10
Feb
2016

Mercati: 6 guai mondiali insieme alle nostre colpe

E’ il momento di smetterla di analizzare la violentadiscesa dei mercati da inizio 2016 come fosse un problema tra greci, italiani e tedeschi. Non è così. Tutto quel che sappiamo spinge anzi a ritenere che di fatto siamo in presenza di un vero e proprio terzo atto di una crisi, oggi mondiale. Il primo, esploso a fine 2008, era la crisi di un modello americano ma esteso a tutto l’Occidente, di intermediazione bancaria “universale” ad alta leva finanziaria e basso capitale. Il secondo, avvampato nel 2011 e che ci ha travolto come Italia, è stata la crisi della sostenibilità del debito sovrano europeo. Il terzo atto è una vera e propria crisi globale, perché nasce dalle politiche monetarie divergenti, si abbatte sui paesi emergenti, si somma alla difficile transizione cinese, e infine rimbalza sulla finanza e sulle banche dei paesi avanzati. Ovviamente, noi siamo tra i più esposti per guai “nostri”, anche se la causa prima della crisi trascende le nostre colpe che non vanno negate, come si ostinano a fare politica regolatori e media italiani.

Per qualche tempo ancora – nessuno sa quanto – c’è tempo per rimedi adeguati alla crisi mondiale, tali da fermare il panic selling che spinge tutti i maggiori investitori a uscire sia da azionario sia da obbligazionario, e a tenere parcheggiate enorme liquidità nei fondi monetari. Non è facile, ma bisogna provarci. Intanto, la conseguenza è che torniamo a essere più esposti di altri – noi come la Grecia e il Portogallo e la Spagna – per le difficoltà diversamente ancora accumulate nei sistemi bancari di ciascuno. Va detto senza autoassolverci per i guai e i ritardi di casa nostra. Ma è l’intero sistema bancario dei paesi avanzati sotto schiaffo. E, se è così, i rimedi devono venire da una modifica dei meccanismi basilari che determinano l’intreccio perverso tra politiche monetarie, esposizione finanziaria delle economie avanzate, e crisi degli emergenti. Il che chiama in causa insieme la FED, la BCE, e le autorità cinesi. In un mondo di misure divergenti tra grandi macroaree i guai aumentano, credere di salvarsi ognuno a casa propria è un grave errore. Cerchiamo di interpretare i diversi fattori della crisi, e insieme i possibili rimedi (molto difficili).

Primo: il petrolio. A dicembre 2015, l’Italia tra i 20 maggiori paesi sviluppati ed emergenti aveva il più alto indicatore delle attese di ordini manifatturieri, con il Pmi a 55,6 rispetto a 52 della media dei paesi sviluppati, e al 48,8 degli emergenti. Ma con Cina, India, Brasile e Russia tutti abbondantemente sotto quota 50, cioè con una contrazione in vista secondo le imprese. Le attese italiane erano ottimistiche. Quelle mondiali, no. Una prima ragione è il petrolio. Un prezzo poco sopra o addirittura sotto i $30 al barile e la continua discesa delle commodities (l’indice Bloomberg relativo segnava -28% a fine 2015 in 12 mesi, oggi siamo a -33%), comportano un impatto diretto e brutale di minori investimenti e domanda in nazioni che pesano più del 35% del PIL mondiale. Ciò determina un forte freno alle attese su commercio e crescita mondiale nel 2016. Ma non basta: l’effetto sull’economia reale è secondario, rispetto a quello finanziario.

