17
Mag
2021

Dalla lettera di Draghi del 2011 al PNRR di oggi, qualcosa è cambiato?

Il procedere a zig zag della storia di una nazione ha messo per ben due volte in dieci anni il proprio futuro prossimo nelle mani di Mario Draghi: la prima volta – il 5 agosto del 2011 – Draghi sottoscrisse, insieme con Jean-Claude, una lettera riservata all’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in cui erano contenute prescrizioni molto severe a cui il governo avrebbe dovuto attenersi per riconquistare quella fiducia sui mercati internazionali che era venuta meno e che aveva spinto lo spread e i tassi di interessi in prossimità del limite di guardia. Come è noto, in quel periodo era in corso tra i due banchieri un avvicendamento ai vertici della BCE e ciò rendeva ancora più autorevole la loro presa di posizione, al punto di suonare il de profundis per quel governo e aprire la strada all’esecutivo dei tecnici presieduto da Mario Monti.

Dieci anni dopo Mario Draghi – ormai uscito di scena per quanto riguarda i ruoli istituzionali ma onusto di gloria e di prestigio per aver salvato l’euro e la Ue in un momento di grande difficoltà – viene riportato dal presidente Sergio Mattarella, sulla scena internazionale, con il compito di costituire una maggioranza ed un governo in grado di affrontare le grandi sfide della pandemia, dei suoi effetti sull’economia e l’occupazione. Ed è lui stavolta ad inviare a Bruxelles un dossier (il PNRR) ricco di impegni per dare attuazione a quelle riforme senza le quali non ci sarà né resilienza né ripresa e quindi neppure le risorse promesse.

Strada facendo, infatti, ci siamo accorti – non capita sovente – che le riforme sono il fine, le risorse il mezzo. Ma in questi dieci anni il Paese “si è messo avanti con il lavoro”? E’ stato risolto qualche problema tra quelli indicati nel 2011 oppure le cose sono rimaste nelle condizioni di allora se non addirittura peggiorate, tanto che Draghi è stato costretto a ripetere vecchi concetti ed antiche speranze che in dieci anni non sono state risolte? Per scoprirlo c’è un solo modo: confrontare i singoli punti della lettera del 2011con quelli enunciati nel PNRR.

Lettera del 5 agosto 2011
Vediamo l’esigenza di misure significative per accrescere il potenziale di crescita. Alcune decisioni recenti prese dal Governo si muovono in questa direzione; altre misure sono in discussione con le parti sociali. Tuttavia, occorre fare di più ed è cruciale muovere in questa direzione con decisione. Le sfide principali sono l’aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro.

PNRR 2021
Prevista nell’ordinamento nazionale dal 2009 (con legge n. 99/2009), la legge annuale per il mercato e la concorrenza è stata in concreto adottata solo nel 2017 (legge n. 124/2017). La sua cadenza annuale va assicurata, essendo essenziale per rivedere in via continuativa lo stato della legislazione al fine di verificare se permangano vincoli normativi al gioco competitivo e all’efficiente funzionamento dei mercati, tenendo conto del quadro socioeconomico. Una prima serie di misure in materia concorrenziale sarà prevista dalla legge per il mercato e la concorrenza per il 2021, mentre altre verranno considerate nelle leggi annuali per gli anni successivi, quando lo consentirà il superamento delle attuali e critiche condizioni socio-economiche, dovute anche alla pandemia. (…..) Una parte importante del disegno di legge sarà diretta a promuovere dinamiche competitive finalizzate ad assicurare anche la protezione di diritti e interessi non economici dei cittadini, con particolare riguardo ai servizi pubblici, alla sanità e all’ambiente.

Lettera del 5 agosto 2011
È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.

