21
Gen
2010

Draghi alla BCE, pochi giorni e si decide

Entro tre settimane, i Paesi dell’euro sono chiamati a una scelta importante. Per l’Europa, e per il peso dell’Italia in Europa. Mario Draghi ha delle buone chanches per diventare presidente della BCE, l’anno prossimo. Ma la partita è nei prossimi 10 giorni. Se l’Italia non si muove subito e con accortezza, i tedeschi ci fregano.
All’Ecofin di lunedì, i ministri delle Finanze dell’euroarea hanno concordato che l’indicazione del prossimo vicepresidente della Banca Centrale Europea avverrà il 15 febbraio. Com’è noto, il Trattato Europeo prevede che per la nomina del Comitato esecutivo della Bce – formato dal presidente, un vicepresidente e altri 4 membri; che esercita la gestione corrente della banca e l’attuazione della politica monetaria, conformemente agli orientamenti del Consiglio dei governatori di tutte le banche del sistema – la procedura di nomina prevede l’accordo dei governi degli Stati membri, con una decisione che verrà assunta al Consiglio Europeo di marzo, una volta che il nome indicato dall’Ecofin il 15 febbraio ottenga il parere favorevole del Parlamento Europeo e del Consiglio dei governatori.
Il vicepresidente in scadenza è il greco Lucas Papademos, che a fine maggio terminerà il mandato di 8 anni, e che subentrò al francese Christian Noyer. I membri del board hanno un mandato che scade in anni diversi, in modo da evitare un rinnovo complessivo che minerebbe la continuità della BCE e sottoporrebbe l’accordo politico a maggiori tensioni. Nel board esistono infatti pesi di rappresentanza espliciti, ed impliciti. Quelli espliciti sono rappresentati dalle rispettive quote detenute dalle diverse banche centrali nazionali nel capitale della Bce, a sua volta ripartito tra un 70% nelle mani dei membri dell’euroarea attuale, e un 30% riservato ai Paesi dell’Ue che non hanno adottato l’euro, che non partecipano agli utili o ai ripiani della BCE e non ne determinano la politica monetaria, ma partecipano al Sistema Europeo delle Banche Centrali che dà sostenibilità e stabilità alla politica comunitaria. Tra i paesi dell’eruoarea, i tedeschi hanno il 19% del capitale BCE, i francesi il 14%, l’Italia il 12,5%, la Spagna l’8,5%, e poi via via a scendere, in proporzione alla popolazione.
Ma, naturalmente, contano molto i pesi che derivano dall’influenza economica e politica dei diversi Paesi. La BCE è nata per sviluppo diretto della Bundesbank tedesca, assumendone modello gestionale, finalità antiinflazionistica, strumenti operativi. Perciò il primo presidente della BCE era sì un olandese, Wim Diusenberg, ma di comprovata osservanza germanica, e “invigilato”, per così dire, nel board da Otmar Issing, un falco nemico dell’inflazione che con la delega alla ricerca economica era di fatto, a nome della Bundesbank, il vero banchiere centrale europeo. Nel secondo comitato esecutivo, che ora inizia a vedere in scadenza i suoi membri, il presidente è il francese Jean-Claude Trichet, ma di fatto egli ha deluso le aspettative di Parigi di tassi d’interesse più laschi negli anni pre-crisi, perché il membro tedesco del board Juergen Stark (scade nel 2014) e quello italiano, Lorenzo Bini Smaghi (scade nel 2013), appartengono a una solida tradizione di rigore monetario.
Per gli equilibri attuali e futuri della BCE, la scelta del vicepresidente oggi significa una precisa ipoteca sull’identità del presidente da scegliere l’anno prossimo, poiché il mandato di Trichet scade nell’ottobre 2011. Detto in chiaro: se al posto del greco Papademos viene indicato un altro banchiere centrale dell’Europa del Sud, inevitabilmente il successore di Trichet sarà espresso dall’Europa del Nord. Ed è per questo che francesi e tedeschi vogliono come vicepresidente il portoghese Victor Constancio. Sarebbe un via libera pressoché certo alla guida della BCE, l’anno prossimo, per l’attuale capo della Bundesbank, Axel Weber.
Ed è per questo che l’Italia ha pochi giorni per giocare le sue carte. Ci sono almeno tre buone ragioni, per promuovere un’alleanza con austriaci e olandesi, greci e spagnoli, slovacchi, sloveni e irlandesi, per un vicepresidente appartenente all’area “nordica” del BeNeLux. Come il belga Peter Praet, se al lussemburghese Yves Mensch dovesse ostare la nomina del premier e ministro delle Finanze del suo Paese, Jean-Claude Juncker, appena confermato alla guida dell’Eurogruppo.
La prima ragione è semplice: la persona. L’Italia ha in Mario Draghi un candidato tra i più autorevoli, per la presidenza della BCE. Come presidente del Financial Stability Board, è al suo coordinamento che è stata affidata la messa a punto delle misure di riforma e stabilità della finanza globale che verranno sottoposte al G20 che, dopo Pittsburgh, tornerà a riunirsi quest’anno a maggio e novembre. Tra i banchieri centrali europei gode di vasti consensi e stima, come Oltreoceano alla FED e nella business community mondiale. L’Italia si è vista negare la presidenza del Parlamento europeo con l’onorevole Mauro, e la carica di mr Pesc con l’onorevole D’Alema. La guida della BCE è un’occasione ancor più impegnativa. Ma il candidato ha titoli di grande valore.
La seconda ragione riguarda la crisi. Che è stata originata dalle banche e dalla finanza ad alta leva. Se gli Stati Uniti hanno dovuto spendere 561 miliardi di euro per salvare e aiutare oltre 700 banche, e la Gran Bretagna 747 miliardi per 6 sole banche, non dimentichiamo che la Germania ha dovuto stanziare 262 miliardi del contribuente per 8 banche. Ai tedeschi non piace sentirselo dire, ma per via delle elezioni dello scorso novembre proprio la Germania è stato il Paese europeo che ha fatto meno chiarezza negli attivi patrimoniali del suo sistema bancario, come comprovato da molte Landesbanken pubbliche che hanno continuato a rivelare buchi pericolosi a ogni trimestrale. Proprio il governatore della Bundesbank, qualche mese fa, allineandosi alle pressioni del suo governo, ha tuonato da una pagina intera del Financial Times contro le richieste di chiarezza sul sistema bancario germanico che venivano dagli altri Paesi dell’Euroarea. Il problema è irrisolto. La prudenza sconsiglia di premiare chi l’ha tenuto aperto.
Il terzo motivo è conseguente. Il sistema bancario italiano, per la maggior prudenza dei banchieri privati e per i controlli della Banca d’Italia, è quello che si è trovato meno esposto al rischio di fallimenti e follie. Ha altri e antichi problemi, ma non la peste. A parole, ce lo hanno riconosciuto tutti. Esattamente come la prudenza di bilancio pubblico del governo e del ministro Tremonti – oltre a conseguenze non proprio esaltanti per rilancio della crescita e rinvio di riforme – hanno allontanato dall’Italia i sospetti di instabilità finanziaria.
Giochiamocela, allora. L’Italia, per una volta, ha tutte le carte in regola. Si tratta di dimostrarlo, con la giusta determinazione. Perché è nei prossimi dieci giorni, che si decide.