Secondo: la finanza del petrolio, i debiti dell’Occidente. Al petrolio in senso stretto e alle sue imprese di filiera sono legati almeno circa 2 trilioni di dollari di finanza – tra debito corporate, linee di credito e relative coperture in derivati (occhio che si deve considerare anche una bella fetta a copertura di investimenti in shale gas negli USA)– intermediata soprattutto da giganti finanziari americani. Ma se ragioniamo a lungo termine, abbiamo alle spalle un lungo ciclo quasi ventennale in cui il prezzo del barile – $43 al barile nel febbraio 2010, $83 nel 2011, $96 nel 2012, $110 nel 2013, ancora sui $103 nel 2014 fino ai 30 attuali – ha significato l’assorbimento di asset finanziari denominati in dollari per circa 10 trilioni. Ed è questa seconda imponente cifra, a rischiare di smottare. Per il semplice fatto che i capitali escono vorticosamente dai paesi produttori di petrolio, gas e commodities, liquidano le posizioni liquidabili e creano un potenzialmente esplosivo freno all’assorbimento del debito americano e occidentale, sia sovrano sia corporate.

Terzo: l’errore della FED. La frenata della crescita USA (con l’occhio italiano è da sogno col suo +2,4% nel 2015 ma che ha visto come maggior componente di aumento della domanda interna la spesa e le tasse collegate alla riforma sanitaria Obamacare mentre la manifattura continua a scendere), e le pressioni su banche e finanza statunitense che rimbalzano dai paesi emergenti chiedono alla FED d’invertire la politica monetaria. E’ come se i mercati stessero dicendo alla Yellen: ci avete messo un anno e mezzo a iniziare a rialzare i tassi ma avete toppato, avete giudicato male la finestra temporale, e ora serve invece cha facciate l’esatto contrario. Altroché nuovi aumenti dei tassi d’interesse. Solo un dollaro che scende coi bassi tassi aiuta a spingere su il petrolio. Per la FED, significa ammettere di aver sbagliato tutto. Non sarà facile, anche se potrebbe aiutare il vacuum politico degli USA impegnati nelle primarie presidenziali.

Quarto: il QE della BCE non funziona. Non solo l’inflazione resta raso terra, ben lontana dall’obiettivo di riportarla al 2%. Soprattutto, finora la maggior liquidità pompata attraverso l’acquisto dei titoli pubblici non si converte in più impieghi bancari alle imprese nella misura delle attese, ergo la crescita europea non solo è bassa ma le attese sono marcatamente al ribasso. E’ non sarà un ulteriore ritocco dei tassi negativi sui depositi delle banche a Francoforte a mutarne gli effetti. Le banche europee – a cominciare da quelle italiane e dell’eurosud – comunque hanno poco margine per grandi prestiti alle imprese perché devono ricapitalizzarsi, strette tra gli obblighi degli accordi di Basilea e i vincoli della direttiva sul bail in che impedisce virtuosamente agli Stati i salvataggi, per metterli sulle spalle di azionisti e obbligazioni subordinate. Non sarà facile per Draghi, a marzo, trovare la quadra. Nel frattempo, i governatori delle banche centrali di Francia e Germania l’hanno messo per scritto, che il QE serve a poco e che occorre un deciso passo in avanti: o si accentrano comunitariamente almeno le linee generali dei bilanci pubblici nazionali, oppure finirà che nei paesi più esposti come l’Italia sarà il patrimonio dei suoi residenti a dover garantire non solo eventuali salvataggi bancari, ma anche il debito pubblico nazionale. Prospettiva del tutto respinta dagli euromembri “deboli”.

