30
Lug
2015

Stessa spiaggia, stesso mare… stesso concessionario?

C’è una regola universale nella storia della legislazione: le misure controverse, quei piccoli dettagli che assicurano rendite e prebende a questo o a quel gruppo di pressione, vengono approvate nottetempo, oppure d’estate. Ecco che allora, con perfetta coerenza, mentre l’Italia sbadiglia sotto l’ombrellone, tra un bagno e un ghiacciolo, poco più in là il gestore dello stabilimento ride sotto i baffi.

Come riporta Public Policy, un emendamento approvato in commissione Bilancio al Senato ha appena prorogato “le utilizzazioni delle aree di demanio marittimo per finalità diverse da quelle di cantieristica navale, pesca e acquacoltura, in essere al 31 dicembre 2013″. Una formula – come spesso accade – piuttosto oscura, ma che nasconde tra le sue pieghe un tema discusso fino alla noia, e che però resta più vivo che mai: quello delle concessioni balneari.

È una storia, dicevamo, che ha radici lontane. Il codice civile stabilisce che le spiagge appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico. Di conseguenza, per essere utilizzate a fini economici, gli stabilimenti devono essere assegnati tramite concessione demaniale. Cioè – mi perdoneranno i puristi – non possono essere acquistate da privati, ma solamente “prese in affitto”. Peccato che in Italia, per decenni, si sia andati avanti a rinnovare automaticamente le concessioni ai gestori, garantendo loro una rendita di posizione praticamente immutabile e così discriminando tutti coloro che avessero voluto competere con gli incumbent per la gestione dello stabilimento.

Una privatizzazione di fatto che non ha favorito i consumatori né lo Stato, ma viceversa ha soltanto accordato palesi rendite di posizione ai concessionari, impermeabili a qualunque procedura concorsuale competitiva che potesse far aumentare le entrate per lo Stato e migliorare i servizi per i cittadini, tramite migliorie e investimenti. Tale pratica non è solo antieconomica di per sé, ma è anche costata all’Italia una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea per contrarietà a quanto stabilito dalla cosiddetta Direttiva Bolkestein. Anche la Corte costituzionale, peraltro, ha dichiarato in più occasioni illegittime le norme regionali che prevedevano il diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione, in quanto contrastanti con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza.

La data di scadenza delle concessioni balneari era stata stabilita al 31 dicembre 2015. A quanto pare però, come ha riassunto perfettamente già nel 2012 Serena Sileoni, in un paper per l’Istituto Bruno Leoni, anche per quest’anno gli italiani non cambieranno, godendosi stessa spiaggia, stesso mare… E stesso concessionario.

Twitter: @glmannheimer

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Questo articolo è stato pubblicato originariamente su www.ilgiornale.it.

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