28
Dic
2009

Il prezzo del barile: l’Iran pesa più del CO2

Il 2009 si chiude con un barile del petrolio in ripresa verso gli 80 dollari, cioè segnando un 100% in più rispetto a inizio anno, ma pur sempre stellarmente lontano da quei 147 dollari che nel 2008 ne segnarono l’apogeo. La produzione mondiale OPEC, al risalire del prezzo, è cresciuta anch’essa dopo i forti tagli del 2008, sfiorando i 30 milioni di barili giorno, rispetto agli oltre 32 del momento di picco nel 2008, e ai poco più di 28 dei primi mesi 2009. Il prezzo è sostenuto, più che dal dollaro debole, dalla domanda mondiale sopra le previsioni, poiché negli ultimi sette mesi l’IEA li ha rivisti consecutivamente al rialzo, con un più 1,8 milioni di barili giorno. Ma niente fa pensare che si debbano ritoccare i 100 dollari, sempre che il regolatore USA sui mercati delle opzioni finanziarie tenga gli occhi aperti (su questo punto, mantengo un’opinione dubitativamente diversa dal nostro ottimo Carlo Stagnaro). L’Iran , però, è la vera grande incognita: più della svolta verde falita a Copemhagen, più dei catastrofisti che vedono naturalmente dietro l’angolo la fine del petrolio. Proprio al seguito di tali revisioni al rialzo della domanda, l’IEA ha pensato bene di dare un proprio contributo “di spinta” alla Conferenza sul Clima di Copenhagen, clamorosamente fallita nei suoi obiettivi ( personalmente, non sono stato né sorpreso né deluso: anzi, molto meglio così che obiettivi velleitari come quelli perseguiti dall’Ue, che comportano costi gravissimi alle imprese e pingui affari soprattutto per i tedeschi). Ma per non sembrare meno “verde e rinnovabile”, il capo economista dell’IEA, Fatih Birol, all’ennesimo rialzo delle previsioni ha dichiarato che, “al ritmo attuale della domanda come recentemente corretta, il picco della produzione di conventional oil sarà toccato nel 2020”. È una correzione allarmista fatta a mero titolo personale, perché i rapporti ufficiali IEA si limitano a indicare “intorno al 2030” il plateau della massima estrazione.

Da sempre il peak oil debate è un classico dell’allarmismo ambientalista. Ricordo a tutti il rapporto del cosiddetto Club di Roma, del 1972, secondo il quale il picco avremo dovuto già raggiungerlo più di 10 anni fa. A tali visioni si è sempre opposta l’ala più seria della ricerca energetica. Per fare un nome, il CERA – Cambridge Energy Research Assocates – autorevolissimo centro studi basato a Boston, che si è rivelato nel giusto, quando decenni fa iniziò ad affermare che la crescita del prezzo del barile avrebbe indotto ad affinare la tecnologia volta a identificare nuovi giacimenti e riserve, nonché a ricavare petrolio e idrocarburi a costi convenienti da sabbie e scisti bituminose.

Ma Birol ha deciso di calcare il piede sul pessimismo. Da una revisione dell’analisi storica condotta su 800 giacimenti petroliferi, ha dichiarato, si deduce che il declino dei campi petroliferi attualmente coltivati potrebbe toccare l’8,3% dell’offerta nel 2030. Il che significherebbe, per Birol, che occorrerebbe per quella data identificare “almeno 40 milioni di barili giorno di nuoca capacità lorda, solo per neutralizzare tale effetto”. L’equivalente di quattro Arabie Saudite come media giorno del 2009!

