eccome. E poiché nulla nasce dal nulla nelle cose umane, riferimenti concreti si possono fare eccome.

Sin qui, il Job Act sembra mirare a due pilastri essenziali. Il primo è quello di un intervento semplificatore delle – troppe – leggi vigenti in materia di mercato del lavoro. Il secondo è un intervento volto a rispondere all’emergenza acuita da questi anni di crisi, la disoccupazione.

Sul primo terreno, è di solo poche settimane fa l’iniziativa congiunta di due tra i più noti esperti di diritto del lavoro, e ciò che è più apprezzabile è che abbiano opinioni diverse, visto che si tratta di Piero Ichino da una parte, e dall’altra di Michele Tiraboschi, che è stato il punto di riferimento del ministro Sacconi. Entrambi hanno due proposte strutturate, da una parte il Codice semplificato del lavoro predisposto da Ichino, con due disegni di legge depositati: uno sui rapporti individuali e uno sui rapporti sindacali. Dall’altra lo Statuto dei Lavori elaborato da Tiraboschi e Marco Biagi tra il 1997 e il 1998, base per il Testo Unico del Lavoro predisposto nel 2011. L’obiettivo che hanno dichiarato insieme è di lavorare insieme, per una proposta congiunta.

E’ concretamente possibile, ridurre a una settantina di articoli le norme di emanazione nazionale sul lavoro, rispetto alle 35 diverse leggi attuali sulla sola Cassa Integrazione, o alle decine di pagine in materia di apprendistato come di ogni rapporto a tempo parziale. La complessità della normativa italiana sul lavoro fa felici gli esperti dei sindacati e delle associazioni d’impresa, i giuslavoristi e i consulenti. Ma respinge le imprese estere, ed è onerosa per gli adempimenti e interpretazioni richieste a qualunque impresa italiana, a cominciare dalle più microscopiche.

Tuttavia si pone un problema. In passato la Cgil si è sempre detta contraria. E allo stesso modo si sono espressi tanti esponenti del Pd, come Cesare Damiano. In realtà questo è il problema politico di fondo, per il Job Act renziano. Non è un caso che il neosegretario ripeta da sempre che a interessargli è la nuova proposta del Pd, non quella della Cgil che fa un altro mestiere. E’ una posizione netta che va apprezzata, visto che dalla vecchia Cgil cinghia di trasmissione del Pci si è passati, negli anni, al partito cinghia di trasmissione del sindacato. In maniera sempre più netta da quando la Cgil sconfisse D’Alema al congresso del Pds nel febbraio 1997, quando era D’Alema ad attaccare Cofferati in nome della flessibilità.

Questo atteggiamento sarà ancor più necessario a Renzi sul secondo pilastro, l’intervento sull’occupabilità. Su questo, è davvero azzardato parlare senza testi. Ma diversi renziani hanno nel tempo fatto intendere che si tratterebbe di riprendere e modificare l’idea di “contratto unico”, a tutele crescenti nel tempo. L’idea del contratto unico è anch’essa di Pietro Ichino, il caposaldo della sua flexsecurity. Mira a sostituire all’attuale rigido modello, basato su articolo 18 in materia di licenziabilità e al regime Cig (estesasi nel tempo di crisi: ordinaria, straordinaria e in deroga), un sistema diverso in cui le tutele giudiziali restano solo contro i licenziamenti discriminatori. Ma per tutto il resto, man mano che il lavoratore progredisce nel suo rapporto di anzianità, sale per l’impresa un doppio costo certo: quello del numero di mensilità da pagargli come indennità di fine rapporto, insieme alla copertura triennale a percentuali decrescenti – dal 90 al 70% del suo salario – come indennità di ricollocazione. E’ una proposta che abbatte il costo delle imprese, rispetto agli oneri contributivi fissi del sistema Cig, e che presuppone una profonda riforma del sistema del collocamento, oggi totalmente inefficiente.

Il difetto di questa impostazione è che riguarderebbe solo i neo assunti, mentre per i già occupati resterebbe in vigore il precedente sistema. E dunque nel mercato del lavoro – come avviene nel sistema previdenziale, tra sistema retributivo e contributivo – per decenni andremmo avanti con un’asimmetria profonda di sistemi e tutele.

Per dei liberali schietti, come il sottoscritto, sarebbe assai meglio abbracciare questo sistema per tutti, esattamente come sarebbe stato meglio applicare il sistema previdenziale contributivo per tutti e pro rata, sin dalla riforma Dini. Semplificando il più possibile i contratti di lavoro, limitandoli alla sola parte normativa delle garanzie, e lasciando tutto il resto alla contrattazione il più possibile decentrata, aziendale e di produttività. Il che significherebbe, per il sindacato, trasformarsi da una rappresentanza storica delle garanzie a una delle opportunità per il futuro. Una vera rivoluzione culturale.