PNRR 2021
Una parte importante del disegno di legge (per il mercato e la concorrenza, ndr) sarà diretta a promuovere dinamiche competitive finalizzate ad assicurare anche la protezione di diritti e interessi non economici dei cittadini, con particolare riguardo ai servizi pubblici, alla sanità e all’ambiente (….) In materia di servizi pubblici, soprattutto locali, occorre promuovere un intervento di razionalizzazione della normativa, anche prevedendo l’approvazione di un testo unico, che in primo luogo chiarisca il concetto di servizio pubblico e che assicuri – anche nel settore del trasporto pubblico locale – un ricorso più responsabile da parte delle amministrazioni al meccanismo dell’in-house providing.

Lettera del 5 agosto 2011
C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.

PNRR 2021
Il Piano non si occupa di politica contrattuale e salariale. Ciò non significa che il tema non esista concretamente nella realtà soprattutto a fronte dell’esigenza di un notevole recupero di produttività rispetto agli altri Paesi. Questo gap è sottolineato nella presentazione di Mario Draghi. “Dietro la difficoltà dell’economia italiana di tenere il passo con gli altri paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali, c’è l’andamento della produttività, molto più lento in Italia che nel resto d’Europa. Dal 1999 al 2019, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2 per cento, mentre in Francia e Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3 per cento. La produttività totale dei fattori, un indicatore che misura il grado di efficienza complessivo di un’economia – nota il presidente del Consiglio – è diminuita del 6,2 per cento tra il 2001 e il 2019, a fronte di un generale aumento a livello europeo”.

La contrattazione di prossimità, come segnalava la lettera dei due presidenti, è lo strumento più adeguato per realizzare lo scambio tra retribuzione e incremento della quantità e qualità del lavoro. Ma è in atto una restaurazione della contrattazione nazionale di categoria, all’insegna di una vera e propria revisione strategica da parte dei sindacati. L’abiura è giunta esplicitamente da parte delle federazioni dei metalmeccanici che nella piattaforma rivendicativa a base del rinnovo contrattuale 2020-2022 avevano in pratica sconfessato la svolta del 2016: “Riconfermiamo – stava scritto – il modello scaturito dal Ccnl del 26 novembre 2016 che ha prodotto la riconferma dei due livelli di contrattazione e numerose innovazioni contrattuali per i lavoratori, ma l’esigibilità di questo modello, introdotto in via sperimentale, ha avuto un’efficacia molto al di sotto delle aspettative nella diffusione della contrattazione decentrata e con essa la capacità di distribuire profitti e produttività”.

E’ poi opportuno riflettere su di un altro aspetto. Nel dibattito aperto sul salario orario minimo (in auge nel 2019, poi accantonato durante la fase più acuta della pandemia) è venuta avanti l’ipotesi di affidare questa funzione di tutele uniformi alla contrattazione collettiva, riconoscendole efficacia erga omnes attraverso percorsi che consentano di evitare il pedaggio dell’articolo 39 Cost. Va da sé che in questo modo si realizzerebbe un solo risultato: riportare il contratto collettivo di categoria (ereditato dalla legislazione del regime corporativo) al centro del modello delle relazioni industriali. In conclusione, non solo non vi è stato uno sviluppo della contrattazione collettiva nel senso indicato dalla lettera dei Presidenti, ma è in corso una netta retromarcia.

Lettera del 5 agosto 2011
Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.

PNRR 2021
Anche la materia dei licenziamenti non è oggetto del Piano. A determinare (in modo giustificato?) un contesto non corrispondente alle indicazioni del 2011 ha provveduto, dopo la spinta innovativa pervenuta dal jobs act (2014-2015) la legislazione d’emergenza con il blocco dei licenziamenti economici individuali e per riduzione di personale almeno fino a giugno in termini generali e l’erogazione della cig da covid-19. Sono presenti invece molti impegni per quanto riguarda le politiche attive del lavoro secondo un programma molto articolato, sulla base della seguente allocazione di risorse in miliardi di euro: Politiche attive del lavoro e sostegno all’occupazione, 6,01 così suddivise: Politiche attive del lavoro e formazione, 4,40; Potenziamento dei Centri per l’Impiego, 0,60. E’ in preparazione una riforma degli ammortizzatori sociali di cui non si comprende il significato essendo questa materia regolata puntualmente dal jobs act e dai decreti attuativi. Tira una brutta aria sul contratto di tutela crescenti da parte della giurisprudenza costituzionale, con riferimento particolare alla sentenza che ha fatto saltare la certezza dei costi del licenziamento ingiustificato in relazione all’anzianità di servizio.

