13
Set
2013

ILVA, in malora un pezzo di economia italiana. Politica imbelle e decreto Letta hanno le loro colpe

La notizia non è stata una sorpresa. Ma è scoppiata comunque come una bomba. L’ennesima, nella terremotatissima vicenda dell’ILVA di Taranto. Prima di riepilogare i fatti e il lungo braccio di ferro tra politica e magistratura sul caso ILVA, un’opinione secca. Succede quel che succede perché la politica italiana da vent’anni ha totalmente perso il bandolo di come intervenire sulle fattispecie penali e sui poteri ordinamentali della magistratura. Sappiamo tutti il perché. Ma la ferita che si è aperta negli anni sulle conseguenze di inchieste penali in materia di continuità d’impresa esiste solo in Italia. I magistrati assumono provvedimenti sulla base di una legislazione che moltiplica le fattispecie sulle quali i loro poteri cautelari sono molto estesi. E di volta in volta che se ne manifestano le conseguenze, la politica non riesce ad avere il senso della misura di dover correre ai ripari, perché significherebbe stare dalla parte dei “cattivi”. Succede anche nel caso ILVA. E così, nell’impotenza generale solcata da ondate di demagogia, si manda alla malora un pezzo intero e rilevante dell’economia italiana.
I fatti. Da oggi, il gruppo Riva ha messo in libertà circa 1.500 addetti che operano nelle 13 società riconducibili alla famiglia e oggetto del sequestro di beni e conti correnti per 916 milioni di euro operato tre giorni fa dalla Guardia di Finanza, nell’ambito dell’inchiesta tarantina per disastro ambientale. Cessano tutte le attività dell’azienda esterne al perimetro dell’ILVA, in tutta Italia. Chiudono gli stabilimenti di Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e Annone Brianza (Lecco), chiudono i servizi energetici e i trasporti aziendali. Chiudono per il sequestro di 8,1 miliardi di cui quello di tre giorni fa era una tranche, sequestro disposto il 24 maggio scorso dalla magistratura tarantina, pari al valore del disastro ambientale stabilito dai periti della Procura. Un sequestro appunto compiuto dovunque le società del gruppo offrano la possibilità ai magistrati di eseguirlo, per liquidità, immobili o cespiti. Sequestrare i saldi attivi di conto corrente significa bloccare le attività bancarie, e noi non possiamo più pagarvi, dicono i Riva a dipendenti e sindacati. Giornali e politica lo prendono come un ricatto. Invece, è un fatto.
Ed eccoci tornati a 14 mesi fa, quando i primi interventi della magistratura rischiarono di provocare non la bonifica, ma la chiusura dell’ILVA a Taranto. Con la differenza che a insorgere adesso sono non solo i dipendenti senza lavoro disseminati in tutta Italia, ma anche la politica del Nord, con Flavio Tosi e il presidente del Piemonte Cota che immediatamente alzano la voce a difesa degli impianti. In un modo che anch’esso è peculiare dell’Italia, perché rivela che la politica e anche il Nord scoprono gli effetti negativi solo quando se li ritrovano in casa.
Per dare un giudizio su ciò che avviene, purtroppo bisogna fare un passo indietro. Era il 26 luglio 2012, quando Emilio e Nicola Riva e 6 dirigenti dell’ILVA di Taranto furono arrestati. A ottobre, il governo Monti e il ministro Clini rilasciarono una nuova e più accurata Autorizzazione Integrata Ambientale, perché le emissioni e le polveri a Taranto fossero messe in regola con opportuni investimenti. Era novembre, quanto i magistrati tarantini disposero altri arresti, per Fabio Riva e il direttore dell’acciaieria. A dicembre il governo Monti intervenne con un decreto ad hoc, convertito in legge e che per paradosso si chiama legge 231 del 2012. Come 231 è il numero decreto legislativo del 2001 che estende alle persone giuridiche, cioè alle imprese, le responsabilità per i reati commessi dalle persone fisiche che vi operano, cioè lo strumento principe con cui i magistrati operano in questa vicenda.