Ma è inutile illudersi. Se guardiamo alle reazioni che la proposta ha sin qui suscitato, siamo ben lungi da critiche come quelle che avete appena letto. Prevalgono tutt’altri toni. La destra ha sin qui preferito replicare che non c’è bisogno della flexsecurity, perché il contratto d’inserimento dovrebbe essere l’apprendistato. Errore: con la riforma Fornero l’abbiamo – l’hanno – appesantito di oneri e gravami, in nome della guerra ideologica alle imprese che vi ricorrevano – dicevano Pd e Cgil – per risparmiare solo sui contributi, senza fare formazione vera. Quanto alla parte largamente maggioritaria della Cgil e lasciamo perdere la Fiom , il solo accennare all’articolo 18 provoca reazioni feroci.

Ora noi non sappiamo ancora quale tutela crescente nel tempo abbia in mente Renzi, per elevare l’occupabilità e il numero dei neoassunti. Ma una cosa è sicura. Pur coi difetti di un’asimmetria pesante tra già occupati e nuovi, tra il rompere un muro ideologico e alzare gli incentivi ad assumere subito, e lasciarlo in piedi con più disoccupati, è da preferire un segretario del Pd che indichi con coraggio la prima strada. Anche se non è la migliore possibile, un pezzo di bene è da preferire al massimo del male, in un Paese arretrato come il nostro.

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8 Responses

  1. Alberto

    Complimenti Sig. Giannino, bell’articolo. Sembra che dobbiamo proprio provare Renzi a breve. Oggi confindustria ha attaccato Letta, di solito sono prudenti. Vedremo cosa ci aspetta. Buon Natale a Lei e i suoi lettori.

  2. luca

    Non posso credere che Giannino, il quale si dichiara liberista (o addirittura hayekiano) appoggi la proposta socialdemocratica di Ichino (più a sinistra di Obama)

  3. Pugacev

    Tutto questo giro di parole per dire che per, immaginificamente, “creare” più lavoro si vuole molto concretamente sfornare qualche altro milione di disoccupati a vita e schiavetti ultraprecari sotto ricatto altrettanto a vita da 12 ore al giorno per 400 euro al mese, senza ferie nè pensione. E non occorrono nè teorie nè ragionamenti per provarlo: la prova è la dura realtà che ci circonda e che stiamo subendo da vent’anni. Mi correggo: che ALCUNI, sempre i medesimi, subiscono.
    Ah dimenticavo: i suddetti futuri ulteriori morituri schiavi serviranno a mantenere tranquillamente e lautamente i soliti costituzionalmente protetti milioni di clientes di vario grado (compresi gli economisti & co. …) col posto garantito nei a norma di legge, non licenziabili nè trasferibili nè riconvertibili, intoccabili, con ferie magari a mesi, senza verifiche di produttività ed efficienza (e magari nemmeno di presenza sul posto di “lavoro”) nè responsabilità alcuna sul proprio operato.

  4. adriano

    Oggi niente articolo 18 per i nei.Domani sì.A giorni alterni è meglio.L’offerta politica è più completa.Come per le targhe alterne nello smog.Tanto siamo abituati alla nebbia.Anche a quella nei cervelli.Per il resto tutte belle teorie,utili per le medaglie e per la continuità.C’è un aspetto che viene ignorato.I due mondi del lavoro.Chi ha raggiunto il socialismo e chi no.Troppo facile la retorica della guerra fra poveri.No,questa è una guerra fra furbi con le carte truccate.Faccio quindi una proposta.L’impiego pubblico sia riservato agli over 50.Inversione del requisito di età.In questo caso si può lavorare anche fino a 70 e oltre,per la gioia degli amanti dell’abolizione delle odiate pensioni.Comunque venti anni di contribuzione comoda e sicura per tutti.Per il resto lasciamo tutto all’amato mercato.Non c’è più il codice civile che regola i contratti fra le parti?Basta e avanza per assicurare la confusione.Dato che alla fine tutti saremo garantiti da mamma stato sperimentiamo con chi dovrebbe avere la forza per farlo l’odiata jungla della libertà.Il nuovo che avanza non dice che bisogna cambiare?

  5. Spartacus

    Articolo 18 x tutti e gettare alle ortiche 20 anni di fallimentari politiche liberiste. Questa è la vera riforma da implementare.

  6. Mauro

    Siamo messi proprio male. Confidiamo dunque nel PD per una riforma liberale del mercato del lavoro? Quello che ci serve è un insieme il più possibile succinto di regole chiare e di facile applicazione, che non puniscano chi assume e chi lavora. Ancora una volta pare che la proposta riservi minori tutele alle nuove generazioni per non intaccare i “diritti acquisiti”. Bel modo di guardare al futuro.

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