Per tentare di dare una risposta agli allarmisti sul medio periodo, occorre tenere sott’occhio le serie storiche relative alla scoperta di nuove riserve. Tra il 1960 e il 1990, nel mondo si sono scoperte riserve di petrolio più che doppie in media rispetto a quello che veniva estratto e commercializzato. Dopo di allora e fino a metà degli anni 2000, il ritmo delle scoperte si è abbassato, fino alla metà dei consumi. È fin troppo facile comprendere, se non si è in malafede, che i lunghi ani di basso e bassissimo costo del barile hanno scoraggiato le ricerche di nuove riserve. Mentre il picco di 147 dollari del 2008 ha tanto stimolato la ricerca che nella prima metà del 2009 – mentre intanto il mondo era in crisi nera e la domanda e i prezzi declinavano nuovamente – da portare alla scoperta di ben 10 miliardi di barili, una quantità semestrale mai più toccata da dieci anni a questa parte. Inutile dire che i “verdallarmisti” replicano che neanche quei 10 miliardi bastano. In realtà, come abbiamo più volte scritto, la loro tesi è che la recessione é stata in realtà benedetta, perché ha fatto consumare di meno. E per la stessa ragione volevano un accordo stringente a Copenhagen, per abbassare da 105 a 89 milioni di barili giorno il consumo prospettato al 2030, con la scusa di contenere entro i 2 gradi centigradi l’aumento della temperatura globale.

Temo che in questa partita tra allarmisti e ragionevoli si perdano di vista almeno due prospettive essenziali. La prima è che, a breve, la priorità è come uscire dalla crisi, non restarci dentro per contenere le emissioni di CO2. La seconda è quella geopolitica. La realtà è che tutte le 13 maggiori compagnie titolari della quasi totalità delle riserve certe accertate sono compagnie di Stato, per chi se lo fosse dimenticato. E tanto per cambiare è la Cina, coi suoi giganti di Stato, la più attiva da anni per assicurarsi concessioni, estrazioni e prospezioni dall’Africa al Medio Oriente. Piuttosto che spaccarci come polli sulle previsioni di qui al 20390, è meglio tenere sott’occhio le elezioni in Brasile nel prossimo ottobre 2010, visto che il successore dell’ottimo Lula potrebbe essere meno responsabile di lui, puntare o addirittura promettere l’ingresso nell’OPEC, escludere all’Occidente le sue promettenti aree oceaniche offshore per le quali la sua Petrobras non ha la tecnologia adeguata.

You may also like

Mercati: 6 guai mondiali insieme alle nostre colpe
Perché si dicono tante sciocchezze nel dibattito energetico in Italia?
Addio a Morris Adelman
Il grande gombloddo fossile: 1.402 miliardi di sussidi!

14 Responses

  1. Pietro M.

    Concordo sull’analisi delle ragioni specifiche delle fluttuazioni del petrolio, ma parrebbe che tutte le commodity stiano crescendo rapidamente, non solo il petrolio, quindi non sono convinto che guardare i dettagli del mercato del petrolio sia centrale nello spiegarne l’aumento di prezzo.

    Alluminio, nickel e rame sono in aumento consistente; oro, palladio, platino, rodio e argento pure. Il prezzo del resto della tavola degli elementi non sono dove andarlo a cercare, ma immagino che stia in aumento. Il PPI cresce più del CPI, e il CPI comunque sta facendo progressi.

    Ad occhio direi che c’è troppa moneta e troppo credito in giro. Poi c’è anche troppo Ahmadinejad, ma ciò non spiega il movimento parallelo di tutte le commodity.

    PS Magistrale la parte sui verdi. Sulle fluttuazioni del prezzo del petrolio, io cito sempre Porter, non la birra ma l’aziendalista: i beni capitali che servono a produrre petrolio sono specifici, se ce ne sono troppi, il prezzo crolla, e se ce ne sono pochi, il prezzo schizza in alto. Inoltre sono durevoli: se ce ne sono troppi, i prezzi bassi durano, se ce ne sono troppo pochi, pure. Siccome la specificità e la durevolezza sono fonti di rischio, solo grandi e durature variazioni del prezzo possono giustificare investimenti consistenti. Siccome è improbabile che in un credit crunche dato i rischi si facciano investimenti in questo periodo, la carenza di capacità durerà. In compenso, se la domanda scende, i prezzi collassano, e appena risale schizzano. C’azzeccassero ogni tanto, gli ambientalisti…

