15
Giu
2016

Negazionismo: la via breve e illiberale della pena

Abbiamo impiegato secoli per affrancare la libertà di pensiero dalla censura e dall’Inquisizione. Sorridiamo oggi all’idea che fino a pochi decenni fa ci fosse un Indice dei libri proibiti. Abbiamo esultato all’abrogazione dei reati di opinione come alla fine degli autoritarismi. Abbiamo combattuto perché il giudizio sulla bontà delle opinioni non avvenisse nei tribunali, ma nei giornali, nei convegni, nelle aule di studio, nei mezzi di comunicazione. Abbiamo imparato dalla storia che “écrasez l’infame” può essere solo un’esortazione nel libero mercato delle idee e non il dispositivo di una sentenza. Le polemiche sul Mein Kampf di questi giorni ne sono esempio.

Eppure oggi in Europa si contano leggi penali in Austria, in Belgio, Francia, Repubblica Ceca, Germania, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svizzera che puniscono non solo il negazionismo, ma anche ipotesi più astratte come negare i crimini di guerra o persino offendere la dignità umana. La stessa Unione europea chiede che gli Stati membri puniscano l’incitamento all’odio e alla violenza e la minimizzazione o la giustificazione dei crimini contro l’umanità. E l’Italia si è appena accodata con una legge, approvata definitivamente la scorsa settimana, che introduce la reclusione da due a sei anni per chi neghi la Shoah, i crimini di genocidio, quelli contro l’umanità e infine quelli di guerra.

Negare la Shoah, o negare qualsiasi orrore simile sia stato compiuto, è un atto turpe della coscienza e dell’intelletto, più ancora che della sua manifestazione; ma vietare la manifestazione di un pensiero per quanto ripugnante è un atto di resa della democrazia e di sfiducia nella capacità degli uomini di provare a trovare liberamente e con difficoltà il pensiero meno indegno.

E’ tristemente paradossale che la stessa cultura europea che ha dato vita a pietre miliari del libero pensiero e della tolleranza – dall’Aeropagitica di Milton al Trattato sulla tolleranza di Voltaire fino alla Lettera sulla tolleranza di Locke – oggi si trovi a rinnegare se stessa e pensi di non poter avere altre armi per combattere le idee più indecenti se non il tribunale e la galera.

Senza considerare, peraltro, che l’esigenza di libertà di pensiero mal si concilia con il potere del giudice di stabilire ex imperio il confine tra negare e interpretare, o il margine oltre il quale una ricostruzione dei documenti e dei fatti storici diventa negazione o giustificazione.

Contro le infamie intellettuali una società matura combatte con le armi del ragionamento libero, non con quelle impari delle sentenze dei tribunali e del tintinnio delle manette. È un combattimento fallace, come fallace è raddrizzare il legno storto della nostra natura. Ma di certo vale la dignità umana provare a raddrizzarci esercitando il metodo della dialettica, come si fa tra adulti, piuttosto che quello della punizione, come si fa coi servi.

1 Response

  1. Denise

    A leggere l’articolo, pare che per l’autrice tutto debba essere concesso, in termini di libertà di espressione.
    Ma io sono contenta che, almeno in Italia, non sia così.
    Ora, sul negazionismo se ne può anche parlare (se un giornalista turco viene in Italia a negare il genocidio armeno possiamo processarlo? Che divertente! E pensate se arriva qualche intellettuale israeliano a negare il genocidio palestinese!!), ma quando si parla di incitazione all’odio e alla violenza, di infamare l’avversario con la macchina del fango, ecco, io penso che un limite ci debba essere.
    Non dobbiamo essere per forza relativisti all’infinito, solo perchè non è possibile trovare una formula matematica per limitare ciò che è fango e ciò che non lo è: il buon senso esiste, I nostri concittadini studiano per diciotto anni, ce la possiamo fare ad usarlo.

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