Quinto: i mercati hanno iniziato a pensare che parti dell’euroarea non reggano il bail in. Italia, Portogallo e Grecia contestano chi più chi meno apertamente la richiesta europea di continuare nel rientro del deficit pubblico. Il referendum sul Brexit potrebbe essere a giugno. La Spagna con ogni probabilità dovrà presto tornare a votare, nell’impossibilità di formare un governo. Diverse banche greche, italiane (a cominciare d MPS) e portoghesi rappresentano un problema, nell’incertezza di regole da seguire determinata dalle polemiche. Ma anche in Germania la crisi della banca universale a più alta leva finanziaria – Deutsche Bank – è lungi dall’esser risolta, e una sua discesa ulteriore aprirebbe una crisi europea. In tali condizioni, a maggior ragione i mercati non pensano sostenibile una divaricazione delle politiche monetarie in corso tra USA-FED da una parte e BCE-Bank of Japan, che incorpori in 24 mesi tra 150 e 250 punti base di differenza nei tassi di riferimento. La discesa violenta dei titoli bancari europei in questo 2016 è accentuata dal fatto che il caso portoghese della Banca de Espirito Santo e quello italiano delle 4 banche risolte per decreto dimostrano che la direttiva BRRD è vigente eccome da una parte da inizio anno, ma a diversi governi e banche centrali dell’eurosistema la cosa non va affatto giù. Ritengono che addossare la risoluzione bancaria ad azionisti e subordinati sia semplicemente una nuova leva che accresce il rischio sovrano, stante che per esempio nella pancia delle banche ITA c i sono quasi 400mld di titoli pubblici nazionali. Ecco perché lo spread è tornato a risalire. Nel nostro caso, dipende dal fatto che nel frattempo si è interrotto il percorso di discesa del deficit e del debito pubblico, e che per banche italiane a ROE di poco superiore all’1% come sistema (e ovviamente negativo per le più compromesse), diventa in queste condizioni molto problematico aumentare il costo del funding rinunciando alla facile via sin qui seguita, rifilare tonnellate di bonds subordinati ai clienti retail invece che agli istituzionali. Tanto per avere un ordine di grandezza di ciò di cui stiamo parlando: entro il 2018 sono in scadenza 124 miliardi di euro di bond a Intesa, 151 miliardi a Unicredit, 32 miliardi a MPS, e via proseguendo… Di fronte a questa realtà, continuare e negarla DOPO AVERLO GIA’ COLPEVOLMENTE FATTO PER TUTTI GLI ANNI DAL 2011 A OGGI, NEGANDO CHE VI FOSSE UN PROBLEMA DI BASSA CAPITALIZZAZIONE DEL SISTEMA BANCARIO A FRONTE DELL’ESPLOSIONE NPL, addossandola invece a colpe dei tedeschi come fanno governo e media italiani, può essere definito in un solo modo: PA-TE-TI-CO.

Sesto: la Cina. Sommate a tutto questo stime allarmistiche ma insieme realistiche sull’eventualità di un drastico deprezzamento dello yuan-renmimbi, nel caso in cui le autorità cinesi non riuscissero più a governare una discesa controllata dei mercati finanziari cinesi. Gli strappi al ribasso delle borse cinesi stanno producendo un falò di riserve in dollari al ritmo ormai di 100miliardi al mese per difendere l’attuale cambio, e frenare il deflusso di capitali dalla Cina. A questa velocità, dopo i 500 miliardi di dollari in riserve già bruciate nella seconda metà del 2015 dalla banca centrale cinese, si scenderebbe entro 4-5 mesi al di sotto del necessario per considerare davvero lo yuan una valuta nel basket internazionale accettato dal Fondo Monetario. Il deflusso di capitali si accentuerebbe di molto, con ulteriore esposizione della banche occidentali esposte.

Ecco alcuni dei fenomeni mondiali dietro la volatilità e la fuga ribassista scatenatasi sui mercati. Le banche, europee e americane, sono l’epicentro del fallimento di un QE che ha inondato i mercato di una liquidità illusoria, che a noi serve sugli spread del debito pubblico ma che non sostiene la crescita. Purtroppo, i nostri crediti deteriorati in pancia alle banche e il nostro ritardo nell’ammettere e affrontare il problema ci rendono bersaglio prediletto dei ribassi. Potevamo e dovevamo pensarci nel 2011 e 2012, ma chi lo disse allora – ero tra quei pochi – venne considerato un pessimista rompiscatole. Ovviamente, gli aumenti di capitale son stati rinviati fino all’imminenza del passaggio alla vigilanza bancaria europea. E’ passato un anno dal decreto sulle grandi banche popolari, ma ancora non si fondono. Mentre il decreto sulle 364 BCC in arrivo lascerà quasi tutto come prima. Su MPS, si aspetta non si sa che visto che a queste condizioni nessuno se l’accolla.