La legge 231 del 2012 venne chiamata “salva-Ilva”, perché nasceva proprio dalla necessità di non interrompere la continuità dell’acciaeria di Taranto, per effetto dei sequestri degli impianti disposti dai magistrati. Ma i magistrati la considerarono incostituzionale. E la Corte costituzionale invece la confermò, nell’aprile 2013. A maggio, contro il parere della Procura, il Riesame dissequestrò i semilavorati e le materie prime dell’acciaeria, garantendole l’operatività, sia pure ridotta a due soli altiforni perché altrove si lavora alla bonifica. Una settimana dopo, la Procura sequestra ad Adriano ed Emilio Riva 1,2 miliardi. Due giorni dopo, i magistrati dispongono il sequestro di ben 8,1 miliardi di euro, intervenendo su tutto il perimetro delle società controllate in Italia dalla holding, non sull’acciaeria di Taranto. Questa volta non intervengono con la 231, né quella del 2001 né tanto meno quella del 2012, ma si fanno forza dell’articolo 2359 del Codice vivile sul coordinamento e il controllo delle società. E nel frattempo il governo Letta interviene il 4 giugno scorso con un altro decreto, di segno opposto rispetto a quello del governo Monti. E’ un decreto del quale si è mormorato che lo stesso Quirinale, pressato dalla magistratura, avesse dato il benestare preventivo, per un “cambio di segno” rispetto agli interventi del governo Monti e del ministro Clini, considerati troppo “filo-azienda”. Un decreto che fa stato del nuovo sequestro di 8,1 miliardi ai Riva disposto dai magistrati, e stabilisce norme di commissariamento per tutte le eventuali imprese sopra i 200 dipendenti la cui attività produttiva comporti pericoli per ambiente e salute. Il commissariamento pubblico potrà così sostituirsi agli organi di amministrazione, con contestuale sospensione dell’assemblea dei soci. E assumere su di sé, tramite un commissario, tutti i poteri e le funzioni per un massimo di ben 3 anni, senza rispondere di eventuali diseconomie a meno che non abbia agito con dolo o colpa grave. E’ sulla base di questo decreto, che conferma ed estende in maniera inusitata la sospensione dei diritti di proprietà, che il ministro Zanonato parla ora di commissariamento complessivo non più solo di Taranto – dove nel frattempo anche i nuovi manager espressi dai Riva sono stati travolti e arrestati anch’essi – ma dell’intero gruppo Riva in Italia.
Lo so che tirare le fila di tutta questa vicenda è lungo. Ma dà l’idea del punto essenziale. L’Italia è l’unico Paese avanzato ad avere forti problemi ambientali per impianti siderurgici ed energetici di vecchio tipo? No, basta conoscere la realtà di nazioni come Germania e Polonia per sapere che non è vero. Eppure, è l’unico paese avanzato in cui l’ordinamento consente che, per misure cautelari disposte dalla magistratura cioè fuori dal contraddittorio,venga profondamente intaccata la continuità aziendale, fino a farla cessare se si dispone il sequestro di liquidità e conti bancari.
Qui non si tratta di difendere i Riva, o di sottovalutare responsabilità gravi e gravissime loro contestate, che devono essere giudicate in Tribunale sul rispetto delle normative ambientali, e sulla corruzione delle stesse autorità pubbliche locali chiamate a farle rispettare. Si tratta di assumere un elementare principio di buon senso: scrivere norme precise e chiare, che separino le responsabilità penali personali, le integrino con le responsabilità delle aziende a integrare gli investimenti e a procedere alle bonifiche, rispetto invece alla messa a morte delle stesse imprese, alla perdita di lavoro, reddito e crescita.
Il gruppo Riva era il secondo europeo e l’undicesimo al mondo negli acciai, l’intera manifattura italiana se ne serviva. Dopo 14 mesi di braccio di ferro tra magistratura e politica, con quest’ultima incapace di scrivere norme diverse da quelle che “obbligano” i magistrati a colpire dovunque la legge lo consenta, siamo riusciti a mettere in ginocchio non solo il gruppo Riva e chi ci lavora, ma ad aggravare l’ntera crisi dell’acciaio italiano nel mondo, come giustamente protesta il presidente di Federacciai, Gozzi. E come se ce ne fosse bisogno, in un paese che è già in ginocchio di suo.
E tutto questo perché la politica, alla sola idea dell’impopolarità rispetto alle conseguenze dell’inquinamento tarantino su salute e sicurezza, dimentica che era lo Stato ad aver realizzato l’impianto così e ad averlo portato a fallimento. E preferisce non sfidare la protesta di chi vorrebbe, impossibilmente, che le aziende continuino a produrre nello stesso frattempo in cui vengono messe in ginocchio.
E’ una politica così, a portare a fondo l’Italia.

