3
Mag
2009

Fiat Chrysler

La settimana conclusasi è stata molto importante nel settore dell’auto: l’accordo raggiunto tra Chrysler e Fiat ha permesso all’azienda italiana di entrare nel capitale del gruppo di Detroit con il 20 per cento, in cambio del trasferimento di tecnologie in ambito motoristico e nel segmento delle “piccole”.

Chrysler ha sofferto particolarmente lo scorso anno a causa dell’incremento del prezzo del carburante ed essendo l’azienda molto forte nel mercato dei “lights truck”, cioè i veicoli più grandi e debole nel mercato delle autovetture ha avuto un vero e proprio tracollo delle vendite.

Il mercato dell’auto americano tuttavia non ha toccato il fondo nel 2008 e il primo quadrimestre del 2009 è stato uno dei peggiori di sempre; le vendite di veicoli sono diminuite del 37,4 per cento e nel solo mese di aprile sono state vendute 430 mila vetture in meno rispetto allo stesso mese del 2008.

Chrysler si sta comportando peggio del mercato in quanto nei primi quattro mesi ha venduto il 46,2 per cento in meno di veicoli rispetto allo scorso anno.

La crisi del gruppo ha portato a quello che era prevedibile: il chapter 11. Il fallimento pilotato del gruppo automobilistico era inevitabile e i miliardi di dollari continuamente immessi dalle amministrazioni americane non sono serviti a nulla, se non a rallentare l’agonia.

In questo quadro tetro è entrata Fiat con la sua forza nel segmento delle autovetture, ma con la sua debolezza globale. Il gruppo italiano ha il 3 per cento del mercato globale e pur avendo la possibilità di rientrare nel mercato americano, rimane un player debole nel settore automobilistico.

Il mercato americano nel 2009 sarà superato in termini di vetture vendute dal mercato cinese e il futuro dell’auto non potrà non passare dal continente asiatico. Proprio in Asia, sia Fiat che Chrysler hanno una presenza praticamente nulla e l’alleanza non riuscirà a supplire a questa debolezza.

Fiat riesce ad entrare nel gruppo di Detroit senza versare un euro.

La domanda che forse poco interessa poco agli italiani, ma che certamente interessa di più agli americani è, chi paga per Chrysler?

La questione che interessa maggiormente agli italiani potrebbe essere relativa al controllo dell’azienda automobilistica di Detroit: chi è il nuovo proprietario del gruppo?

Alla prima è facile rispondere evidenziando i miliardi di dollari che le amministrazioni Bush ed Obama hanno versato nel gruppo fallito e che lo stesso presidente ha promesso di dare nei prossimi mesi. Per superare velocemente il chapter 11, Barack Obama ha promesso di immettere altri miliardi di dollari nelle casse della casa automobilistica. Sono dunque i contribuenti americani a dover pagare per Chrysler e oltretutto si sono ritrovati a versare soldi senza evitare il fallimento dell’azienda stessa.

La seconda questione necessita di una premessa. Il salario orario per operaio di Chrsyler era del 50 per cento superiore a quello dei gruppi giapponesi ed europei che producevano automobili negli Stati Uniti. Si dice che l’accordo prevede dei grandi sacrifici dei sindacati americani, in particolare della UAW, ma in realtà i reali vincitori della partita, prima ancora di Fiat, sono proprio i sindacati.

Questi non avranno più diritto di sciopero fino al 2015? Ma fino al 2015 chi sarà il primo azionista di controllo dell’azienda produttrice di automobili? I sindacati e non certamente Fiat, che resterà solamente un solido partner industriale.

I fondi pensione dei lavoratori e pensionati Chrysler avranno la maggioranza, mentre i vecchi creditori, tra le quali molte banche ed Hedge Fund, vedranno diluita la loro presenza.

Barack Obama ha lasciato che Chrysler passasse tramite un fallimento pilotato, ma al fine di modificare il controllo dell’azienda a favore della categoria sindacale.

La presidenza democratica non ha salvato Chrysler, ma ha dato il controllo dell’azienda alla categoria che maggiormente ha causato lo stato fallimentare.

Questa partita può essere dunque sintetizzata in un’espressione di derivazione latina: Fiat Chrysler. Con i soldi dei contribuenti americani.

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