23
Lug
2014

I contratti di sviluppo e 2 guai di Stato: serve un’agenzia indipendente che valuti riforme e investimenti pubblici

Ieri il governo ha annunciato il varo di 24 progetti di sviluppo, per 1,4 miliardi di euro di risorse di cui 700 milioni di fondi pubblici nazionali. E’ una buona notizia soprattutto per il Sud, visto che per l’80% sono progetti incardinati nelle quattro regioni dell’Obiettivo Convergenza, cioè Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. E’ una buona notizia perché non sono interventi a pioggia, ma di taglio non inferiore ai 20 milioni (7,5 per l’agricoltura) per singola impresa e su progetti abbastanza precisi. Ed è una buona notizia perché quasi metà delle imprese interessate è straniera, con multinazionali come Vodafone e Unilever, Whirlpool e Sanofi. Tuttavia è una notizia buona, ma solo a metà. Non è colpa del governo attuale, che ha volontà e merito di accelerare, ma all’annuncio si arriva solo perché, entro qualche settimana, correvamo il rischio di vederci sottratte come Italia le quote di finanziamento dei fondi europei su cui questi progetti insistono: sono tutti denari che andavano utilizzati entro il 2013, e che non abbiamo saputo mettere a frutto per tempo.

Il tempo è tutto, a maggior ragione in un Paese che ha perso il 27% del totale degli investimenti nazionali, tra pubblici e privati, dal 2008 a fine 2013. Si tratta di interventi sia di riqualificazione di aziende o rami d’azienda in crisi, sia di sviluppo di nuove attività. I 25 mila addetti la cui occupazione è salvaguardata o creata dai progetti annunciati ieri potevano e dovevano esserci anni fa, le aziende avrebbero potuto rispondere meglio alla crisi, la perdita di reddito sarebbe stata inferiore. A dirla tutta la responsabilità non sta al braccio pubblico responsabile di raccogliere le richieste delle aziende e di elaborare l’istruttoria, cioè Invitalia, l’agenzia per l’attrattività degli investimenti italiani ed esteri guidata da Domenico Arcuri. Tant’è che Invitalia di progetti di sviluppo ne ha pronti 36. Se l’annuncio di ieri ne riguarda 24, in realtà ad essere già compiutamente stipulati ne è la metà cioè 12, e in stato di esecuzione non sono più di 6. E di questo la responsabilità è della pachidermica e tardigrada macchina pubblica, ministeriale e regionale, che deve attivarsi su ciascuno di essi dopo che l’istruttoria è compiuta. E’ questa, la nostra prima palla al piede. E ora bisognerà comunque correre, per varare in tempo gli altri progetti che Invitalia ha già cantierato.

Se diamo un’occhiata ai settori interessati, la Campania per molti versi è la regione più “accattivante”, visto che non solo allinea una pluralità di interventi nei settori di punta della propria specializzazione industriale più avanzata, dal settore aeronautico a quello del packaging all’alimentare, ma è anche l’unica ad allineare contemporaneamente progetti pronti anche nel campo turistico e in quello della grande distribuzione commerciale. Perché se c’è un punto debole, nei 36 progetti cantierati, è che pochissimi tra loro riguardano proprio turismo e commercio, che al contrario avrebbero un grande bisogno di incrementare la propria capacità di offrire servizi a maggior valore aggiunto e di superare al contempo quel frazionamento pulviscolare dell’offerta che ha una pesante responsabilità, sia nella nostra inadeguata capacità di attirare turisti esteri, sia nell’inefficienza di una catena dei prezzi che finisce per gravare troppo sul consumatore finale.

Per essere onesti fino in fondo, bisogna però ricordare anche una seconda debolezza pubblica. Non c’è solo la lentezza delle pluralità di competenze sovrapposte, che non ci mette in condizioni di usare i fondi europei in tempo adeguato, e a cui si rimedia affrettando decisioni e procedure. C’è un’altra grave questione irrisolta. L’esempio è dato proprio da uno dei 36 progetti pronti, nell’elenco Invitalia. Quello che riguarda i 100 milioni di cui 74 agevolati di investimento per EuralEnergy nel Sulcis, in Sardegna. Un problema, quello minerario dell’ex CarboSulcis, aperto da 20 anni. In 20 anni la regione Sardegna ci ha speso 600 milioni, e tra perdite e sovraccosti di acquisto dell’estratto addossati a Eni ed Enel la somma spesa complessivamente non è inferiore al miliardo di euro. I circa 490 minatori rimasti al 2013 hanno un costo medio lordo di 37mila euro annuo, eppure abbiamo speso 3 volte a testa in denaro pubblico ogni anno per non risolvere in nulla il problema. Lo abbiamo eternato, bruciando risorse di tutti, la vita e la speranza di chi è rimasto sempre appeso a un filo.

Ecco la seconda cosa che manca alla macchina pubblica italiana: un’agenzia pubblica indipendente, composta da professionalità economiche e d’impresa elevate, capace di valutare ex ante in autonomia rispetto ai governi e alle regioni i costi-benefici delle agevolazioni e degli investimenti pubblici, capace di monitorare nel tempo l’attuazione dei piani industriali agevolati (facendo anche scomparire i contributi a fondo perduto, che ancora restano anche nei programmi di sviluppo attuali, e che non aiutano la serietà dei progetti), e capace di fare un serio bilancio ex post degli interventi, in modo da spingere i successivi impieghi di capitale pubblico verso sempre migliori pratiche.

