28
Lug
2015

Equo Canone: una vecchia legge contro la più banale logica del libero scambio—di Giovanni Caccavello

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Giovanni Caccavello.

Il 27 Luglio 1978, l’allora «IV Governo Andreotti» approvava la Legge sull’Equo Canone (Legge 27/7/1978 N°392) al fine di disciplinare – tra gli altri – i contratti di locazione ad uso non abitativo.
Con l’introduzione di questa legge, il Governo regolamentava il rapporto tra il locatore ed il conduttore, bloccando la libera contrattazione tra le parti.

Oggi, a 37 anni di distanza dall’introduzione, dopo la crisi dell’edilizia degli anni ’80, un trend di stallo pluri-decennale nel settore delle locazioni private, una forte riduzione degli investimenti in costruzioni, un notevole incremento dei prezzi degli affitti e numerosi richiami alla liberalizzazione del settore delle locazioni ad uso commerciale, i contratti degli immobili urbani adibiti ad uso diverso rispetto a quello abitativo continuano ad essere regolamentati dalla «Legge sull’Equo Canone» e l’attuale Governo Renzi (in linea con il «modus operandi» assunto dagli esecutivi precedenti), ha semplicemente rimandato, per l’ennesima volta, l’abrogazione di questo bizzarro, vecchio e limitante ordinamento.

Nonostante, infatti, il Governo abbia messo in evidenza in modo chiaro la rigidità dell’ormai superato ordinamento della Legge sull’Equo Canone in occasione dell’approvazione del decreto-legge «Sblocca Italia» del Settembre 2014, esso ha successivamente limitato la facoltà di liberarsi dai vincoli imposti da siffatta Legge ai soli commercianti ed artigiani in grado di pattuire un canone annuo superiore ai 250.000 euro.

Così facendo, il Governo è riuscito ad evitare la vera liberalizzazione del settore delle locazioni ad uso non abitativo, scontentando di fatto la maggior parte dei piccoli-medi commercianti ed artigiani, ormai incapaci di fare fronte al pesantissimo carico fiscale sugli immobili, e facendo finta di non capire che, come riporta Confedilizia nel documento consegnato alle Commissioni Finanze ed Attività produttive della Camera dei Deputati: «La prospettiva che si presenta, qualora non si intervenga né in sede civilistica né in sede fiscale [sulla Legge sull’Equo Canone], è inesorabile: aumento costante del numero di negozi sfitti, progressivo decadimento del tessuto urbano, perdita di attività economiche e di posti di lavoro».

Attualmente il mercato immobiliare non abitativo risulta essere fortemente regolamentato e locatori e conduttori sono parti deboli rispetto al fisco. Secondo quanto riportato dalla Legge sull’Equo Canone del 1978 (e modificata nel 2007 – Legge 8/2/2007 N°9), se la locazione o sublocazione immobiliare è adibita ad un attività commerciale, artigianale, di interesse turistico o teatrale, il contratto stipulato tra le parti non può essere inferiore ai sei anni, mentre se essa è adibita ad attività alberghiera, il contratto minimo deve essere pari a nove anni. Oltre a questo primo ostacolo, ed al conseguente rinnovo per ulteriori sei/nove anni, stando alla Legge, locatore e conduttore non possono stabilire liberamente l’aggiornamento annuale del canone. Essi devono attendere le disposizioni ISTAT, procedere alla rivalutazione e, nel caso, optare per una variazione del canone fino ad un massimo non superiore al 75 per cento di quello stabilito dall’ISTAT.

In altre parole, locatori e conduttori hanno solo una parvenza di libertà in tema di contrattazione e possono solo – eventualmente e contro la logica più banale del rapporto di scambio – stabilire un prezzo più alto rispetto a quello previsto per legge.
Abrogare la «Legge sull’Equo Canone», e quindi rendere «liberi» anche tutti quei locatori e conduttori in grado di pattuire un canone annuo inferiore all’attuale soglia di 250.000 euro, sarebbe una prima piccola grande vittoria per la concorrenza. La recente decisione del Governo di togliere l’esclusiva sull’autenticazione degli atti per il passaggio di proprietà al di sotto del 100.000 euro ai notai e di aprire anche agli avvocati è, seppur troppo timido, un primo passo nella direzione giusta.

Visto però il trend dell’ultimo decennio del mercato immobiliare non residenziale che mostra una forte contrazione dei volumi di compravendita in tutto il territorio nazionale ed in tutti i capoluoghi regionali, il Governo dovrebbe cercare di facilitare la contrattazione e la regolamentazione di tale settore, partendo anche dalla liberalizzazione del settore immobiliare ad uso non abitativo e quindi garantendo la possibilità di concordare contratti a più breve durata e senza alcuna base di prezzo sul canone di locazione.

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1 Response

  1. Gianni

    A dire la verità in Italia sarebbe inutile la liberalizzazione del mercato immobiliare. Basta guardare il mercato degli affitti residenziali a Roma: so purtroppo, per esperienza personale mia e di tanti colleghi e conoscenti, che dietro il canone concordato da libero contratto c’è quasi sempre una corposa parte in nero di pigione. Il caso peggiore è stato quello di un padrone di casa (orefice con dichiarazione di 8000 euro/anno di imponibile…) che a fronte di un contratto di 500 euro/mese “per uso transitorio di sei mesi”, ogni sei mesi passava a riscuotere in contanti 6000 euro, oltre al bonifico mensile di 500 euro. Infatti il canone reale era di 1500 euro/mese, di cui solo 500 alla luce del sole. Altri si comportavano un po’ diversamente, ma la sostanza non cambiava, cambiava solo l’appetito.

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