  2. salvo88

    mi dispiace, ma non sono convinto di quasi tutto ciò che a scritto il signor Oscar Giannino (anche se io sono un suo grande sostenitore!).
    i “catastrofisti” non vedono dietro l’angolo la fine del petrolio ma il raggiungimento del PICCO DEL PETROLIO! sono due cose diverse.
    secondo i più ottimisti (in genere gli economisti) il picco ci sarà attorno al 2030.
    secondo i dati dell’IEA, il picco ci sarà attorno al 2015 e non il 2020 come asserisce lei nel suo intervento. Al riguardo vi do il link sul world energy outlook pubblicato dall’IAE un mese fa http://www.worldenergyoutlook.org/docs/weo2009/WEO2009_es_Italian.pdf
    secondo i più pessimisti (la maggioranza del mondo accademico indipendente) il picco del petrolio c’è già stato nel 2008!
    io appartengo al popolo pessimista e anche secondo me il picco del petrolio c’è già stato nel 2008. i dati a mio favore sono schiaccianti! Leggete questo documento e capirete http://www.eia.doe.gov/emeu/ipsr/t21.xls

    poi non sono d’accordo anche su un altro argomento: nel 1990 abbiamo scoperto più petrolio di quello che consumavamo? bah… tutte le statische dicono che ciò è successo nel 1981 e non nel 1990.
    riguardo ai pozzi petroliferi scoperti quest’anno invece le do ragione: l’ammontare di petrolio nuovo scoperto quest’anno è stato di soli 10 miliardi di barili petrolio! agli occhi di una persona normale possono sembrare infiniti. ma basta fare un semplice calcolo matematico per capire quanto dureranno all’attuale ritmo di consumi di petrolio: basta fare 10 miliardi diviso 84 milioni (cioè i barili che consumiamo ogni giorno). il risultato? lo consumeremo in meno di 120 giorni!
    l’economia capitalista si basa sulla crescita infinita e ciò è possibile grazie all’uso massiccio di schiavi. è successo sempre in tutti i precedenti storici. ed è successo anche nella nostra epoca. soltanto che i nostri schiavi sono invisibili e provengono dall’uso di combustibili fossili a basso costo.
    purtroppo siamo al giro di boa. metaforicamente parlando, gli schiavi hanno cominciato a rivendicare i loro diritti e adesso vogliono essere pagati di più!
    siamo solo agli inizi di una recessione che ci riporterà indietro di 200 anni! altro che recessione passeggera.
    se qualcuno ha qualche dato scientifico che è in grado di smentire i miei dati, ne sarei lieto se lo pubblicasse.

  3. Michele Bendazzoli

    Io davvero non capisco perché gli ambientalisti chiedano di ridurre il consumo di petrolio. Perché non finiscano le scorte di petrolio? Ma l’obiettivo non era quello di andare verso fonti alternative? Finito il petrolio, si andrà sicuramente verso fonti alternative.
    Per non inquinare l’ambiente? Se, come continuano a dire, le scorte di petrolio stanno per finire, significa che il petrolio è destinato a essere consumato tutto. Che questo avvenga subito, o fra 50 anni, a parità di tecnologie non cambierebbe la quantità totale di inquinamento rilasciata nell’atmosfera.
    L’unica speranza vera, secondo il loro ragionamento, si riponerebbe su un miglioramento delle tecnologie. Ma per migliorare le tecnologie servono i soldi, per avere i soldi serve un prezzo elevato e per avere un prezzo elevato serve che il bene sia scarso. E ritorniamo al punto di partenza. Se davvero avessero a cuore le sorti del pianeta, secondo i loro ragionamenti, più petrolio consumiamo, meno ne resta, più le tecnologie migliorano e meno inquiniamo…

  4. spaziamente

    Arrivato in fondo al post mi chiedo: come mai le posizioni ragionevoli, in questo caso nel campo del petrolio, ma nel corso degli anni sono stati molteplici gli argomenti, (mi viene in mente il neutralismo precedente la Grande guerra), trovano sempre minor spazio: la catastrofe attira? oppure è una questione di modulazione del tono, più urlo e maggiore è la platea che mi sentirà. In questo secondo caso, non converrebbe ai ragionevoli, (che poi sono anche quelli che dubitano…), fare uno sforzo e urlare un pò di più?

  5. damiano

    @ michele bendazzoli :
    gli ambientalisti propongono di ridurre il consumo di petrolio per motivi climatici ma anche strettamente economici : una transizione verso le rinnovabili richiederà decenni (attualmente la quotaa di energia prodotta dalle rinnovabili e’ intorno al 10% in italia), e l’esaurimento del petrolio potrebbe essere brusco (e non declinare all’ 8 % come dicono i geologi ) per motivi geopolitici (vedasi la crisi del 1973 ) . Il mondo non e’ “second life” o simcity , dove con un click di mouse costruisci un parco eolico o una diga .

