28
Mag
2011

Il buco nell’acqua / Speciale weekend 3

Oggi facciamo un’incursione in terra nemica. Le ragioni dei referendari sono bene esposte nel libro di Luca Martinelli, L’acqua (non) è una merce (Milano, Altreconomia, pp.152, 12 euro), che riprende e amplia la prima edizione uscita l’anno scorso. Martinelli cerca di spiegare perché, a suo avviso e di chi ha promosso la consultazione del 12-13 giugno, l’acqua dovrebbe essere considerata un servizio privo di rilevanza economica, e pertanto sottratto alla disciplina del mercato e delle gare. Ma non convince.

Il libro è interessante e onesto, e tenta – a dir la verità con una ricognizione soprattutto anedottica – di provare i vizi (attuali) del privato e le virtù (potenziali) del pubblico nella gestione dell’acqua. Fallisce, però, il test della concretezza.

I tentativi di offrire un’alternativa migliore sono deboli, o perché ricadono nella categoria “libro dei sogni” (le aziende speciali però efficienti, non come quelle di ora…), o perché hanno un’applicazione limitata e difficilmente generalizzabile. E’ questo il caso delle gestioni cooperative esistenti in alcune zone rurali o montane, a cui Martinelli dedica molto spazio, salvo però ammettere che “molti consorzi… hanno consegnato le chiavi degli acquedotti in mano agli enti locali e alle loro aziende, complici le difficoltà di gestione autonoma e le innumerevoli responsabilità per i presidenti” (p.95), o che “all’appello manca un sostegno finanziario” (p.96). E’ proprio questa duplice difficoltà – seguire pienamente un’attività che ormai ha natura complessa e industriale, e reperire i capitali – a spingere verso la privatizzazione, almeno idealmente. Allo stesso modo, se è vero che normalmente l’arrivo dei privati ha prodotto l’aumento delle tariffe, è ugualmente vero – e non viene adeguatamente riconosciuto – che, in media, ciò ha prodotto aumento degli investimenti e miglioramento del servizio (come illustra Antonio Massarutto nel suo libro qui recensito da Lucia Quaglino).

Poi ci sono una serie di contraddizioni interne. Per esempio, le società pubbliche vengono considerate “private” in quanto hanno la forma societaria delle spa quando sono inefficienti, mentre nei (rari) casi di efficienza pubblica, come Metropolitana milanese che gestisce l’acquedotto a Milano, si sorvola completamente su questo “dogma” (che io personalmente non condivido: la natura pubblica o privata dipende dagli assetti proprietari, non dalla forma societaria). Addirittura la Cassa depositi e prestiti viene trattata come un losco privato, infatti “solo il 70 per cento delle azioni sono controllate dal ministero dell’Economia” (p.46, corsivo aggiunto, e meritato), tranne che, quando si tratta di spa pubbliche al 30 per cento, “in una spa, chi controlla i 2/3 del capitale può far passare ogni decisione” (p.87). Oppure, viene del tutto ignorato il nesso (ovvio) tra livelli tariffari e consumi (o sprechi). Sempre nel caso di Milano, si legge: “Nonostante consumino 359 litri al giorno, più di ogni altro in Italia, i milanesi pagano la bolletta più bassa” (p.89). La formulazione corretta della frase avrebbe dovuto essere: “proprio perchè pagano la bolletta più bassa, i milanesi consumano più degli altri”. Ancora: le tariffe alte sono la principale accusa lanciata alle privatizzazioni, ma ben diversa tolleranza è dimostrata quando sono i pubblici a passare all’incasso. Nel Monferrato, dove domina il consorzio Ccam, “la tariffa è un po’ più alta ma non potrebbe essere altrimenti” (p.92). Proseguo: la torinese Smat (interamente pubblica ma trattata alla stregua di un privato) è criticata perché, se si comportasse secondo i criteri “tradizionali”, “le bollette garantirebbero [al comune] un flusso di cassa corrente che finanzia spesa corrente e investimenti” (p.108): ucci ucci, sento odor di extraprofittucci, ma se sono pubblicucci non ci sono problemucci?

Martinelli, in conclusione, spiega che “salvando l’acqua dal mercato, gettiamo le basi per la ricostruzione di una parte di sovranità popolare e di uno Stato pienamente democratico” (p.138, corsivo aggiunto). Per avere un’idea del tipo di sovranità e democrazia che verrebbe ricostruita, bisogna tornare indietro di una quindicina di pagine, e leggere le illuminanti parole di Ivo Monteforte, dal 2007 amministratore delegato del disastrato Acquedotto pugliese, citato (entusiasticamente) da Martinelli: “ho avuto la sgradevole sensazione che tutti decidessero, meno che i manager. Quest’azienda era diretta dall’esterno, dalla politica, dalle imprese appaltatrici” (p.123).  Ecco, se mi fossi sforzato non avrei trovato uno slogan più efficiente contro questi referendum.

PS Il volume è impreziosito, credo si dica così, da un onirico scritto di Erri De Luca, che parla di “tenere il conto delle gocce” (p.7) non prima di aver definito il genere umano “una tossina per il pianeta” (p.5), e forse l’invito a restituire la gestione dell’acqua al settore pubbico è un modo diabolico per spazzare via questa tossina. Ma il brano più straordinario è quello in cui racconta che “trent’ani fa”, grazie alla scienza di due “anziani rabdomanti”, perforò con gran gioia e senza troppi sensi di colpa per il bene comune dell’umanità, un pozzo “per il mio campo” (p.6). Erri De Luca, milite del “no”. Erri De Luca, uno di noi. Erri De Luca, il primo privatizzatore.