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12 Responses

  1. Roberto

    Sono pessimista…e poi sul ft danno per certo Weber. Scommettiamo che finisce così? In Europa poi abbiamo sempre contato pochissimo, e considerando la nostra tradizione europeista, la popolazione e il pil è solo colpa dei nostri governanti che prestano pochissima attenzione a ciò che succede nelle sedi comunitarie.

  2. microalfa

    Essendo mentalmente lontano anni luce dal levantinismo richiamato nel post precedente, capisco poco la rilevanza dei giochi di potere europei sopra e sottobanco. Tanto, l’abbiamo appena constatato coi nostri occhi, appena arriva una crisi finanziaria seria tutta la spocchia antinflazionistica e di bilancio della BCE cede allo sbracamento, esattamente come succede alla FED o a qualsiasi altra banca centrale.
    Il potere inteso come possibilità reale di intervento e di indirizzo su un’essenziale componente economica qual’è la politica monetaria, a questo punto, non si capisce bene a cosa serva effettivamente, anche se può apparire una affermazione ingenua.
    Detto questo, caro Giannino, chiedo perché mai noi italiani dovremmo essere contenti di privarci di un ottimo banchiere centrale come ha dimostrato essere Draghi, specie alla luce della precedente esperienza Fazio, per cederlo a un’Europa che alla fin fine va come deve andare, dimostrando una fallibilità del tutto terrena specie nel controllo degli effettivi conti dei Paesi euro.
    Grazie.