  6. Andrea Massucco

    @spaziamente
    Il cielo è blu, il sesso vende, la morte è certa. E il catastrofismo da sempre conquista gli animi (da qui il grande successo delle religioni, nonostante i secoli di progresso scientifico e sociale). Gli umani sono fatti così.

    Esagerare e/o creare il caso è una tecnica di marketing cara ai catastrofisti, ma non credo sia applicabile ai “ragionevoli”, perché questi non hanno da vendere paure uguali e contrarie. Sì, certo, possono puntare il dito sul disastro economico, sul ritorno alle caverne, ma sono argomenti percepiti come deboli e interessati dalla platea degli ominicchi invidiosi e socialisti.

    Ma forse sto esagerando, i miei personalissimi e inattendibilissimi sondaggi d’opinione indicano un crescente scetticismo nell’Italiano medio, tanto più forte quanto più si abbassa il termometro. Il vero problema è come fermare la macchina politica, dal momento che essa non saprebbe come uscirne decorosamente, ammesso che un giorno riacquisti onestà intellettuale e decida di fermarsi.

    Sono noioso, ma credo proprio che l’unico modo per cambiare le cose sia disobbedire alle norme cosiddette anti-inquinamento. Ma qui torniamo al potere della paura, che è ancora superiore al disagio che l’Italiano medio percepisce.

  7. damiano

    come diceva richard heinberg , “non c’e niente di male nell’agire spinti dalla paura se il pericolo e’ reale” … alle caverne non ci torniamo , l’umanita avrà bisogno di satelliti e supercomputer per prevedere e sopravvivere . da qui a dire che tutto andrà bene pero’ ce ne passa …

  8. @damiano
    Hai ragione, finché saremo nelle mani di amministratori ignoranti e conformisti, non andrà tutto bene.

    L’umanità non ha bisogno di supercomputer, ma di superonestà intellettuale, qualità che -è ormai provato- manca ai truffatori dell’IPCC e ai governanti che li seguono.

    Buon “Summary for Policymakers” e felici 2 gradi nuovi!

  9. diana

    @salvo88:

    anche io sono una estimatrice di Oscar Giannino, ma davvero non credo che la IEA, tramite il suo capo economista, abbia dichiarato quanto sopra per fare un “favore” agli ambientalisti, se non ne fosse stata più o meno costretta – sembra piuttosto che la IEA stia cercando di non scatenare il panico (cfr i recenti articoli del ‘Guardian’ o il report “The peak of the oil age” dell’agenzia statale svedese per l’energia)…

  10. Michele Bendazzoli

    @damiano
    Ma allora abbiate pazienza: se i motivi climatici sono insussistenti – il petrolio verrà comunque, prima o dopo, consumato tutto – non vedo perché bisogna ammantare di motivazioni ambientalistiche dibattiti ideologici ai quali in realtà importano solo gli aspetti economici.

    Si dica chiaramente quali sono le parti in gioco: da una parte chi vuole controllare l’economia sfruttando il pretesto di motivazioni ambientali che non hanno ragione d’essere, dall’altra i liberali che, da che mondo è mondo, pensano che per poter allocare in modo efficiente le risorse scarse bisogna lasciar fare al libero mercato.
    Tutto il resto è retorica.

  11. tap

    @salvo88
    Grazie per il materiale linkato, era da un po’ che mi ripromettevo di leggermi l’outlook dell’IEA… bisognerebbe diffonderlo, magari anche nelle scuole! Gli studenti devono avere la massima consapevolezza del futuro che gli attende altrimenti potrebbero fare mooolto facilmente scelte sbagliate

  12. Anch’io sono d’accordo con Salvo88 e però vedo come il discorso pacato e con i migliori contributi degli esperti non trovi spazio ne sui forum ne tra chi ha potere. Non sta scritto da nessuna parte che l’energia a buon mercato continuerà, dovremmo muoverci noi cittadini per continuare ad averla è nel nostro interesse.

    Intanto do il mio contributo sottoscrivendo le affermazioni e i link di Salvo88.

Leave a Reply