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6 Responses

  1. Marco

    Scusate la domanda ma è una questione che sui vari articoli non viene trattata.
    Premesso che normalmente sono favorevole a che siano i privati a fornire anche servizi pubblici, sono piuttosto contrario quando il privato è posto in una situazione di monopolio naturale.

    La norma che è oggetto di referendum sull’acqua, fornisce un modo per mettere in concorrenza i vari operatori privati che entrano con il capitale nella (non ho ben capito la natura giuridica della società) società che gestisce il servizio idrico?

    L’Autority dell’ultimo minuto da chi è nominata? Perchè dovrei fidarmi dell’Autority? Se il Comune che gestisce il servizio idrico non lo fa bene almeno posso votare qualcun altro, se l’Autority non fa il suo dovere come fa il cittadino a controllarla?
    Cordiali saluti.

  2. Logos

    Marco :
    Scusate la domanda ma è una questione che sui vari articoli non viene trattata.
    Premesso che normalmente sono favorevole a che siano i privati a fornire anche servizi pubblici, sono piuttosto contrario quando il privato è posto in una situazione di monopolio naturale.
    La norma che è oggetto di referendum sull’acqua, fornisce un modo per mettere in concorrenza i vari operatori privati che entrano con il capitale nella (non ho ben capito la natura giuridica della società) società che gestisce il servizio idrico?
    L’Autority dell’ultimo minuto da chi è nominata? Perchè dovrei fidarmi dell’Autority? Se il Comune che gestisce il servizio idrico non lo fa bene almeno posso votare qualcun altro, se l’Autority non fa il suo dovere come fa il cittadino a controllarla?
    Cordiali saluti.

    Bravo Marco, gli appalti verrebbero dati agli amici degli amici ed a noi toccherebbero solo le bollette (maggiorate) come al solito.
    QUESTA CLASSE POLITICA NON VALE UN C… ma è stata la prima ad applicarsi alla finanza derivata per tenere a galla i nostri Comuni, svendendo il futuro dei nostri figli. Altro esempio: In Basilicata, giacimento petrolifero più grande d’Europa ed area depressa allo stesso tempo, le royalties raggiungono a malappena il 5% contro il 90% di quelle libiche ed una media del 50%. APPLAUSI…per non parlare di tutta quella finanza senza capitale che ha acquistato colossi del calibro di Telecom, facendo pagare l’indebitamento all’utenza e rinunciando agli investimenti (vedi banda larga). Ricordo ancora quando milioni di londinesi rimasero a piedi perchè fallì la società che gestiva la metropolitana.
    Caro Carlo Stagnaro, smetta di parlare di buchi nell’acqua (con il nucleare lei ne ha fatto uno non indifferente) e scenda in piazza a battersi per una “differenziata” anche in parlamento.

  3. Borderline Keroro

    @gelsomini in fiore tricolore
    ferale notizia per te: intanto da qui al 2022 passeranno 10 anni e voglio vedere. Essendo poco liberisti e molto efficienti, come dici tu, dubito.
    Secondariamente la Germania può rifornirsi con comodità del gas russo, noi, che oltre ad essere poco liberisti siamo anche poco efficienti, kinvece no.
    Fossi in te comincerei a coibentare la casa molto bene e a procurarmi una cyclette con la dinamo.

  4. diana

    @Borderline Keroro

    Qualcuno si è dimenticato che la Germania sta costruendo il NordStream 😉
    [il gas dotrebbe servire, a dire il vero, per alimentare centrali a ciclo combinato a compensazione della generazione fluttuante da eolico]

    Sulla stampa tedesca riportano dichiarazioni circa “tenere alcune centrali nucleari in standby” per le emergenze: qualcuno mi deve spiegare come sia possibile, ma forse i politici hanno informazioni che i tecnici non possiedono..

  5. Rinaldo Sorgenti

    E vai col liscio … volevo dire con la “speculazione”.

    I tedeschi (che sono normalmente definiti seri), per ragioni ineccepibili, hanno deciso di abbandonare il Nucleare (cause la scoperta di problemi ignoti ed incombenti, anzi già avvenuti) tra 11 anni!!!

    Siamo seri e chiedete allora anche ai tedeschi di esserlo. Se non vogliono più il Nucleare, che spengano oggi stesso tutte le 17 centrali in esercizio nel loro Paese, altrimenti e becera speculazione politicante.

    Se poi decidessero davvero di farlo (ne dubito, sono tedeschi, mica allocchi), beh questa volta l’Italia potrebbe finalmente averne un beneficio. Si, perchè i tedeschi sono più competitivi di noi con le loro merci e manufatti, perchè possono beneficiare di circa il 70% dell’elettricità (indispensabile per numerosi processi produttivi ed occupazionali) con: Carbone 47% e Nucleare 23%, quindi con un costo dell’elettricità di base (cioè quella sempre necessarie e disponibile) MENO costosa che a noi italiani.
    Quindi, la nostra competitività, almeno verso la Germania, migliorerà. Insistiamo quindi che siano coerenti e spengano le loro Centrali Nuc da subito, senza prenderci in giro.
    Poi, purtroppo, in Francia l’elettricità costa il 50% in MENO che in Italia e quindi rimane difficile competere industrialmente con i galletti. Beh, a questo ci penseremo, nel frattempo, ridimensioniamo il più forte.

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