  3. Antonio M

    Caro Giannino, ma chi e´veramente Draghi ? vorrei sapere di piu´sul suo passato Goldman Sachs cosi´come l´intera lobby Goldman che gestisce il potere monetario americano, si veda l´ex ministro del tesoro usa Paulson,i CDS ed AIG e magari l´intera politica di “salvataggio” dell´economia usa, direi compresa quella della Banca Centrale Europea e del tanto decantato euro!
    Per quanto ne sappia ( e non potete immaginare quanto sia complesso informarsi) la scelta di qualsiasi nuovo governatore della Banca Centrale Europea non cambiera´nulla, se non rispondere concisamente alla lobby delle grande banche internazionali, basta notare attentamente i pedigree di qualsiasi attore che riesce ad arrivare fino in cima !
    Per quanto mi riguarda, leggere articoli di strategie tra Paesi, lotte tra uomini piu´o meno rispettabili, ci va l´italiano Draghi o il tedesco di turno ecc ecc mi sembra solo una bella fesseria per riempire spazio e tempo, come stare davanti alla TV per appassionarsi ad una fiction oppure andare allo stadio per una decisiva partita di calcio, insomma per tenerci occupati e permetterci di scaricare le ns passioni e tifare per il ns candidato, mentre i veri giochi sono oramai fatti e decisi, da chi? be´mi piacerebbe veramente capirlo…

  4. eonia

    Trovo giustissimo quello che ha scritto il Dott. Giannino.
    Anche se trovo poverissimo il confronto fra i candidati “delle occasioni perse” e il Dott. Draghi.
    Avere rappresentanti nazionali in istituzioni che contano a livello mondiale, dovrebbe essere motivo di orgoglio, se poi godono anche di credenziali internazionali è anche meglio.
    Bisognerebbe comprendere, a mio modesto avviso, che i “pesi massimi” internazionali anche se la precisa fotocopia dell’intera umanità senza dubbio hanno la capacità di influenzarla e attuare delle scelte che nessun altro potrebbe fare legalmente.

  5. Francesco

    Gent.mo dott. Giannino,
    in questo caso mi trovo in disaccordo con lei sul profilo del candidato Draghi proprio per il ruolo che ha ricoperto in Goldman. La presenza degli ex-GS nei board della Fed, del Treasury e addirittura negli organi regolatori, per non parlare dello stesso esecutivo americano (o a livelli più bassi, italiano), è a livelli allarmanti. Stanno emergendo polemiche e contraccolpi politici sulla possibilità di vietare per legge il prop-trading, che a volte potrebbe essere stato eseguito addirittura contro gli interessi dei propri clienti, approfittando del flusso di informazioni privilegiato che deriva dall’essere in contatto diretto con l’esecutivo (si ricorda delle telefonate tra Blankfein e Paulson, per esempio?). Per non parlare dello scandalo delle mail con colpevoli omissioni su cui sarà chiamato a testimoniare Geithner davanti al Congresso – che nascondeva il rimborso al 100% ottenuto da Goldman. Insomma, la commistione privato-pubblico ha raggiunto negli States un livello documentabilmente alto ed anti mercatista, al di là dell’eventuale rilievo politico e penale. E’ evidente che inasprire le regole o vietare un certo tipo di trading non serve a nulla, bisognerebbe invece eliminare alla radice tutte le distorsioni informative per rilanciare l’economia. Alla luce di tutto questo la mia domanda: è sicuro che, visto il curriculum di Draghi, la sua candidatura per la “stanza dei bottoni” europea non finirà per diventare l’ennesimo chiodo nella bara del libero mercato?
    Cordialmente,
    Francesco

  6. Pietro Monsurrò

    @Massimo
    Non è che il governatore di una banca centrale si può prenderlo tra i dirigenti di negozi di ortofrutta o tra gli ingegneri nucleari. Competenza vuole che qualcosa di moneta e banche debba pure capire.

    E qui nasce un problema universale delle tecnocrazie: per avere competenze occorre avere esperienza reale con il mercato, e il fatto di doverlo poi manipolare/regolamentare/guidare genera potenziali moral hazard. E’ una cosa inevitabile.

    Chi fa le leggi è in genere un avvocato, e ci guadagna se le leggi sono incomprensibili e di difficile attuazione; chi fa il banchiere centrale o non è un banchiere, e allora probabilmente non ci capisce nulla, o lo è, e allora può avere interessi relazionali pericolosi; chi regolamenta l’energia non può non sapere nulla di energia, e allora rischia di fare gli interessi dei colleghi che aveva quando imparava qualcosa sull’argomento (magari lavorando in aziende pubbliche o private del settore); chi decide sulla contrattazione del lavoro o è un sindacalista o è un rappresentante di Confindustria o è un totale incompetente (fermo restando che le prime due cose non escludono l’ultima :-D). Di esempi ce ne sono infiniti.