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6 Responses

  1. Francesco_P

    Purtroppo in Italia esistono troppi casi di accanimento giudiziario. Quello contro l’ILVA è uno dei più clamorosi. Di contro abbiamo episodi di manifesta inerzia della giustizia, come quella che ha permesso il degrado della situazione in Val di Susa fino all’esercizio impune del ricatto di stampo terroristico-mafioso nei confronti delle ditte che lavorano o che solo hanno svolto di lavori marginali per i cantieri della TAV. Eppure i NO TAV, che poi sono gli stessi che partecipano ad altre iniziative violente ed alla guerriglia urbana, sono noti alle forze dell’ordine. Purtroppo, esistendo un eccessivo permissivismo della magistratura ed una difesa complice di una parte dei media e della sinistra, le forze dell’ordine devono subire impotenti.
    Questi casi sono a mio avviso più gravi del pur evidente accanimento giudiziario contro la figura di Silvio Berlusconi. Passano in secondo piano a causa di un’insana polarizzazione su di un singolo caso, sfruttato mediaticamente per dividere (divide et impera) il Paese visceralmente.
    Occorre invece indignarsi seguendo la ragione.

  2. Gianni Fiorani

    Domandina piccola piccola: E per quali motivi un’impresa prima pubblica e poi privata non ha mai cercato di mettersi in regola con le normative ambientali europee?

    Sono anni e anni che vengono denunciati danni alla salute dei cittadini e nessuno muove un dito. Non solo la politica!

  3. Massimo

    Parole e concetti santi ma cosa possiamo fare per ovviare a questa inutile battaglia tra magistrati che vanno avanti con i paraocc senza che nessuno abbia la forza la voglia la capacità di opporsi o farli ragionare? Possibile che non riescano a capire che se uccidono la mucca non ci sarà più latte per nessuno, anche per loro. O forse per loro ci saranno sempre soldi e giustificazioni più o meno valide? AIUTO SALVATECI DALLA PIOVRA !!!!!!!!

  4. marco bruto

    Quasi mai in Italia i politici hanno pensato ai contribuenti e questo li rende impreparati a fare un qualsiasi tipo di attività che esuli dai propri interessi. Qualche pagliacciata per loro basta a garantir loro il consenso sufficiente per fare i propri interessi. Fino a quando non si denuncia questo andazzo condanniamo questo paese al declino e gli elettori all’incomprensione.
    By the way L’Italsider adempiva alle normative europee dei propri tempi e, ad esempio Riva ha smantellato i filtri dell’acciaieria di Cornigliano…troppo costosa la loro manutenzione

  5. Achille

    Caro Giannino, tutto vero sulle disastrose conseguenze della chiusura di fatto dell’ ILVA, però è pur vero che non si puó consentire uno scempio e danno alla salute pubblica quale quello causato a Taranto. Penso anche che magari non è tanto la paura di essere dalla parte del torto a fermare i politici, quanto piuttosto la paura che vengano fuori inconfessabili connivenze. Se infatti è vero che ILVA inquina è altrettanto vero che c’è chi avrebbe dovuto controllare! Appare abnorme l’azione della magistratura nei confronti dell’ intero gruppo, ma appare abnorme anche la totale incapacità dei politici, quando non la connivenza con certe pratiche e personaggi

  6. Ugo Pellegri

    Il ragionamento di Oscar Giannino è perfetto!
    In Ilalia ormai c’è una gran voglia di desindustrializzazione salvo poi lamantarci della disoccupazione e della decrescita del PIL.
    Sono anni che il problema dell’ILVA è in mano agli inquirenti ed a un GIP, assolutamente digiuni di cultura industriale che sembrano impegnati a fare la guerra ai Riva e ad ogni soluzione che preveda il miglioramento dell’ambiente ed il mantenimento della siderurgia in Italia. Sono anni che i citati signori indagano, non sarebbe ora che, per quanto riguarda gli aspetti penali, la parola passasse alla magistratura giudicante?

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