La politica non ama le valutazioni di efficienza indipendenti. Ma dalla fine dell’epoca gloriosa della primissima Cassa del mezzogiorno, la serietà delle valutazioni tecniche a corredo degli investimenti e delle agevolazioni troppe volte ha piegato il capo a criteri clientelari e di consenso. E’ per questo che nel Sud in passato troppe volte gli aiuti pubblici si traducevano in “prendi i soldi e scappa”, desertificando vieppiù l’impresa sana. Ed è per questo che un’eguale unità di capitale pubblico investita in Germania ha un rendimento superiore dui quasi il 40% a un eguale impiego in Italia, stando all’ultimo outlook del Fondo Monetario.

Non vale solo per i progetti di sviluppo di cui stiamo parlando oggi. Vale per qualunque riforma pubblica: è perché manca una valutazione seria e indipendente, che gli sgravi a tempo di Letta per le assunzioni nelle imprese hanno ottenuto solo il 28% dei risultati prefissi, e che la Garanzia Giovani in corso oggi corre il serio rischio di tradursi in un flop. Ci pensi Renzi: un’agenzia di valutazione indipendente di come si spendono i denari pubblici serve all’Italia. La PA com’è oggi – e come resterà domani – non ce la fa.

 

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5 Responses

  1. marco

    mi verrebbe da esprimermi come Gino Bartali (siamo o no in tempo di gran boucle?)
    gli è tutto sbagliato, tutto da rifare
    e purtroppo la competizione globale è una severa maestra, al di là del chiacchiericcio la questione è di meritocrazia
    cioè esserci o non esserci qundo si parla di futuro
    dopo è tutto facile al bar commentare chi era bolso in squadra ma è PRIMA che bisogna decidere, analizzare, ipotizzare e sintetizzare
    è lì che i CAPACI scendono in campo e stabiliscono se fare corsi per le veline o per hostess turistiche plurilingue esperte in architettura (romana o barocca o rinascimentale)
    se emozionarsi per una coda tricolore all’aeroporto JFK o di un bilancio in utile ed un flusso passeggeri in crescita
    la globalizzazione ha scelto la meritocrazia l’italia invece la relazione quando non la “lubrificazione” per oliare i meccanismi decisionali

  2. John

    Io non credo che soldi pubblici spesi “keynesianamente” per finanziare imprese in crisi, siano una buona notizia. Per il resto, nulla da eccepire.

  3. adriano

    Ma sì,facciamo una agenzia,magari preceduta da una commissione per stabilirne le finalità.Per il resto auguri ai fortunati commensali con la raccomandazione di sempre.A tavola bisogna saperci stare.

  4. MG

    Anni addietro partecipai come tecnico a progetti cofinanziati dalla UE. Non vi dico il caos nella gestione del progetto ..e ovviamente nell’elargizione dei relativi denari. Un groviglio burocratico di incompetenti, partendo da Roma, passando per la Regione, la Provincia fino ad arrivare al Comune di resdienza dell’azienda aggiudicataria del finanaziamento. Gli unici a guadagnare in questo groviglio erano gli enti pubblici, che a loro volta imponevono una maglia burocratica talmente fitta..che l’azienda veniva strangolata dai costi non del progetto…ma dai costi per mancata produzione, dovendo realizzare il progetto in un tempo lunghissimo..praticamente triplo rispetto ai tempi stimati. Dopo questa epserienza durata due anni me ne sono andato schifato. Oggi le cose non sono cambiate..quindi direi che è inutile seminare semi nuovi sullo stesso terreno. Questo sistema deve prima essere estirpato per asfissia monetaria…Qui è meglio TOGLIERE non AGGIUNGERE poi si puo ricominciare a seminare…e senza tante agenzie..quando le cose si fanno sul serio esiste già l’agenzia europea che controlla..basterebbe togliere tutti quelli che stanno in mezzo tra UE e azienda italiana.

  5. Lorenzo

    Io sarei decisamente più radicale: abolizione totale di qualsiasi forma di incentivo. Alcune osservazioni a sostegno.
    Per gli incentivi al consumo vale la regola: “La crisi di un settore è direttamente proporzionale agli incentivi nel periodo precedente”. Ovvio. Gli incentivi anticipano mercato futuro. Se non c’è un’impennata dietro l’angolo si scava la fossa al settore.
    Per gli incentivi agli investimenti sappiamo fin troppo bene che fine fanno in un contesto come quello del mezzogiorno. E pensare che si sia una valutazione indipendente “ex-ante” è un’utopia.
    In generale, gli incentivi li paghiamo noi Cittadini. Se i soldi passano dallo stato, a maggior ragione se fanno il giro oltre che a Roma anche per Bruxelles, tornano indietro scremati (come certe organizzazioni umanitarie che si mangiano metà delle donazioni per sostenersi). Lasciateci i nostri soldi, frutto del nostro lavoro. Sappiamo molto meglio dello stato cosa farne.
    Purtroppo siamo solo Sudditi.

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