E ora il problema è mondiale. I tassi d’interesse negativi praticati in Europa e Giappone non inducono affatto le famiglie a spendere significativamente di più, ma a risparmiare di più per la propria vecchiaia. Mentre a livello internazionale i tassi negativi praticati da noi ma non più dalla FED sono un favore ai paesi con maggior deficit nella bilancia dei pagamenti come gli Stati Uniti, non alla parte più debole dell’Europa e non al Giappone, e tanto meno la FED rende sostenibile l’economia e la finanza dei paesi emergenti. Ci pensino bene, soprattutto la Yellen e poi Draghi. Ultimo consiglio, del tutto inutile: in Europa sarebbe da statisti piantarla di attaccarci a vicenda, perché tra referendum britannico, elezioni spagnole, nuova tensione sulla Grecia e Schengen che salta attiriamo solo su di noi ulteriore furia ribassista.

 

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9 Responses

  1. Caro Oscar, la tua analisi è molto buona. Se mi permetti, vorrei fare 2 considerazioni distinte per gli argomenti da de trattati.

    1) Le cause delle crisi 2008 e 2011 se proprio dobbiamo dirlo, sono dovuto a scarsa comprensione delle dinamiche finanziarie da parte degli operatori. Anche se originate in comparti diversi del sistema finanziario, la causa scatenante è stata sempre il ritardo con cui i grandi operatori hanno assecondato l’ìnevitabile trend. L’insostenibilità alla fine vuol dire proprio aver operato male, dal punto di vista finanziario. Professionisti di quel settore, strapagati, non possono agire male.
    Molto spesso si tende a pensare che chi sbaglia, nel senso che stiamo dicendo, lo fa per prorpio interesse. Il mercato invece è giusto. Come evidenziato dal film trasmesso da poco nelle sale “la grande scommessa”, chi ha capito male quello che stava succedendo, ci ha rimesso. Chi invece ha capito il giusto, ci ha guadagnato. In fin dei conti, non hai nessun alibi, come invece si tende erroneamente a pensare, per fare male quel mestiere. L’unico motivo per cui sbagli è perchè non sei capace.
    2) Lo scenario attuale, da te analizzato, fa riferimento a una causa scatenante, quindi è semplice se vogliamo, nonostante sembri complesso. La causa è il petrolio: Il QE non ha l’effetto sperato perchè il petrolio continua a scendere, stessa cosa dicasi per le decisioni della FED e anche la sesta causa (Cina) se vogliamo dipende da quello. La quinta invece (bail-in) la ricollocherei più al punto 1) e la riterrei eredità delle crisi precedenti. Ma tornando al petrolio, quello che bisogna chiedersi è….Perchè? Se il mercato è giusto come abbiamo sostenuto al punto 1 (e lo è, per quanto ci sforziamo a negarlo, ogni volta lui ce lo ricorda) ci deve essere un motivo per cui il petrolio continua a scendere. C’è qualcosa che è logicamente causa del suo crollo. Perché si continua a ritardare nel dire o nel voler capire* qual è questo motivo? I mercati possono tendere al naturale equilibrio anche se solo pochi o un solo operatore, capisca che quello sia il naturale equilibrio. E l’esperienza ci insegna che è così. Il fatto che la maggioranza non lo capisca (o non voglia capirlo) può solo ritardare la naturale tendenza. Nel caso del petrolio, noi osserviamo l’effetto e non la causa il che ci deve portare a ritenere che qualcuno (o molti) sappiano. Potremmo anche essere tentati dal pensare che, come nel caso 1), in realtà si stanno sbagliando un po tutti, oppure che vogliono sbagliare, perché pensano (erroneamente, lo abbiamo detto) di fare il loro interesse. Mi sa che però in questo caso dobbiamo escludere queste due ipotesi per diversi motivi. Me ne vengono in mente alcuni
    A)In questo caso non c’è l’operatore (o almeno non è facile trovarlo) che ha almeno “l’illusione” di stare fregando il mercato. In tutti i casi in cui questo è successo, vedi crisi del 2008, è stato accompagnato da tendenze “erroneamente rialziste”, e pochissime volte da tendenze “erroneamente ribassiste”. E in questo caso gli operatori che hanno in teoria maggior potere di invertire la rotta, dovrebbero avere interesse a far aumentare il prezzo e non a farlo diminuire.
    B) Pochissime volte ci siamo trovati di fronte a crisi per “trend di mercato sbagliati” rispetto al naturale equilibrio, così ravvicinate, e il petrolio ha già avuto in passato le sue. Questa potrebbe essere più devastante delle altre ed escludo che qualcuno voglia osare tanto o sia così incompetente da non aver capito la lezione. Inoltre nel settore del petrolio, a differenza di quello immobiliare, c’è minor rischio di incappare in una “incapacità di massa.”
    C) Gli eventi che si sono susseguiti da quando è iniziato il trend ribassista, sono andati tutti nella direzione che portavano a migliorare l’equilibrio. Vedi apertura verso l’Iran, vedi shale oil , vedi mancata volontà di rispettare il cartello OPEC da parte degli aderenti ecc. Questi eventi, insieme agli interessi monetari di cui parli, dovevano favorire la tendenza verso il vero equilibrio. Magari è quello che sta succedendo.