    Senza fare complottismi infondati, c’è un problema di public choice: vederlo solo per le banche è erroneo. Ogni volta che lo Stato gestisce qualcosa assieme al mercato, si crea il potenziale per problemi del genere. Non esiste la soluzione istituzionale definitiva (oltre a recidere i vincoli tra Stato ed economia) a questo tipo di problemi, anche se possono esistere delle soluzioni parziali (trasparenza, indipendenza, regole e muraglie cinesi…), e non sempre granché efficienti.

  7. Pietro Monsurrò

    Su una cosa non sono d’accordo. Per quanto si possa apprezzare Draghi per la serietà istituzionale e la competenza che lo contraddistinguono, non so fino a che punto sia questa la ragione per cui le banche italiane non stanno troppo male.

    Una ragione alternativa e forse più rilevante è che il sistema bancario italiano è così sottosviluppato e primitivo, così macchinoso e paludato e così costoso e inefficiente, che anche volendo non avrebbe potuto trarre benefici dal boom speculativo indotto dalle banche centrali negli ultimi anni.

    Nella dinamica dell’interventismo, le politiche distorcono gli incentivi e gli agenti di mercato rispondono agli incentivi distorti. L’elasticità della risposta del mercato alle distorsioni di politica economica è quindi una condizione necessaria per avere gli effetti perversi dell’interventismo. Se gli imprenditori non possono fare nulla, non possono farsi neanche del male*.

    * Tradotto in termini di welfare economics, in casi di market failure (come la politica monetaria) può essere preferibile avere un altro market failure per compensarlo (regolamentare i mercati). Mi sembra si chiami “second best principle”, ma non sono sicuro.

  8. Paolo

    Più che altro non mi è chiaro come potrebbero giustificare l’ennesimo affronto ad uno paese come l’Italia che, per quanto abbia non pochi difetti (ma la crisi ci ha dimostrato come non siamo affatto soli… anzi), è tra i fondatori ed è cmq pur sempre un dei big in Europa e non solo.

    Sarei proprio curioso di sapere cosa ci darebbero in cambio… non è rimasto più nulla!

    P.S. ma la Gran Bretagna con chi sta?

  9. Francesco

    Gent.mo Pietro,
    quello che lei cita come base stessa delle tecnocrazie è giustissimo. Tuttavia nel caso di Goldman Sachs stiamo parlando di un’azienda che incoraggia per politica aziendale l’inserimento di ex dirigenti nelle amministrazioni pubbliche. Quindi non c’è il solo moral hazard in gioco, ci sono determinate strategie a medio termine che si sono rivelate vincenti per Goldman finora, e fallimentari per il benessere di noi tutti. Per fortuna in Europa le sovvenzioni alle banche sono state contenute, ma come può essere sicuro che Draghi non diventerebbe un avvocato del prossimo TARP o TALF all’europea?
    Sulla stessa linea di ragionamento potremmo proporre Marchionne all’Industria. Chi più di lui s’intende di certi meccanismi industriali italiani? A ben vedere, sarebbe meno ipocrita della situazione attuale…

  10. Luigi

    non vedo perche’ ci sia bisogno di perdere tempo a discutere di alleanze e candidature contro Weber (da tempo il suo nome gira come successore di Trichet), quando basterebbe da sola la seconda ragione citata da Giannino per imporre un bell’alt alla candidatura. Trichet venne eletto dopo che i francesi fecero muro compatto contro altri candidati, arrivando a pretendere la staffetta con Duisemberg a meta’ mandato. Bisognerebbe avere il coraggio politico di dire che stante la situazione poco chiara della finanza germanica non e’ opportuna una candidatura tedesca alla guida della BCE, e al diavolo le reazioni.

  11. abate di Theleme

    Caro Oscar, mi rendo conto che continuare ad immaginare l’Italia come paese moderno, razionale e civile sia una tentazione forte per tutti noi… figli odiati di Rea. In realtà ciò non è. Per questo motivo mi fa orrore che le qualità di un Draghi possano, ancora una volta, far da foglia di fico al nostro scempio. Se le nostre banche non hanno la peste è perchè ne sono portatrici sane. Un sistema bancario che si rifiuta di svolgere il compito moderno del capitale, finanziare cioè la crescita economica per tramite della libera intrapresa fondata sulla buona idea (e buon plan), sequestra la ricchezza ai danni della collettività, è bacino assistenziale e protegge lo status quo.
    Credo che I Tremonti bond abbiano stracciato il velo di Maya, una volta per tutte. Così come la seguente difesa dell’ABI e soci fatta dal premier. Che resta il migliore dei peggiori e durerà finchè Ruini non troverà di meglio. Pertanto, che l’Italia di Rosarno e di Duisburg non gestisca più potere è per me salvifica speranza, non fonte di preoccupazione. Non è il tempo della pars costruens questo… è il dies irae.

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