Lettera del 5 agosto 2011
Iniziano col punto 2 una serie di prescrizioni che appartengono ad una fase pre-covid, e relative all’adempimento di regole rivolte ad ‘’assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche’’ ora sospese e completamente inapplicate. L’imperativo del momento è uno solo: saper distinguere tra il debito “buono” e quello “cattivo”. Un breve cenno merita quell’indicazione (“sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio”) che ha portato il Parlamento italiano ad inserire in Costituzione, a modifica dell’articolo 81 ed altri, il fiscal compact, ora considerato, dai post-keynesiani de noantri, un grave errore a cui rimediare (perché a loro avviso il pareggio di bilancio non garantisce la crescita). Una sottolineatura particolare meritano i suggerimenti riguardanti la pubblica amministrazione e il pubblico impiego, nonché i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni: “garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese”; “il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi” (sic !); “andrebbero messi sotto stretto controllo l’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali” e “rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali”.

Le pensioni
Arriviamo così quasi per inerzia alla madre di tutte le riforme e controriforme: le pensioni. Nella lettera del 5 agosto i presidenti avevano colto nel segno e colpito al cuore il povero governo Berlusconi che in materia era immobilizzato dall’indisponibilità della Lega. “È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012”.

A parte la questione del trattamento di vecchiaia delle donne che non incontrò particolari problemi, sull’anzianità si è ripetuta la solita… In questa direzione si era mossa la riforma Fornero nel 2011, ma nella XVIII legislatura l’introduzione di quota 100 e delle misure affini sono tornate a collocare il trattamento di anzianità al centro del sistema, sia pure attraverso misure sperimentali e temporanee. I sindacati pretendono di fare di più: perpetuare questa anomalia senza darsi minimamente pensiero dei trend demografici attesi che, coniugando denatalità e invecchiamento, creeranno problemi anche sul mercato del lavoro, nel rapporto tra domanda ed offerta, quest’ultima falcidiata appunto dalla crescente denatalità. La parola d’ordine è: superare la riforma Fornero.

Ad osservare bene le proposte dei sindacati più che un superamento si tratterebbe di un arretramento di molti anni e di tante misure di correzione virtuosa del sistema. Peraltro la riforma del 2011 ha prodotto ben pochi danni, perché a dire la verità si è sempre trovato il modo di rinviarne l’applicazione. Basta pensare – come ha scritto Alberto Brambilla presidente di Itinerari previdenziali – che tra salvaguardie per esodati (ben 9) Quota 100, anticipi vari per precoci, Ape sociale e opzione donna, escludendo le cosiddette anticipate ( quelle con 42 anni e 10 mesi, un anno in meno per le donne ovvero i requisiti ordinari ancorché bloccati fino a tutto il 2026) gli scampati alla legge Fornero sono stati 604mila a fine 2019 a cui si sono aggiunti altri 170 mila nel 2020; oltre 770 in 9 anni, 85 mila l’anno su un totale di 16 milioni di pensionati. Il governo per ora tace. Nel PNRR il tema era affrontato con una laconica frasetta espunta – come fosse un refuso – nella versione definitiva. Ma la Ue sta a guardare e sa che – a bocce ferme – alla scadenza di quota 100 le pensioni rientrerebbero – benché solo in parte – sui binari della riforma del 2011. Perciò da Bruxelles è rivolto un invito a Draghi: “qui si parrà la tua nobilitate”. Il presidente ne è consapevole.

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