  2. Guido

    Sono almeno 10 giorni che aspettavo…grazie oscar; laurea o no sei il più chiaro ed esaustivo tra i giornalisti economici, se capisco qualcosa di economia è grazie a te!

  3. Rodolfo

    Egregio Giannino, come da articolo di un giornale finanziario Francese,( vedi link: http://www.latribune.fr/entreprises-finance/banques-finance/banque/banques-italiennes-la-consolidation-du-secteur-presse-544789.html) Il problema delle banche italiane risiede nella loro scarsa efficenza ( poca concentrazione, troppi sportelli bancari in rapporto alla popolazione, presenza quasi esclusivamente nel mercato domestico), ad ogni crisi quelle che soffrono di piu’ sono le piu’ deboli, dunque quelle italiane. Le banche spagnole Hanno aumentato la loro presenza nei mercati esteri, vedi Santander ed ultima, Banco Sabadell ha acquisito Banca TSB inglese, oramai 1/3 proventi viene fuori dalla Spagna. Anche con la crisi Ora sono piu’ solide. Banche italiane stessi problemi di 30 anni fa. Distinti saluti

  4. Francesco_P

    Egregio Rodolfo, 11 febbraio 2016,
    in Italia, come ci hanno già fatto osservare (meglio “tirato le orecchie”) le autorità internazionali, c’è un ulteriore fattore che penalizza il sistema bancario: il condizionamento da parte della politica.
    Le banche territoriali sono dipendenti dalla politica locale, mentre i grandi gruppi dalle Fondazioni bancarie che riescono ad esprimere un numero di consiglieri d’amministrazione molto superiore alla partecipazione degli Enti Pubblici al capitale.
    Questa “dipendenza” che si lega allo statalismo, al populismo ed al malaffare (vedi recenti casi della finanza senese ed aretina), finisce per impedire tanto il recupero di efficienza quanto l’internazionalizzazione del sistema bancario. Inoltre è una delle cause dell’eccesso di Non Performig Loans che gravano sulla redditività sulla sostenibilità del sistema a medio/lungo termine. Purtroppo, in funzione dell’evoluzione della crisi economica e finanziaria a cui stiamo andando incontro, i tempi potrebbero accorciarsi di molto con tutti i rischi del caso.
    Anche nel settore bancario l’attuale governo dimostra la sua natura gattopardesca: fa il minimo, e pure equivocando, affinché le cose non cambino troppo. Renzi, insomma, non è diverso dai suoi predecessori di csx e di cdx e per questo ha già dilapidato quel poco di fiducia che gli era stata concessa in Europa e sul piano Internazionale.

  5. adriano

    Già,le macroaree.Cercare di salvarsi in casa propria sarà un errore ma è meglio di niente.Invece siamo qui ad aspettare il prossimo disastro mentre gli esperti,tanto per cambiare,prevedono il passato.Cosa ci sia da stupirsi in un mondo dove chi sbaglia ai limiti dell’illecito viene premiato e il poveraccio che non può fare a meno di depositare le proprie miserie in banca viene derubato,non lo capisco.Poi c’è la perla dei territori inesplorati,con i tassi negativi dei sorridenti banchieri e la liquidità illimitata per impedire ai falliti di fallire.Tutte strategie vincenti per continuare a perdere.Ormai dovrebbe essere chiaro che il sistema va azzerato e si deve iniziare da capo.Rimandare non servirà a resuscitare il morto.

  6. Specula

    Scheuble vecchia maniera: “cari Pigs i mercati hanno ragione e dovete o fallire o pagare”. Scheuble post avvertimento alla DB (e se lo zio si arrabbia può tirarci dentro anche CommerZ e Bnp/CrediteAgricole): “i mercati si sbagliano”. Caro Oscar x un mese hai fatto finta di dimenticarti di Db e puntavi solo sulle nostre magagne (su cui hai ragione of course). Te lo scritto già molte volte ma desideri esser sordo: “dire mezza verità signitifica mentire”. Prendiamo i tuoi mezzi-amici del Sole24 Ore. Leggiamo lo speach di Draghi ospite di Weidmann pochi giorni fa con i CDS di DB che schizzavano: “There are forces in the global economy today that are conspiring to hold inflation down”. Titolo tradotto del giornaletto italico: “Draghi: forze globali concorrono a tenere bassa l’inflazione”. Let it be.

  7. RiccardoG

    Mi domando cosa c’entri un QE (che ha ridotto ai minimi termini la disoccupazione USA) con le cause di questa crisi dei mercati, cosa c’entra con il fatto che anche gli USA sono ormai indipendenti nella produzione di petrolio e con il fatto che la Cina rallenti il suo sviluppo economico (cosa logica e prevedibile perché non si è mai vista una crescita eterna a ritmi forsennati come quella tenuta negli ultimi anni).
    Oppure con il fatto che le banche non hanno smaltito tutti i titoli tossici accumulati ben prima del QE.
    Inoltre nel film la grande scommessa a mio avviso non perdeva chi era incapace secondo il mercato, ma perdeva molta gente che non aveva fatto niente altro se non credere alla panzana del libero mercato e perdevano pochi truffatori che non riuscivano a scappare con il frutto delle loro truffe basate su disinvolte operazioni finanziarie ( e che sono truffe lo dimostrano le molte multe comminate da allora in poi agli istituti finanziari di tutto il mondo)

  8. Quindi mi stai dicendo che perdevano quelli che si affidavano a degli incapaci perchè loro non ne capivano, e perdevano gli incapaci stessi a cui i primi si affidavano? Ma allora perdevano gli incapaci!
    Inoltre leggi bene, io ho scritto che il QE e la politica USA sono effetti e non causa della bolla (in giù) del petrolio e infine come tu dici che le sofferenze bancarie sono eredità delle crisi precedenti (prima del QE).
    Un caro saluto,
    Giuseppe

  9. Anonimo

    Non penso che Giannino voglia far cadere tutta la colpa dell’ impasse-crescita sull’avarizia dei consumatori,a proposito dei tassi d’interesse negativi:eppure, a leggerlo a voil d’oiseaux,si potrebbe capire così;tanto più perché egli non collega la crisi DB(metà dei crediti in pancia,in sofferenza creditizia vs paesi inaffidabili)alle vocazioni avventurose di DB e Kommerz-B., eterna tentazione delle banchein tempi di austerità deflattiva,cioè l’esatto contrario,in definitiva dell’epistemiologia pro-deflazione moralizzatrice della Dottrina-Schaeuble.
    Siamo 6 anni lontani dai tempi in cui un bocconiano-oggi nel governo-scriveva sul suo blog,che la crisi USA 2008 non era colpa di fattori umani;ma con questo post siamo almeno a metà del guado.

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